L’errore di valutazione che costò caro all’Impero Romano
Nell’IV secolo dopo Cristo, Roma è la più grande potenza che il Mondo antico abbia mai avuto. I suoi confini si estendono dall’Atlantico al Mar Caspio, nulla sembra temere la Caput Mundi, ma qualcosa sta per sconvolgere per sempre la storia dell’Impero romano.
L’inizio della fine però era dietro l’angolo e ha colpito inesorabilmente l’Impero Romano, in maniera impercettibile, tanto che l’all’ora imperatore Valente non lo avverte come un pericolo.
Siamo nel 376 e una moltitudine di Goti in fuga dagli scontri con gli Unni, popolazione dell’est Europa, si trova a d attraversare indisturbata i confini dell’Impero Romano sul Danubio.
Alle popolazioni di confine apparvero subito della povera gente macilenta, con poche masserizie e tanti bambini, vittime della guerra contro i barbari. Non mancarono gesti di solidarietà, ma anche di contrarietà nei loro confronti.
Valente, comunque, fu ben felice di accoglierli nelle terre dell’Impero romano, perché lo Stato era in piena crisi demografica, scarseggiava manovalanza, specie quella specializzata e nell’esercito molte guarnigioni cominciavano a essere sguarnite. Temi ancora attuali.
Fu predisposta la receptio, cioè l’accoglienza per i profughi, installando magazzini per la distribuzione immediata di ogni genere di prima necessità. Ad esempio, il vestiario e generi alimentari offerti gratuitamente ai profughi.
Purtroppo, ieri come oggi, anche la tragedia di questa povera gente attirava la cupidigia di funzionari corrotti che facevano il mercato nero o, peggio, vendevano a caro prezzo ai fuggiaschi gli alimentari che dovevano offrire gratis e per questo motivo ci furono parecchi processi popolari.
Comunque, la macchina organizzativa romana tenne abbastanza bene e ben presto le famiglie vennero sistemate in zone da coltivare e i ragazzi ammessi all’addestramento nelle legioni.
In poco tempo e con una politica accorta, questa gente venne ben presto assimilata all’Impero.
Di questi fatti ne parla nel Rerum Gestarum lo storico Ammiano Marcellino, che scrive: “La cosa suscitò più gioia che paura. Tutti gli adulatori istruiti lodarono smodatamente la buona sorte dell’imperatore Valente che in modo così inaspettato gli procurava tante giovani reclute e venute dagli estremi confini, giacché unendo le sue forze a quelle degli stranieri, avrebbe messo insieme un esercito davvero invincibile. E poi, oltre alla leva di soldati, ogni provincia che veniva data ai profughi perché la coltivassero, forniva annualmente un tributo. Ciò avrebbe fatto affluire al tesoro imperiale una gran quantità d’oro”.
Una cosa accettata di buon grado visto che si risolveva così il problema del calo demografico e dell’occupazione dei lavori, come il soldato, che i i cives romani difficilmente volevano fare.
Nel 378, Valente si accorse dell’errore che aveva fatto nell’inserire i profughi nelle file dell’esercito. Per una vera assimilazione occorrevano anni e sforzi da ambo le parti per riuscire ad amalgamare i vari stili di vita. Ma, la fretta e forse la necessità ebbero il sopravvento e l’imperatore fu sonoramente sconfitto nella battaglia di Adrianopoli, in Tracia, contro i Visigoti.
Valente stesso perse la vita insieme ai due terzi delle sue legioni; i Goti arruolati si batterono coraggiosamente, come narrano le cronache, ma sempre da barbari, cioè non ascoltando gli ordini dei centurioni, gettando via le armature e invece di obbedire alle manovre strategiche, si gettarono nudi, come era il loro modo di combattere, nella mischia, venendo falcidiati dai Visigoti.
La sconfitta fu certamente grave, ma l’impero era tutto sommato ancora grande. Tuttavia sempre più profughi attraversavano i confini senza più alcuna restrizione. Quindi si insediarono nelle zone dell’Impero come candidati alla cittadinanza romana per beneficiare del benessere superiore dei civis romani.
Cominciarono a entrare nella sua burocrazia riscuotendo, ad esempio, le tasse per Roma. Ma iniziando anche a tenersi il grosso del denaro facendo mancare, cosa più grave, il sostegno economico che manteneva tutto l’esercito.
Apprezzavano il benessere materiale romano, ma non ne capivano la complessità e non si curarono certo della sua manutenzione. Quindi, dove si insediavano distruggevano splendidi acquedotti, lasciando in rovina il sistema fognario e quello delle strade.
In seguito, questo modo di vivere era diventato usuale. Infatti, già un secolo dopo, lo storico Eugippo che scrisse, tra l’altro, la prima biografia di sant’Agostino, raccontava di una guarnigione, che stanziava nell’attuale Baviera, recatasi a Milano per riscuotere le tasse per pagare i soldati. “Furono uccisi dai barbari” – scrive Eugippo – “durante il viaggio e solo molto dopo i loro corpi furono visti sulla riva del fiume, dove la corrente li aveva portati. Nessuna paga giunse ai soldati e quelle truppe scomparvero insieme alla frontiera”. Così accadde per molte guarnigioni sempre più depresse e affamate.
Gianfranco Cannarozzo