ORFEO E EURIDICE – QUASI UN SAGGIO SUL MITO
Scritto da Danilo Pette il . Pubblicato in Costume, Società e Religioni.
Volevo farci un saggio con questo, davvero, un bel saggio lungo, con le note, la bibliografia, tutto ben documentato, con le prove in aula vostro onore. Ma poi ho parlato con il mio editore che mi ha detto: lascia perdere, lascia stare, non te lo pubblico neanche se mi tagliano i co#@!!?
Allora ho pensato a voi, cari lettori, al vostro gusto educato alla bellezza, alle vostre conoscenze di ampie vedute. Ho pensato “ma certo, loro, se non loro chi?”, ed eccoci qua, tutti assieme, un bel gruppetto noi, a condividere quello che doveva essere un bel saggio di trecento noiose pagine e che come per magia editoriale diventa un articoletto per pochi intimi.
Visto che siamo tra di noi, tiro subito la bomba:
Cos’è il mito?
Bene, da Platone a de Fontanelle, da Schelling a Bultman se ne sono date di definizioni da riempirci un treno merci, tutte valide, tutte strepitose. Vogliamo con questo articolo aggiungere qualcosa di concreto a questa enciclopedia che ruota attorno alla definizione di mito?
Certo che no, amici, manteniamo la calma.
Se mai ce ne fosse bisogno, vorrei con questo articolo giusto puntualizzare la vitalità ancora attuale dei miti, la capacità di simboli e credenze di avere a che fare con le nostre esistenze attuali, proprio di noi, figli della tecnologia che abbiamo messo l’anima in arresto di sistema.
Perché?
La risposta è semplice, ovvia, se n’è scritto e parlato fino alla nausea: i miti hanno a che fare con gli archetipi e gli archetipi hanno a che fare con te, che tu lo voglia o meno. Nulla è cambiato dalle pitture rupestri dell’età della pietra ad oggi: “simbolo” era allora la sagoma dipinta dell’animale da cacciare, “simbolo” è oggi il carrello di +aggiungi al carrello.
E basta.
Facile no?
E i miti che oggi leggiamo dopo secoli di occhi che li hanno letti, ancora riescono a parlarci del nostro quotidiano, perché parlano delle passioni, le prove, le occasioni, i dilemmi che sono comuni agli uomini in quanto uomini. Il Pelide Achille attrarrà sempre gli audaci, Loki l’Astuto parla ancora ai truffatori, l’Amore impossibile ci commuove ancora dalla vicenda di Sayohime, mutata in pietra dalla tristezza, come la tristezza fa con noi ancora oggi, ci pietrifica. Vero?
Il mito è roba da passato remoto, siamo d’accordo, parla di uomini, regni e civiltà morte e sepolte, eppure quello che è rimasto di questi uomini, regni e civiltà, rappresenta comunque le riflessioni di persone uguali a noi, che funzionano esattamente come noi, dentro intendo!
Basta pensare ai simboli, un riassunto di miti e conoscenze, che oggi sono più vivi che mai, ma che, per ragioni diverse e molteplici, si sono trasformati in emoticons. Che ci vuoi fare, è andata così…vuoi o non vuoi, oggi come oggi, una grossa M gialla dai tratti arrotondati ti farà pensare ad hamburger e patatine, una “f” bianca in campo azzurro, una “X” o un fringuello cinguettante ti faranno pensare alle attività sociali, l’immagine stilizzata di un cestino ti farà pensare alla cancellazione, l’oblio. I simboli sono diventati marchi, ma rispondono sempre ai bisogni, alle pulsioni di cibo, di socialità, di esibizione, di partecipazione. La società dei consumi, già da tempo, si è impossessata del funzionamento del sistema simbolico. Lettere, acronimi, frecce, baffi, spunte, sono semplici immagini che devono racchiudere altro, un concetto, una conoscenza, complicata o semplice che sia.
Il problema della simbologia moderna rispetto alla simbologia antica è che non regge la prova della temporalità. Non ha chance, è ovvio, così com’è legata al mercato dei consumi, non ha possibilità di superare più di qualche generazione. La simbologia antica, il mito, alludevano a cose universali perché profonde, legate all’uomo per sempre, in quanto creatura del creato non in quanto consumatore. Per ogni passione, per ogni pulsione, idea, sentimento, emozione, crimine, elevazione, ci sono miti di riferimento. Il consumo invece, in un certo senso, gli ha dato da pensare ad altro all’uomo, piuttosto che alle cose profonde. Ed ecco allora che la simbologia moderna si limita ad alludere solo ai bisogni: comunicare, mangiare, vestire, bere. Puzza di business lontano un miglio, non ci sono riflessioni e insegnamenti sulle virtù o le parti oscure di noi, ci sono solo ricoveri per shopping compulsivo, banche rotte fraudolente e denunce per cleptomania.
Siamo condannati dunque a perderci in foreste di simboli inutili, fatui, superficiali, trascurabili?
Ebbene sì, amici miei, lo siamo, fatevi forza.
La società si va via via inasprendo, la spunta sempre il peggio, abbiamo avuto torto e tutti i nostri eroi hanno tradito.
Ma ecco la buona novella, amici, rallegrate! Sprofondiamo verso il fondo del barile, amici, festeggiate!
E’ proprio in momenti del genere, senza idee, il morale a terra e l’encefalogramma piatto, che si possono rileggere i miti antichi, le storie di quelle società ormai scomparse sotto le sabbie o in fondo agli oceani, le società che non pensavano ad altro, e che avevano il tempo di riflettere sulla natura dell’uomo e sulle cose segrete. Ora che siamo con le spalle al muro rileggiamo gli antichi suggerimenti e vediamo se non ci si trova qualcosa che parla di noi, a noi, per noi!
Vi faccio un esempio.
Prendiamo il mito di Orfeo e Euridice. Ah, che poesia, che magnifica e tragica storia d’amore, con tanto di discesa agli Inferi. Ce l’hanno proposta a scuola, nelle opere dei grandi artisti, dai pittori ai compositori, ai poeti. C’è tutto in questa storia, la passione, la disperazione, la prova, il colpo di scena finale, la morta… oggi ci farebbero una serie in due stagioni! Ma a parte i soldi che ci si possono fare sopra, questo mito, oggi come oggi, cosa ha da dirci? Cosa vuole da noi? Nel senso, quando mai dovrò scendere all’inferno per salvare la fidanzata morta alla quale, grazie alla mie doti canore, è stata accordata un’altra occasione di tornare in vita? Per carità, le mie doti canore sono niente male, ma dubito di poter riuscire a tanto. Oltretutto anche Orfeo fallisce il suo proposito. Il ragazzo fa tutto bene, ma davvero tutto, però si perde all’ultimo: addormenta Cerbero, scende a patti con Ade, ma fallisce l’ultima prova. Aveva promesso di tornare in superficie senza mai voltarsi indietro verso Euridice che intanto lo seguiva, ma quando ormai già vede la luce del Sole filtrare, all’ennesimo richiamo della ragazza, che fa ‘sto mezzo matto? Si gira.
Prova fallita, la morta torna nella tomba e l’innamorato nelle braccia della sua disperazione.
Con chi ce l’ha questo mito? Con noi no di certo, penserete voi, amici.
Ma proviamo insieme, proviamoci.
Si sente parlare oggi giorno della violenza che sembra aver invaso le dimore di noi italiani: la violenza domestica che sembra ormai essere all’ordine del giorno, con casi trasmessi in radio, TV, social media. Figli che picchiano le nonne, padri che ammazzano le madri, madri che ammazzano le zie. Il grosso della violenza sembra manifestarsi soprattutto all’interno delle coppie, con gli ormai più che noti episodi di femminicidio, che purtroppo non hanno bisogno di essere ricordati con sforzo di memoria, tanto sono frequenti negli ultimi tempi. Ora, il mito in questione ci parla di una coppia, vero, ma Orfeo nella vicenda si pone come possibile salvatore della ragazza, non certo come freddo aguzzino. E allora? Calmi, andiamo avanti, analizziamo bene la prova che il ragazzo deve affrontare: uscire dall’inferno senza mai voltarsi a guardarla, anche se lei lo chiama, se gli chiede aiuto, se lo supplica in lacrime. Il patto è chiaro: lui dovrà uscirne da solo senza voltarsi mai, quale che sia la condizione. Solo allora potrà di nuovo riabbracciala.
Orfeo allora mi fa pensare alle moderne e tragiche storie d’amore, proprio quelle di cui parlavo prima e che affollano ormai l’etere. Parlo di quel tipo di partner che non accetta la separazione, e costringe l’altro all’Inferno, l’Inferno di se stesso: l’Inferno della sua presenza ormai non gradita, l’Inferno dei suoi goffi tentativi di riallacciare rapporti ormai gualciti irrimediabilmente, l’Inferno degli insulti e delle violenze. L’amore non corrisposto ancora brucia le nostre anime da autogrill, ancora ci porta a gesti disperati come le percosse, l’omicidio, e tutto per non essere riusciti, proprio come Orfeo, a cavarcela da soli senza guardarci più indietro, senza cercare l’altro come appoggio necessario al nostro proseguire. Un partner che non accetta una separazione definitiva, uomo o donna che sia, costringe davvero l’altro a situazioni di inferno che possono presto degenerare, e che sono lo specchio dell’Inferno che sta passando in prima persona. Non imparare ad accettare la fine, la separazione, anche quando fa male da morire, è una mancata maturazione emotiva.
E Orfeo, fallendo la prova, costringe per sempre Euridice all’Inferno, e se stesso ad un esistenza disperata alla continua ricerca di quello che, su questa Terra, non esiste più. E si sappia che è quello che accade a chi non sa rassegnarsi alla fine di qualcosa, e continua a voltarsi indietro per evocare un immagine ormai morta, senza poter lasciarla andar via, e senza riuscire a tornare alla luce con le proprie forze, per poter ricominciare ad amare di nuovo, fuori dagli inferi del proprio io.
Anche questo vuole dirci il mito, che per quanto mi riguarda parla ancora, eccome se parla. Bisognerebbe ogni tanto darsi una bella lavata alle orecchie…
Vi lascio una poesia di Franco Beste, amico e scrittore, proprio su quest’argomento, chissà che ci tirate fuori un ragno dal buco:
Però che grande impresa
stavolta ha fatto Orfeo,
neanche un bel ricordo
neanche un piagnisteo
voltarono il suo sguardo
che restò dritto e fermo.
E quindi lei fu salva,
fu salva
dall’Inferno.
Il vostro affezionatissimo si è divertito e spero così di voi.
I miei saluti
Danilo Pette