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LIMONOV, IL FILM – UNA RECENSIONE

Scritto da Danilo Pette il . Pubblicato in .

Camminavo sotto la pioggia quando sono scivolato dentro a un cinema mentre partiva Limonov. Limonov Il film.

Ah, i torbidi russi…

Non c’è altro da fare che accomodarsi sulla poltrona di panno rosso. Limonov il film è ripreso da Limonov il libro, arcinota biografia che Emmanuel Carrèr ha dedicato al personaggio in questione (Limonov – Emmanuel Carrèr – Gli Adelphi 2012), Eduard Veniaminovic Sovenko, Limonov. Un film che ha trovato diversi problemi durante la sua realizzazione. Il regista è Kirill Serebrennikov, agli effetti speciali abbiamo Timofej Gostev ed Ekaterina Rublëva e i Produttori sono talmente tanti che in pratica è da dieci minuti che mi godo sul grande schermo i loghi e le sigle di Wildside, Pathé, Chapter 2, France 3 Cinèma, Vittorio Cecchi Gori Group, Metro Baldwin Alec, Vision Distribution, Fremantle Espana e mi pare di averli detti tutti e anche qualcuno in più.

Il regista parte subito in quarta, già dai titoli iniziali resi in computer grafica, rapidi e colorati: si uniscono, si mescolano, si sovrappongono a foto d’epoca e poi si ricompongono nel nome Limonov. Computer grafica che sarà una costante del film, segnalerà via via date, capitoli, parole chiave. Andrà a manipolare le figure stesse degli attori, cerchiandole con tinte da evidenziatore o mutandoli in cartoni animati; e ancora straccerà il panorama come si strappa una foto, inserirà gli attori all’interno di filmati d’epoca della Russia fine anni ’60, degli Stati Uniti anni ’70, della Parigi anni ’80 e di nuovo la Russia anni ’90. L’uso costante della computer grafica renderà il film dinamico, mobile, fantasioso, con scritte che appaiono e scompaiono, e gli attori che le attraversano fisicamente, come se non ci fossero affatto (e infatti non c’erano sul set, immagino…). Tale lavoro grafico rende il film pop-art, moderno, con espedienti che ricordano Mtv, Video Music, le pellicole di Tarantino o “Il Divo” di Sorrentino, per fare un esempio italico di chi già lo aveva fatto.

Niente di nuovo sotto il sole.

Siamo nel 1989, a Parigi, e il nostro Limonov è ormai uno scrittore affermato dell’underground letterario europeo. Eccolo lì, che si gode una fama di nicchia nella Ville Lumiére, questo poeta guerrafondaio, questo delinquente senzatetto, il militante individualista. Ma ce n’è voluto per arrivare trionfante a Parigi, per giungere vivo al 1989; ce ne sono state di esperienze notevoli che questo sovietico impenitente si è già lasciato alle spalle. Come mai il film inizia da qui, per la miseria? Lo sa il regista delle esperienze notevoli lasciate alle spalle? Lo ha letto il libro di Carrèr, o ha comprato l’edizione che inizia da pagina 157? Cosa succede qui, ci vuole fregare il vecchio Kirill? Sto per andare a chiedere il rimborso di metà biglietto, quando sullo schermo entrano rimbalzando delle lettere rosse che compongono la parola e i numeri ‘Char’kov 1945’, città dell’attuale Ucraina, all’epoca Repubblica Socialista Sovietica, in cui Limonov ha vissuto infanzia e giovinezza. Ok, tutto chiaro allora: siamo in pieno flashback rispetto ai fatti di Parigi, il regista ha comprato l’edizione normale e io torno buono buono a sedere. Ecco che parte il racconto della vita violenta passata da Limonov sulle strade di Char’kov, tra bande di teppisti, furti e scippi, industrie e fonderie. Lo vediamo tra filmati d’epoca, mentre impiccia e imbroglia, uscire dalla fabbrica stremato, tra cortine di ferro e austerità socialista. Ha la faccia di Ben Wishaw, attore inglese che in passato ha già interpretato un poeta, John Keats in quel caso, nel film “Bright Star” (2009). E sono due poeti per il buon Ben. Assomiglia a James Franco lui, ma non lo è, è Ben Wishaw. Non è Goblin., per intenderci, ma ci rassomiglia.

Questa parte del film e della vita di Limonov, scorrono in un montaggio rapido di immagini miste, foto e filmati veri, scene da teatro di posa, asfalto, luci fioche, NKVD. Giungiamo dritti dritti a Mosca, quando il nostro eroe prova a inserirsi negli ambienti colti della U.R.S.S., proponendosi come giovane poeta. La gavetta tra fiumi di inchiostro e samogonka, samizdat, letture nel salotto e sigarette fumate in cucina. In tutto quel brillante grigiore, piano piano si fa notare il giovane poeta venuto dalla provincia remota, si fa notare con il vecchio metodo di strisciare dentro le lenzuola di qualcuno che conta, e qualcuno che conta, all’epoca, è Anna Moiseevna Rubinstejn, matrona intellettuale e cerimoniere del salotto più importante dell’underground letterario sovietico, che raccoglie un discreto numero di artisti, dissidenti eccentrici e disadattati. Siamo negli anni ’60, Limonov è un giovane arrivista che si mantiene cucendo pantaloni alla moda americana, mentre Anna è già in là con gli anni, schizoide e trasandata. Il rapporto dura finché, ad una festa di scrittori, Limonov incontra Viktor, alto rappresentante della cultura dell’epoca, e la di lui amante, Tanja, che nel film diventa Elena (è Elena pure nella realtà). Le tinte pop del film aumentano alla prima sfavillante entrata in scena di Elena, che veste alla moda americana degli anni ’60, e si manifesta a noi sotto forma dell’attrice Viktorija Mirosnicenko, perfetta nel ruolo di “ragazza del Piper” tossicodipendente. L’amore folle dei due, è tutta nella scena urlata in cui Limonov va a cercare Elena direttamente a casa di Viktor, buttandogli quasi giù la porta. Quindi Viktor la apre (è un bestione d’uomo ad aprire quella porta, avrebbe fatto bene a valutarlo prima..) e lo stende. Nell’inquadratura stride quel corpo muscoloso e nudo davanti al mucchietto d’ossa del nostro eroe innamorato folle, che con il sangue che gli cola dalla bocca e dal naso, imbratterà tutto il piano dell’appartamento scrivendo il di lei nome sulle pareti bianche. Si taglierà le vene, per far capire meglio l’antifona. E che poteva fare la ragazza del Piper tossicodipendente, se non innamorarsi di un uomo così?

Infatti si innamora e lascia Viktor.

Il capitalismo a stelle e strisce entra a gamba tesa nella pellicola, e veniamo proiettati nella New York metà anni ’70, con i due protagonisti che si sono fatti espellere dalla U.R.S.S. per raggiungere gli U.S.A. Per tutta questa parte del film, mi permetto di dissentire sul trucco e parrucco scelto per l’attore, il caro Ben. Vada per gli abiti a “La Febbre del Sabato Sera”, vada per i Ray-Ban sempre sugli occhi e la sigaretta perennemente in bocca, ma quella parrucca no, quella proprio non vada. La parrucca fatta indossare all’attore non è stata affatto una scelta felice, dà un effetto fake o, in un linguaggio più tecnico, ‘fratta in testa’. Ma Elena apre una porta e siamo dentro Broadway la Magica, tra specchi e luci, taxi gialli e fumo dai tombini, e i due si muovono felici e contenti per aver lasciato la Madre (Russia) ed essere entrati nelle viscere dello Zio (Tom). Nella prima passeggiata della coppietta, da notare l’omaggio rapido a “Taxi Driver”, con una prostituta sul fondo che veste gli stessi abiti di Jodie Foster nel film del ’76. E chi poteva accompagnare la passeggiata di questi due sbandati nella notte americana, se non Lou Reed? E proprio di Lou si potranno ascoltare diversi brani durante il film, come “Sunday Morning”, “Walk on the wild side” o “I’m waiting for the man”. La pellicola, in questa parte, mette il turbo, soprattutto nella rapidità del susseguirsi degli eventi (che sono molti davvero, cioè, parliamoci chiaro, 358 pagine di biografia mica caramelle…con me non ci fanno manco 5 pagine, e con voi?). Limonov ed Elena vivono l’idillio, poi si lasciano, lui impazzisce, si sbronza, si droga, si trucca e gira per la città imitando le movenze di lei. E come finisce questa bella crisi irreparabile delle sinapsi e del cuore? Cos’è in grado di redimere il nostro eroe dal baratro dell’abbandono, la depressione e la follia? Avrete già capito tutti: un bel rapporto sessuale completo con un barbone di colore avvinazzato, tra i vicoli più sporchi della città. Che altro senno’?… sarà capitato a tutti, nei momenti bui…

Da questo momento in poi il ragazzo è pulito, si è ripreso del tutto e punta al successo planetario: scrive il suo libro di maggior successo “Eto, ja – Edicka” (’79) in Italia “Il poeta russo preferisce i grandi negri” (’85), scandalizza tutti, è un astro nascente spavaldo, un pavone dell’Est. E mentre galleggia nelle strade di New York accompagnato dalle note di “Walk on the wild side”, un macchinone nero vomita fuori dei sicari armati che lo crivellano proprio lì per strada, davanti a tutti.

Questo non è mai successo, Vostro Onore.

E’ un espediente del regista, che vuole intendere la fine di un periodo per Limonov, quello della bohème. Via gli anni ’70, via i pantaloni a zampa e finalmente via quella parrucca. Testa mezza rasata, occhiali da vista e non scuri, maglia dei Ramones insomma, gli anni ’80. Limonov si trova un lavoro come maggiordomo di un miliardario pezzo grosso. Se la passa bene, scrive bene, ma non raggiunge alcun risultato. Trucco e parrucco qui vanno alla grande, Ben assomiglia davvero a Limonov. In questa parvenza di vita stabile e tranquilla, arriva il piano sequenza centrale del film. I fatti ci mostrano un Limonov frustrato dalla situazione di servitù, ed esaltato dalla voglia di farsi strada nella vita a colpi di Letteratura. Tutto esplode nel piano sequenza, dove le cose si fanno serie e lui, pertanto, si toglie la maglietta dei Ramones mentre le casse sparano a tutto volume “Pretty Vacant” dei Sex Pistols. D’altronde Limonov “aveva eletto a suo eroe Johnny Rotten” (Limonov – Carrèr, pag, 17) e dedicato libri firmandosi “il Johnny Rotten della Letteratura” (ibidem. pag. 165). Il film deflagra e il piano sequenza inizia: il nostro eroe si aggira per strade, negozi, stanze, mentre dal cielo piove copiosamente cenere nera. C’è aria di tafferugli e scontri, di scelte radicali e irrevocabili, mentre l’attore si muove correndo, quasi fuggendo, braccato dalla telecamera attraverso scritte rosse come Rivoluzione, Dissidenza. Al termine del piano sequenza, siamo di nuovo a Parigi, e poi subito a Char’kov, Dicembre 1989. Limonov torna a casa dopo l’esilio, va a trovare i genitori per l’ultima volta. Il passaggio dagli anni di New York a quelli di Parigi, espresso nel piano sequenza, risulta un poco debole, sopratutto per l’effettiva scarsa potenza delle immagini. A Char’kov vediamo i genitori del protagonista, anziani e rimbambiti dalla propaganda comunista, avversi all’Occidente e lontani anni luce dal figlio. Tornato a Parigi Limonov riprende la sua vita di personaggio famoso e dissidente, poeta maledetto e rockstar letteraria, che fa interviste radiofoniche aggressive, provocatorie e volgari, durante le quali arriva a svuotare un bicchiere di vodka in faccia alla giornalista-intervistatrice. Tutte le implicazioni politiche del personaggio vengono taciute dal regista, che non intende affrontare da vicino questo argomento. La fama di fascio-comunista, il ritorno in patria nel ’91 dopo la caduta della U.R.S.S. e la creazione della rivista Limonka, la nascita del partito Nazional-Bolscevico, fondato con Aleksandr Dugin, la propaganda e il reclutamento di centinaia di giovani russi, i comizi, gli arresti. Nulla di questo aspetto della vita di Limonov viene rivelato nel film. Neanche i fatti caldi di Sarajevo del ’91-’92, che lo vedono fisicamente al fianco delle posizioni più radicali e violente serbe, come soldato dei Balcani. Sempre con la rapidità della computer grafica e in montaggi di immagini vere e recitate, troviamo il nostro Limonov a capo di un gruppo di giovani russi maniaci dei muscoli e apparentemente irragionevoli, i Nazbol, l’esercito privato di Eduard Limonov. Con la scelta del regista di non rappresentare le vicende politiche del personaggio, a livello di narrazione, lo spettatore è a questo punto vittima di uno straniamento, una confusione. Cosa diamine è successo? Chi sono questi? Cosa è diventato Eduard e come ha fatto? Ma non c’è risposta. Vediamo solo il protagonista di spalle attraversare scene alla “Fight Club” e C.S.O.A. , con orde di giovani pazzi che gli fanno il saluto di riverenza. Era un Vip e adesso è un Monarca Assoluto, alla faccia dei dettagli. Nelle scene successive, alti funzionari lo avvertono del rischio che corre, e lo invitano ad entrare come membro del governo, promettendogli benessere e salute, in una scena girata interamente in macchina, con fuori la neve dell’Inverno russo. L’alto funzionario è lo stesso che aveva curato le pratiche di espulsione di Limonov ed Elena negli anni ’70. Dopo aver rifiutato, il nostro eroe attraversa a piedi quel biancore invernale, finendo ululante a terra per la terribile decisione presa, quella di mettersi di nuovo contro il Potere. Finisce quindi in galera per cospirazione e manifestazioni antigovernativa, e nell’ultima scena del film, esce da ‘le sue prigioni’ trionfante, firmando autografi ai secondini e con folle di Nazbol e giornalisti che lo attendono trepidanti. I Nazbol rovinano la scena ai giornalisti, entrando in campo per abbracciare festanti il loro leader. Limonov li fa retrocedere per ripetere la sua uscita, a favore delle telecamere stavolta. Bel colpo Kirill, perfetto finale per descrivere un rivoluzionario che conosce bene le regole dei suoi avversari e sa come usarle. La cosa più reale di Limonov rappresentata fino a questo momento, a mio modestiiiiissssiiimo.

Come impressione finale, credo che l’omissione dei fatti relativi alla militanza politica attiva di Limonov, renda debole la sceneggiatura, per lo meno nella parte finale della pellicola, in cui lo ritroviamo, quasi dal nulla, a capo di un partito e un movimento dissidente e interventista. Difficile scelta narrativa, non c’è che dire. Comunque, non scordiamoci mai amici, che la sceneggiatura stessa nasce da una biografia, quella di Carrèr. Dunque la storia vera del personaggio in questione passa per le mani prima di un biografo e poi di un regista. Un doppio inganno, in senso buono ovviamente, per raccontare una persona davvero poliedrica e difficile da inquadrare, come si è detto, rischiando di alimentarne solo il mito pop.

Ecco, allora mi tocca di fare il dissidente a me, stavolta… faccio un finale di recensione sovversivo in stile bolscevico, lo faccio proprio ora, continua a leggere…

Diciamo NO, compagni, NO ai film tratti dalle biografie, niet. Diciamo No, compagne, allo studio sui libri scritti da altri: andate a studiare le fonti, fate un film su Limonov leggendo i libri di Limonov! (che purtroppo scarseggiano in Italia, a parte quelli scritti in età avanzata dentro le carceri russe). A pagina 20 della biografia di Carrèr, veniamo a sapere che lo stesso ha passato due settimane con Limonov.

Due settimane, per più di sessant’anni di storia al fulmicotone.

Kirill, seriamente… devi pensarci.

Al lavoro e alla lotta, dasvidania!

Il vostro affezionatissimo si è divertito e spero così di voi.

I miei saluti

Danilo Pette

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