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A Roma, il “nostro Patrimonio Culturale”
piegato al business dello spettacolo

Il 7 agosto 2023, con il concerto di Travis Scott al Circo Massimo

L’anteprima mondiale “live” del 7 agosto scorso al Circo Massimo di Roma del nuovo album Utopia del rapper statunitense Travis Scott ha risollevato la questione, da tempo attuale e ampiamente dibattuta, ma mai, sinora, concretamente regolamentata, dell’uso degli spazi culturali per eventi di spettacolo, soprattutto quelli con grande partecipazione di pubblico, considerata la notorietà, spesso addirittura internazionale, degli artisti protagonisti.

Questione importante, ma per comprensibile proprio tornaconto perlopiù elusa o parzialmente considerata oppure sacrificata all’eccezionalità dell’evento da un beneficiario essenziale della nostra economia, il turismo, in questo caso quello di quanti accorrono nella città, sede dell’eccezionale spettacolo, usufruendo dei servizi alberghieri, di ristorazione, insomma di tutto l’indotto dell’accoglienza.
Con problematiche d’ordine pubblico non indifferenti, con tanta diffusa inciviltà del giovane pubblico partecipante, persino l’uso improprio e pericoloso di uno spray al peperoncino, il concerto di Travis Scott ha riconfermato l’atteggiamento tornacontista, insito nella logica imprenditoriale di Federalberghi di Roma che, in modo spiccio, perché interessata solo all’utilità del guadagno, del profitto, ha tagliato corto sulle considerazioni opportune e responsabili della Prof.ssa Alfonsina Russo, Presidente C.d.A. del Parco Archeologico del Colosseo, la vasta e preziosa zona archeologico-monumentale di Roma che comprende pure il Circo Massimo, location del discusso concerto del rapper americano.

                                               

La Prof.ssa Russo ha richiamato, con l’autorevolezza delle sue conoscenze e della sua esperienza, il tema della fruizione accorta e responsabile del patrimonio culturale, dei suoi spazi, dei suoi percorsi museali e urbanistico-monumentali, altresì ribadendo come la fruizione ordinaria e straordinaria dei beni culturali debba sempre rivelarsi la risultante di tre fondamentali attività culturali propedeutiche: conservazione-tutela, valorizzazione e promozione.
Sottolineo, quindi, perlomeno l’opportuna valutazione, a priori, dell’adeguatezza degli spazi e dei beni culturali ad ogni loro possibile destinazione d’uso, da un concerto a una rappresentazione operistica o teatrale, da un raduno politico ad una manifestazione sindacale: prima della fruizione va, a mio parere, accertata la fruibilità, considerato che la fruizione culturale non può mai dirsi scontata poiché variabile in ragione delle diverse occasioni d’uso.

Certo, va evitata il più possibile l’estemporaneità decisionale sulla fruizione culturale, per questo s’impone a Roma, come in tutte la città e località d’arte italiane, che si provveda a identificare le possibili destinazioni d’uso di ogni spazio, culturalmente tutelato: così per il Circo Massimo di Roma come per Piazza della Signoria a Firenze, l’Arena di Verona, Piazza Maggiore a Bologna, lo Sferisterio di Macerata.
Non sempre ogni spettacolo o manifestazione può essere allocato in questi spazi; la differenza la fanno la tipologia dell’evento, del suo pubblico, le stesse, particolari esigenze di ordine pubblico che l’evento può richiedere. Fra l’altro, i quasi 60 mila spettatori del concerto di Travis Scott s’identificavano nella cultura musicale e sociale del rap, espressione di protesta radicale e aspra voglia di riscatto, quindi è stato assennato destinare loro lo spazio del Circo Massimo?  Ecco, perché, ovunque, Soprintendenze, regioni e amministrazioni locali devono con urgenza porre mano a questa sorta di codificazione dell’uso possibile dei loro spazi culturali territoriali. Solo con questa codificazione propedeutica si possono sviluppare con continuità adeguati programmi di valorizzazione e promozione degli spazi utilizzabili.

                                                   

Diversamente, si va incontro alla occasionalità, alla parzialità, perché no alla contraddittorietà decisionale, sicuramente non giustificabile con argomentazioni, tipo quelle di Federalberghi di Roma, ovvero qualunque iniziativa che promuova turismo a Roma, come altrove, va bene, quindi va sostenuta, magari pure con la concessione della location in spazi culturali unici, famosi nel mondo, già da soli efficace veicolo di promozione turistica.
Quella di Federalberghi è una concezione mercantilistica del patrimonio culturale e dei suoi spazi, fortemente condizionata da una visione monoculare: infatti, dei due aspetti, insiti nei beni culturali, uno è quello intrinseco della culturalità, ovvero il bene considerato nella sua natura, l’altro è quello estrinseco della economicità ovvero la sua redditività; l’Associazione degli Albergatori volutamente vede solo il secondo, capace di produrre reddito, ancora di più necessario adesso dopo la pandemia e momenti di recessione. In fondo, l’atteggiamento degli albergatori romani – o almeno di una consistente percentuale – è la conferma dell’amara conclusione della sociologa Hannah Arendt “La società di massa non vuole cultura, ma svago”.
La logica di Federalberghi, la sua considerazione degli spazi culturali come prestigiose location di richiamo turistico, la sua superficialità che l’uso di un bene culturale non possa pregiudicare la sua conservazione e tutela la dice lunga sui pericoli possibili per la nostra cultura nazionale.

Gli spazi culturali sono luoghi della nostra identità, della nostra memoria storica e sociale, per questo richiedono cura e responsabilità: tutto questo vale molto più di uno svago, un concerto rap e, soprattutto, tanta inciviltà, pattume lasciati alle proprie spalle.

______________________FRANCO D’EMILIO

 


Foto autore articolo

Franco D’Emilio

Storico, narratore, una lunga carriera da funzionario tecnico scientifico nell’Amministrazione del Ministero per i beni e le atiività culturali
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