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USA vs Cina tra dazi e riarmo, la pace è il vaso di coccio.

USA vs Cina: tra dazi e riarmo, la pace è il vaso di coccio.

USA vs Cina: tra dazi e riarmo, la pace è il vaso di coccio. Scopri le dinamiche globali tra tensioni economiche e militari.

Con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, il panorama geopolitico globale sta subendo una drastica trasformazione. L’amministrazione Trump, fedele al principio “America First”, ha adottato misure che spingono gli Stati Uniti verso un neoisolazionismo sempre più marcato, ed una linea rossa invalicabile che vede coinvolti Panama, Canada, Groenlandia, con ripercussioni dirette su Cina, Asia e alleati storici di Washington.

La guerra commerciale USA vs Cina: una nuova escalation

Uno degli atti più significativi di Trump dopo il suo ritorno alla presidenza è stata l’imposizione di un dazio del 10% su tutte le merci cinesi. La misura è stata giustificata come una strategia per contrastare il traffico di fentanil, ma si inserisce chiaramente nella più ampia guerra commerciale tra le due superpotenze. Inoltre, l’amministrazione Trump ha proposto dazi del 100% sulle importazioni provenienti dai Paesi che rifiutano il dollaro come moneta di scambio, una mossa chiaramente rivolta ai BRICS, in particolare a Cina, Russia e India, che stanno cercando di promuovere valute alternative nel commercio globale.

La risposta di Pechino non si è fatta attendere: la Cina ha annunciato tariffe del 15% su carbone e gas naturale liquefatto statunitensi e del 10% su petrolio greggio, macchinari agricoli e alcune automobili. Inoltre, ha avviato un’indagine antitrust su Google e ha imposto controlli più rigidi sull’esportazione di minerali critici, essenziali per l’industria tecnologica occidentale.

Un consenso bipartisan: contenere la Cina

Nonostante il carattere aggressivo delle politiche di Trump, è importante sottolineare che il contrasto alla Cina non è una sua esclusiva. Anche l’amministrazione Biden aveva mantenuto alta la pressione su Pechino con nuovi dazi e restrizioni tecnologiche. Ciò dimostra che esiste un consenso bipartisan sulla necessità di contenere la crescita cinese. Tuttavia, con Trump si prevede un’intensificazione della retorica anti-cinese e la possibilità di misure ancora più severe, come dazi fino al 60% sulle merci cinesi e sanzioni al 100% per i Paesi che abbandonano il dollaro nelle transazioni commerciali.

Dazi sui chip di Taiwan: protezionismo o strategia industriale?

Oltre alla Cina, un altro fronte cruciale per la politica commerciale di Trump riguarda Taiwan. Secondo indiscrezioni, l’amministrazione starebbe valutando l’introduzione di dazi sui semiconduttori taiwanesi per favorire la competitività della produzione americana, in particolare quella degli impianti in Arizona, finanziati attraverso il CHIPS Act. Se confermata, questa misura rappresenterebbe un cambiamento significativo nelle dinamiche della supply chain tecnologica globale, con possibili conseguenze per le grandi aziende americane che dipendono dalle forniture di TSMC.

L’Indebolimento della cooperazione su temi globali

Una delle principali differenze tra Trump e Biden riguarda la cooperazione su dossier globali. Mentre l’amministrazione Biden aveva cercato di mantenere un dialogo aperto con la Cina su questioni come il cambiamento climatico, Trump ha dimostrato scarso interesse per queste tematiche. Non sorprende, quindi, che nel suo discorso inaugurale abbia annullato il Green Deal e ribadito la sua avversione agli accordi di Parigi.

TikTok: un caso di sicurezza nazionale

La gestione del caso TikTok da parte dell’amministrazione Trump si presenta come una questione complessa, oscillante tra preoccupazioni per la sicurezza nazionale e scelte politiche che appaiono apparentemente contraddittorie.

Inizialmente, la Corte Suprema degli Stati Uniti aveva confermato il divieto dell’app sul territorio americano, motivandolo con ragioni di sicurezza nazionale e preoccupazioni relative alla protezione dei dati degli utenti americani.

Tuttavia, sorprendentemente, Trump ha poi sospeso l’applicazione del ban per un periodo di 75 giorni, permettendo a TikTok di continuare le sue operazioni, seppur temporaneamente. Questa inversione di rotta è in linea con la ragione ultima di tutte le scelte trumpiane: il tentativo di saldare sicurezza nazionale, libertà di espressione e di tutelare gli interessi economici americani, facendo passare nelle mani di Elon Musk la proprietà di TikTok US.

Secondo fonti interne, il dietrofront sarebbe legato a una trattativa segreta tra Trump e ByteDance, la società cinese proprietaria di TikTok. La Cina, dal canto suo, sembrava incline a vendere TikTok a Elon Musk, patron di Tesla e SpaceX, una mossa che avrebbe potuto mitigare le tensioni geopolitiche. Tuttavia, lo stesso Musk ha in seguito negato qualsiasi interesse all’acquisto, adducendo la difficoltà di integrare TikTok nelle sue attuali attività.

Il confronto scontro USA vs Cina come si vede passa anche per i social. 

Gli Alleati Asiatici: Sicurezza e Incognite Economiche

Se le relazioni USA-Cina restano tese, l’aspetto più incerto riguarda gli alleati asiatici. Gli Stati Uniti mantengono una forte presenza militare nella regione indo-pacifica e rappresentano una garanzia di sicurezza per molti Paesi. Tuttavia, Trump ha più volte sottolineato che gli alleati devono contribuire maggiormente agli sforzi economici per la propria difesa, suggerendo persino che Taiwan debba pagare per la protezione statunitense.

In termini strategici, ci si aspetta un rafforzamento delle alleanze regionali come il Quad (Stati Uniti, Giappone, India e Australia) e l’AUKUS (Australia, Regno Unito, Stati Uniti), entrambe nate per contenere l’espansione cinese. Tuttavia, resta da vedere se Trump manterrà l’impegno a proteggere gli alleati o se il suo isolazionismo ridurrà la presenza militare statunitense nell’area. Il ritiro degli Stati Uniti dal Trans-Pacific Partnership nel 2017 e ora, nel 2025, dal successivo Indo-Pacific Economic Framework, ha già mostrato una tendenza al disimpegno economico dalla regione. Questo ha lasciato alcuni alleati, come le Filippine, sempre più esposti e isolati di fronte alla crescente assertività cinese nel Mar Cinese Meridionale.

La Cina imperialista

La Cina, dal canto suo, ha perseguito per decenni politiche industriali aggressive, spesso definite come “gioco sporco” dai suoi concorrenti. Tra queste rientrano il dumping salariale, il blocco selettivo delle importazioni occidentali attraverso regolamenti e divieti complessi, la totale indifferenza agli impatti ambientali della propria produzione e l’occupazione dei mercati occidentali con prodotti venduti sottocosto.

Come non bastasse, le importazioni occidentali in Cina affrontano una complessa rete di regolamenti, che spaziano dagli standard tecnici obbligatori (come il CCC) alle quote e licenze restrittive. Le pratiche doganali, le politiche “Buy China” e i sussidi ai produttori locali creano ulteriori ostacoli. Anche le normative sulla sicurezza informatica e il trasferimento dati pongono sfide significative. A ciò si aggiungono pratiche non tariffarie come ritardi amministrativi e mancanza di trasparenza. 

Parallelamente, la corsa agli armamenti e la propaganda martellante del governo cinese delineano un quadro sempre più muscolare, soprattutto sul fronte militare. La Cina ha incrementato drasticamente il proprio budget per la difesa, sviluppando tecnologie belliche avanzate e proiettando la propria influenza in aree strategiche come il Mar Cinese Meridionale.

Questo modus operandi rende estremamente difficile immaginare nuovi equilibri commerciali con Pechino o siglare accordi basati su principi di equità e reciprocità.

Conclusioni: USA vs Cina

Le scelte economiche di Trump, infatti, non sono la causa della politica cinese, ma piuttosto una risposta alla sua escalation in ambito sia economico che militare. L’imposizione di dazi contro i paesi che rifiutano il dollaro come moneta di scambio, in particolare i membri dei BRICS, rientra in una strategia più ampia volta a contenere l’influenza cinese e a tutelare l’economia americana. L’obiettivo è rendere meno conveniente per le aziende occidentali delocalizzare in Cina e incentivare una maggiore autosufficienza industriale.

In questo contesto, la possibilità di invertire la rotta nei rapporti internazionali appare sempre più remota. Le tensioni tra Stati Uniti e Cina non sono il frutto di eventi isolati, ma il risultato di decenni di politiche sbilanciate e strategie di espansione aggressive da parte di Pechino. Il futuro delle relazioni internazionali dipenderà dalla capacità degli Stati Uniti e dei loro alleati di contrastare questa avanzata, sia sul piano commerciale che militare, ridefinendo gli equilibri globali in un mondo sempre più polarizzato.

 

Fonti:

 


Foto autore articolo

Gabriele Felice

Gabriele Felice Founder & CEO ISW | Italian Store World Connecting the Best of Italy with the U.S. Market
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