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Asimov e Dawkins, due grandi “Divulgatori”

Isaac Asimov e Richard Dawkins
….. due Studiosi, Saggi e Scientifici

La divulgazione scientifica si erige come una sfida significativa, soprattutto in tempi contemporanei di crisi economica globale. Questa difficoltà nasce dall’esigenza di comunicare i progressi degli studiosi, spesso intrisi di concetti ostici per chi non possiede una formazione specifica, mentre il mondo sembra sempre più impegnato a far fronte alle proprie necessità finanziarie quotidiane.

Tale contesto rende arduo catturare l’attenzione sugli avanzamenti della scienza, oscurando l’importanza di alcuni di essi come, ad esempio, il successo nella sintesi di proteine cruciali per lo sviluppo cellulare, se non è chiara la loro rilevanza concreta ed immediata. Inoltre, spesso si profila il rischio che gli investimenti in queste ricerche sottraggano risorse all’economia pratica che dovrebbe garantire il sostentamento di tutti. L’immagine televisiva di razzi spaziali lanciati per mettere in orbita satelliti scientifici, pur con i loro benefici, può suscitare interrogativi riguardo alla priorità degli investimenti.
Ad esempio, l’invio sperimentale di un missile alto 90 metri, come l’Ares1, a costi elevati, può destare perplessità in coloro che lottano quotidianamente per soddisfare le proprie necessità più basilari. Più di recente, il lancio del Falcon Heavy di SpaceX per trasportare il telescopio spaziale James Webb, con un costo stimato di diverse centinaia di milioni di dollari, ha sollevato dibattiti sulla destinazione di risorse considerevoli in un momento in cui molte persone lottano per sbarcare il lunario.
Allo stesso modo, il programma Artemis della NASA, volto a portare l’uomo sulla Luna entro il decennio, ha generato controversie per i suoi costi elevati, soprattutto considerando le sfide economiche globali e le priorità sociali. Questi esempi evidenziano le sfide che i giornalisti scientifici affrontano nel comunicare efficacemente le scoperte scientifiche al pubblico.
Ad esempio, il tentativo di spiegare la complessa teoria della relatività generale di 
Einstein in un articolo di giornale può portare a semplificazioni eccessive che rischiano di distorcere la realtà. Allo stesso modo, la divulgazione di scoperte astronomiche, come la recente osservazione dei buchi neri con il telescopio Event Horizon, può presentare difficoltà nel trasmettere concetti astrusi in modo comprensibile al pubblico generale. Perciò è comprensibile che i giornalisti cerchino di rendere questo tipo di notizie più accessibili e interessanti al grande pubblico, pur mantenendo un equilibrio tra semplicità ed accuratezza. 

Ma questo riguarda le notizie, e una cosa è il giornalismo, e altra cosa la vera divulgazione scientifica, cioè la pubblicazione di saggi o libri in cui viene illustrata un’intera area di studi, allo scopo di aprire alla mente del lettore gli scenari che il duro lavoro svolto nei laboratori di tutto il mondo sta un po’ alla volta svelando alla conoscenza umana.
Com’è evidente, questo compito risponde ad esigenze e condizionamenti completamente diversi da quelli del semplice giornalista. Innanzitutto il compito del divulgatore scientifico è molto più complesso, perché questi deve conoscere non solo la materia, ma anche la storia dello sviluppo di quella particolare area scientifica, e tutto ciò che serve per renderla accessibile ai non specialisti. Vi sono concetti che, nonostante possano essere resi più accessibili, mantengono sempre un’intrinseca complessità anti-intuitiva.
Come affermava Einstein, la semplificazione di un ragionamento deve essere condotta con estrema cautela, evitando qualsiasi distorsione della verità. Gli scienziati, immeri nei rigori della loro ricerca, raramente hanno il tempo o il desiderio di fungere da divulgatori; quando lo fanno, spesso è più per un desiderio di notorietà o per ragioni economiche che per un’autentica passione divulgativa.

A questo riguardo conviene fare l’esempio di due veri divulgatori scientifici. Il primo è Isaac Asimov (1920-1992), forse il massimo divulgatore del ‘900; un uomo di grande capacità espressiva, con il dono di saper scrivere in modo interessante anche di argomenti astrusi. Non per niente è più conosciuto per la sua produzione di romanzi di fantascienza che per i suoi studi scientifici. Però ha sempre saputo tenere ben distinti i due ambiti: il romanzo è creazione, invenzione, emozione, il libro scientifico è onestà intellettuale, rigore espositivo, aderenza ai dati ed ai documenti.
Tanto rigoroso che in uno dei suoi libri scientifici più famosi, Civiltà extraterrestri (Extraterrestrial Civilizations), del 1979, Mondadori, per non perdersi in voli pindarici, di fantasia, fu costretto ad affermare già nell’introduzione che la ricerca di vita fuori dalla terra consiste principalmente nella ricerca di segnali di qualche forma di metabolismo e nella presenza degli elementi naturali che sono alla base della vita quale noi la conosciamo. Quindi si cercano prima di tutto tracce di presenza di acqua e poi di carbonio, ossigeno, azoto, potassio, fosforo.
Ma c’è chi obietta che la vita potrebbe essere basata sul Silicio anziché sul Carbonio, come è avvenuto sulla terra. Perché il Silicio è un elemento della tavola periodica di Mendeleev che appartiene allo stesso gruppo del Carbonio, con caratteristiche chimiche affini, così come il Germanio, lo Stagno e il Piombo, per cui pare possibile, in teoria, una vita basata su questi altri elementi. Per quel che vediamo sulla terra non si sono mai viste queste forme di vita, ma in linea di principio non sarebbe impossibile. Ed allora, dato che all’immaginazione umana non c’è limite, potremmo pure immaginarne l’esistenza.
Ma se cominciamo a ragionare in questo modo perdiamo la bussola delle ricerche, perché dovremmo guardare in tutte le direzioni senza una vera meta. Ci troveremmo ad indagare a casaccio, al buio, dato che tutto potrebbe essere significativo o, al contrario, da trascurare. Sarebbe un modo di procedere sterile, inutile. Insomma, nella ricerca della vita nello spazio è inutile inseguire forme di vita “qualunque”, conviene cercare forme di vita “quale noi la conosciamo”, senza voli fantastici, così sappiamo cosa andare a cercare.
Anche con le tecnologie oggi disponibili è quasi impossibile trovare nel cosmo la vita quale noi la conosciamo, ma è altrettanto arduo trovare dei criteri con i quali andare a riconoscerla in forma embrionale, sviluppata o fossile che sia. Per non parlare di vita intelligente! Già non ci capiamo tra di noi qui sulla terra, come penseremmo di capire gli eventuali alieni? Non riusciremmo a capire neanche se sono intelligenti.

Un problema simile ha dovuto affrontare anche Richard Dawkins (1941), l’altro scrittore di cui voglio parlare, il quale invece è uno scienziato puro, etologo e biologo, ma capace di divulgare. Nello scrivere il suo famosissimo saggio Il gene egoista (The Selfish Gene), 1976-1989, Mondadori, si è imbattuto nel problema del linguaggio metaforico. In ogni capitolo del libro,
Dawkins evidenzia e sottolinea che per evitare di esprimere i fatti in modo retoricamente efficace, ma sostanzialmente sbagliato, è “costretto” ad esprimersi in modo arido, non figurato. Prendiamo il caso di voler descrivere il fatto che un certo animale ha determinate caratteristiche fisiche che appaiono molto adatte all’ambiente in cui vive. Diciamo, ad esempio che, per arrivare agli alberi alti, le giraffe hanno allungato il loro collo. Così capiscono tutti, ma la frase contiene un errore sostanziale. Le giraffe non hanno fatto un bel niente!
È il loro DNA che nei millenni, o milioni di anni, è via via mutato e la selezione naturale ha consentito lo sviluppo degli esemplari con il collo lungo. Così si dice sostanzialmente la stessa cosa, ma la prima versione è certamente più sintetica ed efficace per l’uomo della strada. Oddio, anche la seconda versione, più corretta, oggi la capiscono tutti. Oggi molti “dicono” di sapere cos’è il DNA, cosa sono le mutazioni e come avvengono e cos’è la selezione naturale. Dicono di sapere, ma sarebbe molto più giusto dire che tutti intuiscono il significato di quei concetti scientifici, ma moltissimi l’intuiscono senza afferrarne le innumerevoli implicazioni. E poi, in fin dei conti, per capire un concetto dobbiamo pur esprimerlo con il linguaggio e il linguaggio umano (ma forse anche quello animale) è fatto di metafore che sono sempre delle forzature, deformazioni della realtà. Deformazioni efficaci, semplificatrici, retoriche, ma sostanzialmente diverse dalla realtà.

È qui il cuore del problema della divulgazione scientifica. Dire che la giraffa ha allungato il collo per arrivare alle foglie alte delle acacie della savana africana, è intuitivo, comodo, ma dietro c’è ma ben altro. Quel “per mangiare… ha allungato” sembra quasi un comportamento intenzionale. No, non c’è nulla di intenzionale nell’allungamento del collo delle giraffe, così come nella trasformazione a misura dell’ambiente di tutte le altre forme viventi, uomo compreso.
Per questo Dawkins offre un esempio di divulgazione scientifica tra i più originali per le interpretazioni innovative della teoria dell’evoluzione Darwiniana, riempiendo pagine e pagine per chiarire dove sono gli errori concettuali contenuti nelle vulgate usuali della teoria di Darwin. Vulgate che sono naturalmente infarcite di metafore spesso grossolane che possono addirittura travisare la realtà a scapito della corretta interpretazione dei fatti sperimentali. Grossolane ma necessarie, se vogliamo parlare e farci capire.
È un po’ il problema che devono affrontare gli scienziati dopo aver scritto nei siti scientifici, nei quali devono attenersi ad un linguaggio rigorosamente scientifico.
Ma così si capiscono solo tra di loro, soprattutto oggi che gli sviluppi scientifici sono così avanzati da richiedere nozioni di base talmente complesse da rendere le loro relazioni particolarmente criptiche per la gente normale, ma anche per altri scienziati non dello stesso campo d’indagine. Tanto per fare un esempio un biologo non sarà mai in grado di capire gli sviluppi matematici della meccanica quantistica di Heisenberg e quindi il significato filosofico che implica, a meno che non abbia dedicato alcuni anni della sua vita di studioso ad approfondirne i principi tecnici necessari.

Si pensi anche solo ad Albert Einstein che, una volta sviluppata la sua teoria della relatività ristretta nel 1905, per poter continuare nel suo lavoro, sentì la necessità di chiedere aiuto ad un amico matematico, Marcel Grossmann, perché gli desse una mano per approfondire la teoria dei tensori necessaria a completare i suoi ragionamenti, che dopo qualche anno portarono alla teoria della relatività generale (1915). Ed era Einstein! Del resto è vero pure che ci sono grandi matematici che non capiscono le moderne teorie fisiche o biologiche.

Ebbene, se anche gli scienziati, a meno che non siano specializzati nel campo, non capiscono quel che dicono i loro colleghi, figuriamoci i poveri cittadini che hanno solo studiato alla scuola dell’obbligo! È per questo che i libri di divulgazione scientifica sono fondamentali per diffondere un po’ di cultura scientifica ed evitare così fraintendimenti, contaminazioni inopportune o strumentalizzazioni. Però anche la divulgazione va fatta da esperti, ma devono essere esperti nella materia di cui parlano e devono saper scrivere in modo che il lettore, alle prese con le astrusità che si trova a leggere, non rimanga disorientato e molli subito la presa, rinunciando a capire. È qui che entrano in gioco i giornalisti scientifici, ma la logica del mercato, che privilegia la vendibilità delle notizie, può compromettere la qualità e l’accuratezza della divulgazione. Pertanto, anche scoperte scientifiche di minore rilievo vengono presentate come rivoluzionarie sui giornali, con promesse di straordinari sviluppi futuri. Ad esempio, scoperte nel campo della biologia vengono spesso associate alla sconfitta di malattie come il cancro, l’Alzheimer e il Parkinson, mentre scoperte in fisica sono enfatizzate per il loro potenziale impatto sulla tecnologia di uso quotidiano, come telefonini e computer, anche quando le connessioni sono tenui o inesistenti.
I giornalisti scientifici competenti e onesti sono preziosi, ma purtroppo sono spesso relegati alle pagine interne o agli angoli meno visibili dei giornali commerciali. Questo rende la divulgazione accurata e ponderata un’impresa difficoltosa in un panorama dominato da interessi commerciali e sensazionalismo. La divulgazione alla Asimov e alla Dawkins è rara e la sanno fare solo scienziati col dono della letteratura (Asimov) o studiosi competenti e preparati, capaci di affascinare il lettore ignorante (Dawkins), rimanendo nel rigore dei concetti e dei principi.

Alessandro Longo

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Albert Einstein, Isaac Asimov, Marcel Grossmann, Richard Dawkins