12 anni dallo tsunami che ha colpito il Giappone. A che punto è la centrale nucleare?
L’11 marzo del 2011, dopo un terremoto di magnitudo 9 un violento tsunami si è abbattuto sul Giappone colpendo la centrale nucleare di Fukushima. La successiva dispersione delle radiazioni dalla centrale nucleare hanno provocato la morte di quasi 16.000 persone, e costretto 31.000 ex residenti a non poter più fare ritorno alle loro abitazioni.
Ad oggi, secondo i dati ufficiali della Agenzia di Polizia, 2.523 persone risultano ancora disperse, prevalentemente nelle prefetture di Fukushima, Iwate e Miyagi. I decessi legati a disturbi mentali e allo stress sviluppati come conseguenza del disastro, secondo l’Agenzia per la Ricostruzione, ammontano a 3.792.
Poco più di 300 chilometri quadrati di superfici terrene attorno alla centrale nucleare sono ancora classificate dal Governo come “zone nelle quali sarà difficile fare ritorno“. Secondo una indagine della agenzia Kyodo, nelle tre cittadine di Katsurao, Okuma e Futaba, accessibili agli ex-residenti dalla scorsa estate, solo l’1% delle famiglie ha deciso di tornare alle precedenti dimore.
Lo smantellamento dei tre reattori nucleari da parte del gestore dell’impianto, la Tokyo Electric Power (TEPCo), che comprende la rimozione dei detriti prodotti dal combustibile esausto va avanti con considerevoli ritardi. Secondo le ultime previsioni l’intera operazione sarà terminata tra il 2041 e il 2051, ma ci sono forti dubbi sulla fattibilità del piano considerati i grandi ritardi accumulati finora.
Il Governo giapponese sta portando avanti con difficoltà le attività di bonifica dell’impianto nucleare di Fukushima, gravemente danneggiato dallo tsunami. Da mesi si discute di un piano per versare nell’Oceano Pacifico una grande quantità di acqua contaminata dalla radiazioni necessaria a raffreddare i reattori. Nell’aprile 2021 il Governo di Tokyo ha annunciato il piano con la TEPCO, per rilasciare l’acqua trattata in mare aperto dopo averla diluita per ridurre la concentrazione di trizio, un isotopo radioattivo dell’idrogeno, al di sotto della percentuale consentita dalle normative internazionali. Per il Giappone l’operazione è inevitabile, ma sono tanti i dubbi e le preoccupazioni dei vari osservatori sulle possibili conseguenze per l’ambiente. Lo scarico dell’acqua nell’impianto è comunque solo una delle numerose attività di bonifica della centrale nucleare di Fukushima, che richiederanno decenni per essere effettuate.
TEPCO dovrà ottenere l’approvazione dall’Autorità per il nucleare giapponese e dovrà sottoporre il proprio sistema a verifiche da parte dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica delle Nazioni Unite (Aiea). Secondo l’azienda i livelli di radioattività possono essere ridotti con alcuni trattamenti e una maggiore diluizione dell’acqua. Le procedure non consentiranno comunque di eliminare il trizio (un isotopo dell’idrogeno), ma la sua concentrazione dovrebbe essere tale da non costituire problemi. Questo perché il trizio viene ciclicamente rilasciato anche dagli impianti nucleari che funzionano normalmente e a basse concentrazioni non costituisce solitamente un rischio per l’ambiente.
Oltre un milione e 300.000 tonnellate di liquido sono state ammassate intorno al sito, attualmente il 96% delle cisterne risulta occupato. In base alle più recenti previsioni la piena capacità sarà raggiunta tra l’estate e l’autunno di quest’anno con un totale di 1,37 milioni di tonnellate di acqua.
Nonostante le rassicurazioni, il progetto tuttavia è contestato dalle associazioni ambientaliste e ha provocato la reazione dei Paesi vicini, tra cui Cina e Corea del Sud. Inoltre la comunità locale è preoccupata in primo luogo per le ricadute sull’industria ittica. Negli ultimi mesi Tepco ha organizzato alcuni test dimostrativi, facendo vivere pesci e molluschi in una vasca con normale acqua dell’oceano e altri esemplari delle medesime specie in una vasca contenente l’acqua proveniente dall’impianto nucleare e al giusto grado di diluizione. Il livello di radioattività rilevato tra pesci e molluschi è lievemente aumentato mentre si trovavano nell’acqua contaminata, ma è poi tornato a livelli normali dopo alcuni giorni trascorsi nell’acqua prelevata dall’oceano. Secondo i tecnici, ciò conferma i dati sugli effetti trascurabili del trizio sulla fauna marina.
La conseguenza maggiore dei danneggiamenti provocati dallo tsunami fu la fusione dei reattori 1, 2 e 3 dell’impianto con una perdita significativa di radiazioni. Il problema, da allora, sta nell’evitare che la temperatura dei reattori aumenti. A questo scopo, ogni giorno, sono utilizzate centinaia di tonnellate di acqua per raffreddarli. In parte riutilizzata, ma la legge impone dei limiti di contaminazione e rischi nel riciclo perché diventa sempre più radioattiva nei reattori che a loro volta sono già danneggiati. Poi viene trattata e raccolta in serbatoi costruiti intorno alla centrale che, ad oggi, sono circa mille. Purtroppo i livelli di radioattività sono molto alti motivo per il quale non è possibile rilasciarla nell’ambiente.
Secondo i tecnici i serbato devono essere svuotati anche perché, in caso di un altro terremoto o di uno tsunami, potrebbero essere danneggiati e grandi quantità di acqua ancora non trattata potrebbe finire nell’oceano. La procedura prevista da TEPCO prevede che il versamento sia graduale e controllato, con un rilascio al largo della costa per ridurre ulteriormente i rischi e favorire una maggiore diluizione delle acque di scarico. In questo modo i livelli di radioattività e gli effetti del versamento saranno tenuti sotto controllo per decine di anni, in parallelo con le altre attività di smantellamento della centrale nucleare che si prevede dureranno per almeno 30-40 anni. Ci sono però dubbi sulle procedure scelte per le verifiche e per il coinvolgimento dell’Aiea, con richieste da parte di varie associazioni ambientaliste di ulteriori controlli da parte di istituzioni indipendenti.
Giorgia Iacuele