G.C.C. – Il “Grande Cuore dei Carabinieri”
“FEDELE NEI SECOLI“
___________A M’ARCORD di FRANCO D’EMILIO
L’Arma dei Carabinieri ha una storia di grande valore, dignità, all’occorrenza pure di sacrificio, persino estremo, come testimoniato da tanti episodi, primo fra tutti per me, ammiratore della sua figura eroica, quello del vicebrigadiere ventitreenne Salvo D’Acquisto, fucilato il 23 settembre 1943 dai nazisti presso la Torre di Palidoro, oggi nel Comune di Fiumicino, immolandosi per salvare la vita di ventidue civili rastrellati per rappresaglia.
Il 21 settembre 1960, nell’imminenza del 17° anniversario della morte del giovane D’Acquisto, inaugurandosi la stele, qui sotto in foto, a sua memoria, mio padre mi condusse da Firenze a quell’evento: avevo dieci anni, calzettoni e calzoni corti, un berrettino che il babbo mi sfilò di capo, al momento del silenzio e degli onori; tanta gente commossa, tanta rappresentanza di carabinieri e militari d’altre armi, in servizio e congedati; una delle poche volte che ho visto mio padre piangere, allora fermo con la mano nel saluto militare.
Eppure, l’autorevolezza, la fiducia ispirate dalla Benemerita, questo il termine per antonomasia per designare l’Arma dei Carabinieri, derivano innanzitutto dall’impegno costante profuso nell’assolvimento dell’attività ordinaria con diversi compiti, tutti essenziali alla vita dei cittadini, basti pensare, ad esempio, alla sicurezza, al controllo del territorio, all’ordine pubblico.
Proprio in questa ordinarietà del servizio, già condotta con tanto amor patrio e ferma consapevolezza di servitori dello Stato, nascono spesso gli atti di valore, personale e collettivo, dei nostri Carabinieri, sempre presenti nella nazione e in missioni all’estero, sempre vigili e soccorrevoli dal piccolo borgo al paese, sino alla grande città.
In questo ambito, prima ordinario e poi particolare, è radicato il motto “Fedele nei secoli” che bene rappresenta la Fedeltà del Carabiniere alla Patria. Professione sempre difficile quella del carabiniere, spesso anche sospesa tra il giusto rispetto di regolamenti e procedure militari, da una parte, e quel patrimonio di sentimenti, di umanità che, dall’altra, insorgono, premono, invece, come dovere morale.
Infatti un buon carabiniere è sempre contemporaneamente un brav’uomo e un cittadino responsabile, mai dimentico di costituire un esempio, se necessario anche un monito, onorando ancora di più, così, la sua inconfondibile, quasi iconica divisa.
In questi giorni sono stato sollecitato a tali considerazioni da un avvenimento accaduto poco più di un mese fa: Veronica – una giovane con un difficile momento adolescenziale per l’uso di stupefacenti – si è laureata presso l’Università degli Studi di Urbino, condividendo questo importante traguardo con quattro Carabinieri, qui sotto in foto, tre uomini e una donna, in servizio presso la stazione dell’Arma a Brecce Bianche di Ancona.
Il motivo? Semplice, Veronica, come ha dichiarato la madre, ha voluto testimoniare la sua riconoscenza ai carabinieri che, pur nell’assolvimento dei loro compiti di lotta alla droga, le hanno manifestato vicinanza, conforto, sostegno perché si recuperasse a una vita serena, feconda di giusti obiettivi.
Guardateli, sorridenti e, forse, pure un po’ impacciati, ma, sono convinto, sotto sotto orgogliosi di essere riusciti con Veronica a far convivere nella loro persona il carabiniere con il cittadino, il rappresentante istituzionale con le emozioni della gente comune. Certo, sono andati, pur nel rispetto della legge e del codice militare, oltre il loro dovere, sostenendo una giovane donna sino al conseguimento della laurea.
Ma, in fondo, è lo stesso movente alla base del sacrificio di Salvo D’Acquisto per salvare 22 civili, come testimoniò l’Ordinario Militare Mons. Gaetano Bonicelli, in occasione del 40° anniversario della scomparsa del grande eroe: Salvo D’Acquisto ha fatto il suo dovere in grado eroico, ben oltre quello che il regolamento gli chiedeva. ….Forse, in quel momento tragico, gli sono risuonate nel cuore le parole di Cristo “non c’è amore più grande che dare la vita per chi si ama”.
I quattro Carabinieri della stazione di Brecce Bianche di Ancona non sono stati eroi, ma sicuramente militari ligi al dovere e, al tempo stesso, persone disposte all’amore, all’aiuto. Penso questo, immaginando la sofferente fermezza con la quale Carabinieri e Polizia di Stato fronteggiano spesso cortei giovanili di protesta: non deve essere facile, ma non si può rifuggire dal dovere scelto.
Altro caso di superamento dell’ordinarietà di servizio a onore dello spirito di abnegazione e dell’amore per l’Arma è quello che celebrai il 28 luglio 2020 nell’articolo “Il Maresciallo dei Carabinieri di Predappio” sul quotidiano on line RomagnaUno: il Mar.llo Maggiore Alessio Donnini, “faccia bonaria, attenta, ma cordiale dall’alto della sua figura prestante”, fuori dall’orario di servizio si era fatto carico di risistemare il muro di recinzione della caserma predappiese, dunque provetto muratore, stuccatore e imbianchino, supportato dall’aiuto della consorte. Il motivo di tale opera? Il rispetto, la cura dell’immagine e della dignità della Benemerita, anche a partire dal decoro della propria stazione.
Anni fa, ancora ero funzionario presso l’Archivio di Stato di Forlì, ho, poi, conosciuto l’ordinarietà di servizio di Lugi Principe, oggi Ufficiale dell’Arma, non so se tuttora a Ravenna, allora incaricato di condurre ricerche, pure di rilevamento nel terreno, atte a chiarire taluni avvenimenti alla fine della Seconda Guerra Mondiale nel forlivese: sotto la divisa del carabiniere pulsava l’anima straordinaria di un capace investigatore archivistico che cercava di far luce su trascorsi storici; ne ho molto apprezzato l’entusiasmo e il rigore.
Infine, il ricordo vivo di Nicola D’Andrea, carabiniere originario di Avigliano in Basilicata, spesso a casa mia perché grande, cordiale amico della mia famiglia: un omone, quasi un armadio a due ante, due mani grandi e possenti, ma lievi nella carezza di saluto a me bambino che gli aprivo la porta. Sposato con la signora Anna di Pontassieve, abile sarta ricercatissima dalla grande sartoria fiorentina, ma senza figli, eppure, passatemi la definizione, carabiniere-padre adottivo di figli sfortunati altrui.
Tra i tanti servizi svolti pure quello di traduzione di carcerati da un carcere all’altro e in questo compito l’occasione di conoscere giovani, sfortunati e colpevoli, che egli aveva ritenuto, a suo giudizio, recuperabili: incredibile, con alcuni tanto aveva fatto che alla fine l’aveva vinta, impegnandosi e garantendo di suo per un lavoro, una casa, magari un aiuto economico, oltre quello immancabile proprio e della moglie. Così, il carabiniere Nicola e la signora Anna erano diventati genitori di bravi ragazzi, un tempo fuori dal seminato, persino nonni di prole di nuova speranza. Perché tutto questo? Il motivo di sempre, il carabiniere che agisce con l’uomo.
Tutto questo per significare che ovunque ci sia un carabiniere, anche sbarbatello, c’è lo Stato, una presenza inderogabile e ferma che rimanda agli uomini dell’Arma caduti in guerra; a quelli deportati nei campi di concentramento per la loro fedeltà al re; a quelli colpiti a morte negli anni di piombo o nella guerra alla grande criminalità, come il Gen.Carlo Alberto Dalla Chiesa; a quelli subito lesti a correre nei luoghi di grandi calamità; a quelli in difficili missioni di pace all’estero; infine, a quelli caduti in vili agguati, come i giovani Otello Stefanini, Andrea Moneta e Mauro Mitilini nella strage del Pilastro a Bologna.
Tutto questo sta nella missione e nel destino della Benemerita, non dimentichiamolo.
A proposito, tanto per finire con una nota leggera, non vi illudete, i migliori narratori di barzellette sui carabinieri sono solo i diretti interessati: anche in questo caso il merito è loro.