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In mostra a Roma la rivoluzione futurista

Compagni! Noi vi dichiariamo che il trionfante progresso delle scienze ha determinato nell’umanità mutamenti tanto profondi, da scavare un abisso fra i docili schiavi del passato e noi liberi, noi sicuri della radiosa magnificenza del futuro. … questo un significativo passo del Manifesto dei pittori futuristi, pubblicato a Milano l’11 febbraio 1910, quale volantino allegato alla rivista Poesia, quasi un anno dalla pubblicazione sul giornale parigino Le Figaro dell’annuncio declamatorio, a firma di Filippo Tommaso Marinetti, titolato Fondation et manifeste du futurisme.

                                         

                 Roma, Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, mostra Il Tempo del Futurismo

 

Nasce, così, il Futurismo, travolgente avanguardia letteraria, artistica e politica italiana del ‘900, capace di influenzare sino agli anni ‘50 analoghi movimenti d’avanguardia in Europa, Francia, Stati Uniti ed Estremo Oriente; impetuosamente, si afferma il Futurismo, radicale innovatore in anticipo sul Fascismo, del quale sicuramente, solo in parte e discontinuamente, è ispiratore e partecipe, ma mai succube. Nel fuoco di guerre incombenti, sospinto da tanta nuova tecnologia nel campo della comunicazione, dei trasporti e da tanto mutamento sociale, politico dei popoli, il Futurismo si proclama alfiere e interprete esclusivo della modernità contro il passatismo, il soggettivismo, l’immobilismo di tutto ciò che risulti decadente, personalistico; per questo rompe schemi, canoni della tradizione espressiva. Nella loro esaltazione della modernità, la letteratura, l’arte e la politica futurista scelgono le corde della temerarietà, dell’energia, pure intesa come aggressività, violenza fisica, e, infine, della velocità, comprensiva di quella rapidità lampo, persino istintiva, che tanto caratterizza le avanguardie.

                                             

                                                                 Ivo Pannaggi, Treno in corsa, 1922

Il Futurismo s’impone come movimento di rottura, piena ribellione allo “status quo”: dunque, nuovi ritmi narrativi e poetici; nell’arte, lo scontro, spesso caotico, di un vorticoso intreccio di linee con colori, esplodenti nel gioco impazzito di luci fantasmagoriche, quasi caleidoscopiche; infine, il valore politico misurato sulla prevalenza di chi giustamente vincente per l’audacia modernità irruente delle sue proposte. Tutto questo, praticamente vissuto, bruciato in poco più di quarant’anni febbricitanti, saettanti come folgore nella storia e, come tali, narrati, documentati, esposti nella mostra “Il Tempo del Futurismo“, sino al prossimo 28 febbraio allestita presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma. Evento culturale davvero ben realizzato, efficacemente rivolto ad un pubblico vario perché capace di soddisfarne ogni attesa: dal visitatore attento, riflessivo osservatore a quello semplicemente curioso, magari compiaciuto di calarsi nell’atmosfera di una manifestazione culturale tanto attesa e pubblicizzata; dall’intellettuale contemplativo al bambino a bocca aperta dinanzi all’idrovolante rosso da corsa Macchi Castoldi MC72 o alla FIAT Record Siluro Chiribiri del 1913 (sotto in foto).

 

Insomma, una mostra che allarga, rende popolare il Futurismo e la sua storia fuori dagli angusti confini culturali di un pubblico elitario, ancora di più dal ghetto di quella “damnatio memoriae”, nel quale questa rivoluzionaria avanguardia italiana è stata ingiustamente relegata per i suoi rapporti con il Fascismo. Ventisei sale, ampie e di agile percorribilità, oltre che sapientemente illuminate da fonte naturale e artificiale, accolgono poco più di 500 pezzi, dei quali 350 opere d’arte, tutti ben collocati ed illustrati lungo un percorso che taglia quattromila metri quadri, suddivisi per esaurienti sezioni tematiche. Una mostra anche coraggiosa che accanto alle opere dei celebri, direi consueti futuristi, come Marinetti e Boccioni, Balla e Carrara, Depero (sotto, a destra il suo  Paesaggio guerresco, 1916) e Severini, non ha esitato ad esporre “Fucina, studio di rumori” e “Five o’ clock tea” (sotto, a sinistra in foto), due pregevoli lavori, datati 1918, del tanto discusso intellettuale, filosofo e artista Julius Evola. Sempre e soltanto pretestuose, inconsistenti le critiche e le polemiche su questa mostra da parte della sinistra e della sua solita intellighenzia, costretta da questo fortunato evento a guardare oltre la punta del proprio naso, faziosamente avvezzo solo alla personale puzzetta.

                          

 


Foto autore articolo

Franco D’Emilio

Storico, narratore, una lunga carriera da funzionario tecnico scientifico nell’Amministrazione del Ministero per i beni e le atiività culturali
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