Giorgio Napolitano è morto ….
GIA’ PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA (MMVI -MMXV)
___________a cura di Francesco Spuntarelli
Giorgio Napolitano (Napoli, 29 giugno 1925, Roma 22 settembre 2023) è stato un politico italiano, XI Presidente della Repubblica dal 15 maggio 2006 e poi rieletto per un secondo mandato.
Prima deputato quasi ininterrottamente dal 1953 al 1996, europarlamentare in due mandati (1989 2 1999), è stato nominato senatore a vita nel 2005 da Carlo Azelio Ciampi. Fu poi presidente della Camera nell’undicesima Legislatura quando succedette a Oscar Luigi Scalfaro, eletto al Quirinale (1992)
Giorgio Napolitano è stato il I° “Capo dello Stato” eletto proveniente dall’ex Partito Comunista e con il suo secondo mandato è diventato il presidente eletto in età più avanzata (87 anni) e fino alle dimissioni, il più anziano capo di Stato europeo: esercitando tale ruolo ha conferito mandato a 5 Presidenti del Consiglio (Romano Prodi nel 2006, Silvio Berlusconi nel 2008, Mario Monti nel 2011, Enrico Letta nel 2013, Matteo Renzi nel 2014) e con lui vanno via tanti anni di storia politica del nostro amato paese.
Giovinezza e militanza nel Partito Comunista
Nacque a Napoli da Giovanni Napolitano, un avvocato liberale – conosciuto anche per la sua poesia e la sua saggistica – e da Carolina Bobbio, figlia di nobili napoletani di origini piemontesi.
Dal 1938 al 1941 studia al Liceo Classico Umberto I di Napoli, nel dicembre successivo si trasferisce con la famiglia a Padova dove si diploma al liceo classico Tito Livio e nel 1942 si iscrive alla facoltà di giurisprudenza dell’Università Federico II di Napoli.
In quegli anni entra a far parte del G.U.F. – Gruppo Universitario Fascista di Napoli, collaborando con il settimanale “IX Maggio” dove cura una rubrica di critica teatrale. Qui incontra amici che poi avrebbero costituito la dirigenza del gruppo comunista napoletano, tra i quali Massimo Caprara: un giovane Napolitano, appassionato di letteratura e teatro, con amici come Francesco Rosi e Giuseppe Patroni Griffi debutta anche come attore presso Palazzo Nobile.
Nel 1944 entra in contatto con il gruppo di comunisti napoletani come Mario Palermo e italo tunisini come Mario Valenzi per preparare l’arrivo a Napoli di Palmiro Togliatti. L’anno dopo Napolitano aderisce al Partito Comunista Italiano, di cui è segretario federale a Napoli e a Caserta. Due anni dopo, nel 1947, si laurea in giurisprudenza con una tesi in economia politica dal titolo: “Il mancato sviluppo industriale del Mezzogiorno dopo l’Unità e la legge speciale per Napoli del 1904“.
Eletto deputato nel 1953, e dopo quasi sempre riconfermato, diviene responsabile della commissione meridionale del Comitato centrale del PCI, di cui era diventato membro dal 1956, di qui grazie all’appoggio che Togliatti aveva dato in quel periodo, a lui e ad altri giovani, proseguì la carriera politica nell’ottica della creazione di una nuova e più eterogenea dirigenza centrale.
Quando nell’Unione Sovietica si consuma la repressione dei Moti Ungheresi, la dirigenza del PCI, tra cui lo stesso Napolitano, condannerà queste insurrezioni popolari come controrivoluzionari, giustificandosi con la paura della guerra fredda e di quella calda, e questo dopo una lunga latitanza nel recensire gli eventi sanguinosi di quei giorni sui giornali di partito: contro di loro solo la posizione di Antonio Giolitti e di pochi altri che si schierarono apertamente contro il blocco sovietico. A quel tempo militanti di tutte le correnti compravano i giornali di sinistra in attesa di leggere notizie definitivamente chiare ed ufficiali, fin quando su “l’Unità” apparve una “presa di posizione” definendo gli operai insorti come “provocatori” e “ teppisti”.
In effetti, rispetto a coloro che, in quel periodo, affermano che quella d’Ungheria è da considerare una legittima rivoluzione e che nel comunismo si devono sviluppare le prospettive di un’apertura democratica, il travaglio di Napolitano rimane a livello di «grave tormento autocritico» riguardo a quella posizione. Successivamente seguendo Giorgio Amendola, di cui Napolitano si considererà sempre un allievo, avrebbe contribuito alla prima evoluzione del partito, dichiarando in seguito che la sua storia di politico era evoluta attraverso profonde revisioni.
Incarichi nel partito
Tra il 1960 e il 1962 è responsabile della sezione lavoro di massa. Successivamente, dal 1963 al 1966 è segretario della federazione comunista di Napoli.
Nel confronto interno seguito alla morte di Palmiro Togliatti nel 1964, Napolitano è uno degli esponenti moderati di maggior peso, parte della corrente del partito più attenta al Partito Socialista Italiano, che si contrappose alla corrente sessantottina del P.C.I.
Dopo essere entrato, a partire dal X Congresso, nella direzione nazionale, dal 1966 al 1969 diviene coordinatore dell’ufficio di segreteria e dell’ufficio politico del PCI. Nel 1966 riveste l’incarico non ufficiale -ma effettiva- come vicesegretario con Luigi Longo e poi con Enrico Berlinguer.
Tra il 1969 e il 1975, si occupa principalmente dei problemi della vita culturale del Paese, come responsabile della politica culturale dei comunisti italiani; il suo libro Intervista sul PCI con Eric Hobsbawn ha un certo successo, con traduzioni in oltre dieci paesi. Nel periodo della “solidarietà nazionale” (1976-79) è portavoce del partito nei rapporti con il governo Andreotti, sui temi dell’economia e del sindacato.
Negli anni 1970 svolge attività all’estero, tenendo conferenze negli istituti di politica internazionale nel Regno Unito e in Germania dove contribuisce al confronto con la socialdemocrazia europea e, cosa all’epoca inusuale per un politico italiano, si reca nelle università statunitensi: in seguito l’invito ufficiale, nella sua veste politica, venne soltanto una decina di anni dopo, anche grazie all’interessamento di Giulio Andreotti (lungimirante sulla sue possibilità di visione e riscatto).
Nel febbraio 1974, pochi giorni prima dell’espulsione di Aleksandr Solzenicyn dall’Urss, Napolitano è autore di una nota riservata del PCI che attaccava lo scrittore in quanto avrebbe danneggiato lo stato sovietico e la distensione, ma al contempo invitava il PCUS a tollerarlo poiché la repressione sarebbe stata un aiuto ai nemici dello stato sovietico, mantenendo comunque una posizione neutra e non critica della decisione del Cremlino.
Dal 1976 al 1979 diviene responsabile della politica economica del partito.
Transizione verso la socialdemocrazia europea
Napolitano è stato uno degli esponenti storici della corrente della “destra” del PCI, nata verso la fine degli anni 1960 e ispirata ai valori del socialismo democratico di Giorgio Amendola; in seguito viene considerato dagli avversari politici un “Migliorista”, ovvero fautore di un’azione politica che migliorasse la vita dei lavoratori senza rivoluzionare il capitalismo in cui si era comunque strutturata la nazione Italia e tutto l’occidente.
In seguito si dedicò molto a far crescere il lato europeista del partito e quando cominciò a criticare finalmente l’U.R.S.S. le sue posizioni divennero a poco a poco quelle del partito, specialmente nella questione dell’invasione dell’Afghanistan, che invece era ancora caldeggiata dal suo maestro Amendola.
L’altro personaggio politico con cui nel PCI Giorgio Napolitano si confronta è Enrico Berlinguer, che considera parte del cammino verso il «superamento delle contraddizioni di fondo tra il PCI nella sua evoluzione e il comunismo come ideologia e come sistema». Al suo fianco nell’esperienza della “solidarietà nazionale”, in seguito ne critica le scelte di arroccamento del partito sulle sue posizioni. Napolitano divenne uno dei maggiori esponenti dell’opposizione interna a Berlinguer (soprattutto per la differente visuale nei confronti dei socialisti) e lo criticò pubblicamente sull’Unità per il modo in cui aveva posto la “questione morale e l’orgogliosa riaffermazione della nostra diversità”. Napolitano, in un famoso articolo dell’Unità mette in guardia Berlinguer dai pericoli del settarismo e dell’isolamento parlamentare verso cui, dice, rischia di trascinare il PCI al solo scopo di battere i «familiari sentieri» della lotta di classe.
Napolitano inoltre si adopera per tenere aperta la possibilità di un confronto e di una possibile convergenza con il PSI. Cerca di mantenere vivi i contatti con il socialismo europeo e italiano, anche negli anni del duro scontro sulla scena politica nazionale tra comunisti e socialisti (e tra i rispettivi leader, Enrico Berlinguer e Bettino Craxi) e che raggiunge il culmine nel 1985 con la differente posizione dei due partiti circa il referendum abrogativo della “scala mobile”, che poi avrebbe rappresentato il fallimento storico di entrambi i partiti.
Nello stesso anno affermava che il riformismo europeo è «il punto di approdo del PCI». Dal 1986 dirige nel partito la commissione per la politica estera e le relazioni internazionali. In quegli anni all’interno del partito prevale, in politica estera, la linea di Napolitano di “piena e leale” solidarietà agli Stati Uniti d’America e alla NATO tanto che Henry Kissinger lo definirà il suo comunista preferito (“my favorite Communist”)
Alla morte di Enrico Berlinguer, Napolitano è tra i possibili successori alla Segreteria del Partito; gli viene tuttavia preferito alla fine Alessandro Natta. Dopo di allora si dichiara sempre favorevole, nell’arco di diversi congressi alla trasformazione del PCI in Partito Democratico della Sinistra, in seguito avrebbe detto sempre che qualsiasi riforma del nome del partito sarebbe stata sempre in ritardo sui tempi. Nel frattempo nel 1991, in piena Guerra del Golfo, fa uno storico viaggio in Israele, riportando le posizioni del Partito Comunista Italiano verso una maggiore attenzione alle istanze della comunità ebraica.
Da Presidente della Camera a Senatore a vita
Nel 1992 viene eletto presidente della Camera dei Deputati durante la legislatura di “Tangentopoli” e la sua presidenza divenne uno dei fronti del rapporto tra magistratura e politica; vi furono due episodi sono significativi del modo in cui Napolitano guadagnò alle istituzioni il conforto dell’opinione pubblica in un periodo in cui questa era particolarmente incline alla sfiducia nei confronti delle autorità, messa in ginocchio da interessi internazionali che volevano la fine di un Italia che nel bene o nel male decideva per se il suo cammino, soprattutto per ciò che riguarda il potere economico (seppure in coda all’Europa “che conta”) che allora, diversamente da oggi, nessuno contestava al nostro paese.
Il primo episodio avvenne quando il 2 febbraio 1993 all’ingresso posteriore di Palazzo Montecitorio si presentò un ufficiale della Guardia di Finanza con un ordine di esibizione di atti in riferimento ai bilanci politici utili al magistrato procedente, ovvero Gherardo Colombo della procura di Milano, per verificare se talune contribuzioni a politici inquisiti fossero state dichiarate a bilancio, secondo le prescrizioni della legge sul finanziamento pubblico ai partiti. Il Segretario generale della Camera, su istruzioni del presidente, ovvero Giorgio Napolitano, oppose all’ufficiale l’immunità di sede, cioè la garanzia delle Camere per cui la forza pubblica non vi può accedere se non su autorizzazione del loro presidente; nei giorni successivi tutti i partiti politici e tutti i principali organi di stampa sostennero la scelta del presidente Napolitano.
Il secondo episodio ebbe luogo subito dopo la seduta del 29 aprile 1993, in cui alcune delle richieste di autorizzazione a procedere contro Bettino Craxi furono respinte dalla Camera a voto segreto. Il presidente Napolitano convocò il 6 maggio seguente la Giunta per il Regolamento e dispose che le deliberazioni della Camera sulle autorizzazioni a procedere fossero per l’avvenire votate in maniera palese (mantenendo il ricorso al voto segreto solo per la sottoposizione all’arresto, alla perquisizione o ad altra privazione della libertà personale). In questo modo la presidenza della Camera, seguita poi da quella del Senato (retta allora da Giovanni Spadolini) evitò per il prosieguo che le proposte di concessione dell’autorizzazione richiesta dalla magistratura fossero respinte nel segreto dell’urna, da quello che era stato ribattezzato il “Parlamento degli inquisiti”.
Nella gestione del lato politico della vicenda di Tangentopoli – pur avendo pronunciato un deciso intervento in memoria del suicida deputato Moroni – si consumò la sua rottura con il leader socialista Craxi: scelse di non dare alcun seguito alle doglianze di questi contro il presidente della Giunta delle Autorizzazioni della Camera (Gaetano Vairo), guadagnandone una reazione stizzita a tutto campo.
Nel processo Cusani, il 17 dicembre 1993, Craxi affermò: “come credere che il presidente della Camera, onorevole Giorgio Napolitano, che è stato per molti anni ministro degli Esteri del PCI e aveva rapporti con tutta la nomenklatura comunista dell’Est a partire da quella sovietica, non si fosse mai accorto del grande traffico che avveniva sotto di lui, tra i vari rappresentanti e amministratori del PCI e i paesi dell’Est? Non se n’è mai accorto?”.
Secondo la sentenza sulle tangenti per la metropolitana di Milano, Luigi Majno Carnevale si occupava di ritirare la quota spettante al partito comunista e di girarle, in particolare, alla cosiddetta “corrente migliorista” che fa capo a Giorgio Napolitano».
Nel 1994, tornato sui banchi parlamentari dopo esser stato presidente della Camera, fu incaricato dal PDS di pronunciare la dichiarazione di voto sulla fiducia del primo governo Berlusconi. Da allora fino al caso Englaro del 2009 si tennero sempre rapporti tranquilli con Silvio Berlusconi e la corrente politica di Giorgio Napolitano.
Durante il governo Prodi, in seguito, quale ministro dell’interno fu criticato per non aver posto adeguata sorveglianza su Licio Gelli, che era fuggito all’estero, tanto che l’allora direttore di MicroMega, Paolo Flores D’Arcais, ne chiede le dimissioni. La mozione di sfiducia messa poi in atto dall’opposizione verrà comunque respinta (fine maggio 1998).
Dopo la caduta dell’esecutivo guidato da Prodi, è nuovamente europarlamentare come democratico di Sinistra e in seguito è nominato senatore a vita da Carlo Azeglio Ciampi.
Presidente della Repubblica Italiana
Il primo mandato
Il 10 maggio 2006, alla quarta votazione, è eletto undicesimo presidente della Repubblica Italiana. È il primo esponente politico proveniente dal PCI a divenire presidente della Repubblica. Tra i suoi primi atti, la concessione della grazia a Ovidio Bompressi, in continuità con le determinazioni assunte dal predecessore Carlo Azeglio Ciampi.
Il 14 novembre 2009 gli è stata conferita una laurea honoris causa in politiche e istituzioni dell’Europa dall’università di Napoli “L’Orientale” e poi, in una sua visita nel Regno Unito, ha ricevuto un dottorato in diritto dall’Università di Oxford.
La scadenza naturale del primo mandato avrebbe dovuto essere il 15 maggio 2013, accorciata al 22 aprile dello stesso anno con il giuramento del secondo mandato.
Gestione delle crisi di governo
Dal 21 febbraio 2007 si trova a dover gestire la prima crisi di governo da quando è salito al Colle, causata dalle dimissioni del premier Romano Prodi, in seguito al voto contrario del Senato alla relazione sulla politica estera del suo esecutivo; dopo tre giorni, rinvia il governo alle Camere per la fiducia.
Il 24 gennaio 2008 riceve nuovamente le dimissioni di Prodi, ed avvia le consultazioni con le forze politiche per la ricomposizione della crisi di governo e, propenso a scongiurare le elezioni anticipate (pure richieste dalla maggioranza delle forze parlamentari) ma consapevole della difficoltà di creare un nuovo esecutivo con maggioranza stabile.
Affidato un mandato esplorativo a Marini, che lo rimette, il Capo dello Stato firma il decreto di scioglimento delle Camere, chiudendo a ventidue mesi dal suo insediamento la XV Legislatura, la seconda più breve della storia della Repubblica (dopo l’XI Legislatura dove fu Presidente della Camera).
L’8 novembre 2011, giorno in cui il governo Berlusconi IV verifica di non avere più una maggioranza parlamentare alla Camera e si verificano intensi attacchi speculativi ai titoli di stato, Napolitano si accorda con Berlusconi per concordare le dimissioni del suo governo appena concluso l’iter di approvazione delle leggi di bilancio. Il giorno successivo Napolitano indica Mario Monti, già senatore a vita, mossa interpretata dai commentatori e dai mercati finanziari come un probabile successivo designato al ruolo di Presidente del Consiglio; infatti il 12 novembre, dopo l’approvazione e la promulgazione della manovra di stabilità, Napolitano accoglie le dimissioni di Berlusconi ed affida proprio a Monti l’incarico per la formazione di un nuovo esecutivo. Durante la fase di formazione di questo governo, il ruolo del Capo dello Stato è stato rilevato come di primario impulso alla riuscita dell’incarico tanto che, il “New York Times” attribuisce il soprannome a Giorgio Napolitano di “Re Giorgio” (con un chiaro riferimento a Re Giorgio VI del Regno Unito) per la sua «maestosa» difesa delle istituzioni democratiche italiane anche al di là delle strette prerogative presidenziali e per il ruolo da lui svolto nel passaggio dal governo.
Secondo mandato
Il 20 aprile 2013, dato lo stallo successivo alle elezioni politiche si vede nella figura di Giorgio Napolitano la possibilità di dare qualche certezza al nostro paese e con i tre quarti dei voti Napolitano diviene il primo Presidente della Repubblica ad essere eletto per 2 mandati.
Nelle settimane seguenti, in una videointervista concessa a Eugenio Scalfari dichiarava di essere “stato quasi costretto ad accettare la candidatura a una rielezione o a una nuova elezione come Presidente della Repubblica, essendo profondamente convinto di dover lasciare”. Aggiunge poi che “abbiamo vissuto un momento terribile. Abbiamo assistito a qualcosa a cui non avevamo assistito. Ho detto di sì per senso delle istituzioni. Ho ritenuto che si trattasse di salvaguardare la continuità istituzionale”.
Il 23 aprile apre le consultazioni di rito volte alla formazione del nuovo governo, e il giorno successivo dà l’incarico a Enrico Letta. L’8 ottobre seguente invia alle Camere il suo primo messaggio presidenziale sulla questione carceraria, invitando il Parlamento a prendere in considerazione indulto e amnistia.
Il 17 febbraio 2014, dopo le dimissioni irrevocabili di Enrico Letta, Napolitano affida a Matteo Renzi l’incarico di formare un nuovo governo; poi il 14 gennaio 2015 rassegna le sue dimissioni a causa delle difficoltà legate alla sua età venerabile.
Giunto infatti quasi al suo 9o° genetliaco, dopo aver svolto per ben 62 anni una intensa e continuativa attività politica con incarichi istituzionali nella Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano – non più “Re Giorgio”- acquisisce il nuovo ruolo di “Presidente Emerito” ritornando nuovamente in Senato come senatore di diritto e a vita.
Foto wikipedia ©Francesco Spuntarelli