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Teatro No e Teatro Kabuki

Differenze

Il teatro No è un’esibizione molto tradizionale, ma il Kabuki è qualcosa che è per la gente comune: nel teatro No gli artisti indossano una maschera, ma nel kabuki usano una pittura per il viso; il kabuki è anche più esagerato, ad es. mentre entrambi impiegano parrucche, quelle usate nel Kabuki sono molto più lunghe e voluminose.

  • Per quanto riguarda il teatro No, solo le persone di classe elevata e i samurai andavano alle performances del teatro No per divertirsi.
  • La loro soddisfazione significa tutto per gli attori: la soddisfazione e l’onore era tutto ciò che contava nel teatro No poiché anche se eri ricco, non eri necessariamente rispettato.
  • Tutto ciò che contava era l’onore, poiché il denaro non era considerato molto importante e non veniva molto usato.
  • Questo significa che per gli attori il primo obiettivo era piacere al pubblico per guadagnare onore.

Il teatro No si concentra sul racconto di una storia attraverso la musica, mentre quello Kabuki si concentra sul racconto di una storia attraverso l’uso della danza, della recitazione e della posa: il teatro Kabuki ha più in comune con il No, è una combinazione altamente stilizzata di danza e dramma, con attori con facce dipinte; il kabuki ebbe origine a metà del secolo XVII e iniziò con artisti femminili che spesso erano anche prostitute e, a differenza del No, storicamente, il Kabuki era molto allusivo sessualmente. Il teatro No combina musica, danza e recitazione per comunicare temi buddisti: spesso la trama di un’opera teatrale No ricrea scene famose della letteratura giapponese come Tale of The Genji  o The Tale of the Heike. Kabuki, No, Kyogen e Bunraku costituiscono le forme essenziali dell’intrattenimento teatrale giapponese:

  • Kabuki, dramma popolare tradizionale giapponese con canti e balli eseguiti in modo altamente stilizzato suggeriva originariamente il carattere poco ortodosso e scioccante di questa forma d’arte: nel giapponese moderno, la parola è scritta con tre caratteri, ka, che significa “canzone”, bu, “danza” e ki, “abilità”.

I calchi maschili divennero la norma dopo il 1629,  quando alle donne fu proibito di apparire in kabuki a causa della prevalente prostituzione di attrici e violenti litigi tra i mecenati per i favori delle attrici: questo divieto non è riuscito a fermare i problemi, dal momento che anche i giovani attori maschi (Wakashu) sono stati perseguiti con fervore dai mecenati.

Il teatro No è un’esibizione molto tradizionale, ma il Kabuki è un qualcosa per la gente comune: ci sono anche differenze visive significative tra le due forme d’arte; nel No gli artisti indossano una maschera, ma nel Kabuki usano la pittura per il viso.

Le persone che appaiono in Kabuki sono raggruppate in diverse categorie come età, occupazione e ruolo nella storia, e anche le tecniche di recitazione, i costumi, le parrucche, il trucco e altri aspetti sono classificati: Bunraku è il tradizionale teatro delle marionette del Giappone; è iniziato come intrattenimento popolare per la gente comune durante il periodo Edo a Osaka e si è evoluto in teatro artistico durante la fine del XVII secolo.

Il No divenne una forma artistica nel XIV secolo e fu continuamente perfezionato fino agli anni del periodo Tokugawa (1603-1867): una tipica commedia No è relativamente breve, il suo dialogo è scarno e serve da semplice cornice per il movimento e la musica; durante il culmine di un dramma No c’è una danza ritualizzata. Noh può essere suddiviso in cinque diverse categorie: dio, uomo, donna, pazza, demone: in un programma noh completo verrebbe riprodotto il noh di ogni categoria e questo è noto come data goban.

Esistono due tipologie di questa forma teatrale, il Mugen no e il Genzai no, ed entrambi seguono una struttura che si può suddividere in 10 momenti:

  1. Entrata di un viaggiatore, solitamente un pellegrino diretto verso un luogo connesso con un avvenimento che la leggenda ha reso famoso.
  2. Entrata di un abitante del luogo che si affianca al pellegrino giunto alla sua meta.
  3. Colloquio tra i due protagonisti, nel quale il pellegrino chiede all’indigeno di narrargli la storia connessa con quel luogo.
  4. Racconto della storia da parte dell’indigeno.
  5. Rivelazione della vera identità dell’indigeno alla fine del racconto, che è il protagonista della storia. Uscita di scena dell’indigeno che lascia solo il pellegrino sul palco.
  6. Il pellegrino attende il ritorno del protagonista.
  7. Apparizione del protagonista, che ora veste la sua vera identità di eroe della vicenda narrata in precedenza.
  8. Colloquio con il pellegrino.
  9. Rievocazione con il particolare linguaggio gestuale dell’episodio saliente della personale avventura terrena del protagonista e sua scomparsa dalla scena.
  10. Risveglio del pellegrino che s’accorge di aver sognato tutto.

I drammi del teatro No vanno in scena su palcoscenico molto particolare: la scena è costituita da un palco quadrato, sopraelevato rispetto agli spettatori di circa tre metri e sovrastato da una tettoia in legno; lo sfondo è sempre dipinto con un tipico pino giapponese, mentre la parte inferiore del palcoscenico viene riempita con dei vasi vuoti, in modo amplificare la risonanza dei passi degli attori.

Lo stile architettonico del palcoscenico No deriva direttamente dai padiglioni dei santuari shintoisti in cui si eseguivano i rituali Kagura, per sottolineare quanto quest’arte performativa sia in realtà strettamente connessa con le credenze e i riti religiosi.

Il teatro Kabuki fu inventato dalla sacerdotessa Izuno no Okuni. Secondo la ricostruzione storica: Okuni iniziò ad accogliere nella propria compagnia teatrale e donne di ceto basso e prostitute; il loro “Kabuki odori” , “Onna Kabuki”, era una danza irriverente, in cui le ballerine si vestivano con abiti maschili e imitavano in modo gioioso le tecniche di seduzione delle cortigiane dei quartieri di piacere.

A fine spettacolo, gli spettatori si riversavano sul palcoscenico e si univano alle attrici in una danza scatenata: questa compagni tuttavia non durò a lungo, infatti non appena la fondatrice morì il Kabuki fu dichiarato illegale perché incitava alla prostituzione; le danzatrici donne furono sostituite con dei giovani uomini e nacque così il “Wakashu Kabuku”.

Peccato che anche la danza di questi fanciulli fosse troppo sexy: il governo dovette proibire anche questa forma teatrale, stavolta per incitamento all’omosessualità; la soluzione finale fu quella di far salire sul palco solo uomini maturi. Nacque così lo “Yaro Kabuki”, che diede più importanza alla recitazione che alla danza: fu così che una forma d’arte nata da delle donne passò nelle mani di soli uomini.

Al contrario di quanto avviene nel teatro No, non esistono maschere nel Kabuki: in compenso, gli attori si truccavano pesantemente il volto per impersonare personaggi femminili e creature sovrannaturali.

I costumi, le parrucche e il make-up sono delle piccole opere d’arte a sé stanti: anche le scenografie sono spettacolari ed elaborate e già in epoca Edo si faceva largo uso di effetti speciali per rendere le scene sul palco ancor più sensazionali; un altro elemento fondamentale della scenografia Kabuki è la “hanamichi”, una passerella in legno che permette agli attori di spostarsi in mezzo alla platea.

Il trucco scenico, chiamato kumadori, è l’elemento principale del Kabuki: questo makeup, riservato ai personaggi maschili, serve per indicarne l’età, la posizione sociale, la natura umana, soprannaturale o animale, e, in generale, il carattere.

I colori del kumadori hanno un significato ben preciso:

  • Kumadori rosso: il personaggio è molto giovane, impetuoso, coraggioso e spesso arrabbiato.
  • Kumadori blu: tipico dei personaggi malvagi di rango sociale elevato che stiano tramando un colpo di stato o una vendetta.
  • Kumadori marrone: il personaggio è un mostro o uno spettro che ha assunto sembianze umane.

Gli attori che interpretano ruoli femminili, invece, si chiamano “onnagata” e il loro trucco è caratterizzato da una spessa base di cipria bianca, labbra vermiglie e contorno occhi reso ben visibile tramite uso di eyeliner e ombretti dai toni del rosso: gli onnagata subiscono un addestramento molto rigido per imparare a muoversi e ballare come donne; molto spesso il Kabuki vede in esce Samurai caduti in disgrazia, a differenza dei contadini che invece appaiono molto raramente e quando appaiono vengono rappresentati come sciocchi, in quanto all’interno della società non contavano nulla.

All’epoca della nascita di quest’arte, infatti, questa forma teatrale è sempre connessa alla società e vuole sempre rappresentare la società del momento e dunque è anche disposta ad ammodernarsi, tanto che esistono opere kabuki che mettono in scena manga come Naruto e One Piece: i chounin (classe sociale costituita da mercanti e artigiani)  per molto tempo sono stati i protagonisti del kabuki sia in modo attivo (finanziando gli spettacoli), che passivo (come spettatori).

Questa forma teatrale prevede una morale confuciana che fa da padrona: il concetto di classi è molto rispettato e importante, ognuno agisce nella propria sfera governata dai 5 rapporti di base del confucianesimo (sovrano/suddito, padre/figlio, marito/moglie, fratello maggiore/fratello minore, amico/amico); abbiamo sempre la fedeltà all’autorità. Abbiamo un rapporto speciale fra marito e moglie e soprattutto fra padre e moglie: se la moglie è quella che possiede i soldi e quindi il marito viene adottato allora sarà sempre il padre ad avere una maggiore autorità sulla moglie rispetto al marito (nel caso contrario l’autorità dei genitori della moglie non ha peso); quindi anche se agli occhi dell’autorità il kabuki veniva considerato sovversivo, in realtà questo non sfida il codice etico ma ne loda il trionfo. La classe sociale doveva essere rispettata ad ogni costo.

Se per il teatro no lo scintoismo è la base, nel kabuki vediamo radici che appartengono al buddismo, sebbene vi siano solo dei piccoli riferimenti e dunque vengano utilizzate solo alcune credenze.

Il teatro No (abbreviazione di Nogaku), è una delle forme di recitazione teatrale più antiche del Giappone, risalente al XIV secolo, ed anche una delle più raffinate, rivolta principalmente ad un pubblico colto: il repertorio di rappresentazioni del teatro No ad oggi conta circa 250 testi, la quasi totalità dei quali ideati vari secoli fa dai grandi maestri di quest’arte.

Il teatro nacque nei primi anni del XVII secolo: fu fondato secondo la tradizione popolare da una miko (sacerdotessa dei santuari shintoisti), la quale cominciò a reclutare alcune donne emarginate insegnando loro a cantare, danzare e recitare, e cominciando ad esibirsi nel 1603 sui letti di alcuni fiumi in secca della città di Kyoto; questi esibizioni trattavano temi di vita ordinaria e divennero sempre più popolari, tanto che lo stile cominciò ad essere imitato da molte compagnie teatrali, e divenne una delle forme di intrattenimento più diffuse nei quartieri a luci rosse di Tokyo e di Kyoto del tempo.

Le scene nel teatro No vengono rappresentate su un palcoscenico di legno di cipresso con una scenografia quasi inesistente: l’unica decorazione ricorrente è il kagami-ita, un dipinto su un pannello di legno, raffigurante un albero di pino, posizionato sullo sfondo.

La componente musicale è fondamentale nel teatro No, visto che le battute vengono solitamente cantate: la musica di accompagnamento è eseguita da 4 musicisti, chiamati hayashi, tramite strumenti a fiato e a percussione; durante la recitazione, i musicisti stanno in fondo alla scena e sono perfettamente visibili dagli spettatori.

Il palco di un teatro Kabuki è caratterizzato dall’hanamichi, una specie di passerella, di prolungamento del palco che passa in mezzo agli spettatori, che viene utilizzato non solo per l’entrata e l’uscita di scena degli attori, ma a volte vi vengono recitate anche alcune parti dello spettacolo: il palco è inoltre dotato di alcune “tecnologie”, nate nel corso dei secoli, che aiutano nella realizzazione di una delle caratteristiche principali del teatro Kabuki, ovvero la presenza di colpi di scena improvvisi e trasformazioni; la caratteristica principale è il palco girevole, inventato già agli inizi del diciottesimo secolo.

Ci possono essere inoltre delle botole per fare comparire e scomparire i personaggi come se stessero volando e altri piccoli “stratagemmi”.

Il teatro tradizionale giapponese è un’arte ricca e complessa che affonda le sue radici in antiche credenze sciamaniche, musiche e danze ancestrali diffuse nell’Asia nord-orientale, legate principalmente a due religioni: lo shintoismo e il buddhismo: con il passare del tempo, queste danze persero il loro significato religioso per trasformarsi gradualmente in rappresentazioni mimate o parlate, abbandonando la loro ritualità, in quanto ormai parte del folklore nipponico, e arrivando ad attirare una grande attenzione negli artisti occidentali e del continente europeo.

Francesca Marti

Miriam Dei