…. una “deriva” continua
….. DOPO CIRCA 25 ANNI, LE RISULTANZE DI UN VERTICE
sul PANFILO “BRITANNIA”
Nei giorni scorsi la nostra agenzia, al pari di pochi altri organi di informazione, ha scritto circa i contratti in “derivati” che il nostro Ministero dell’Economia ha stipulato, negli anni, con alcune banche straniere con conseguenze drammatiche per le casse dello Stato che ora rischiano di essere prosciugate. Il danno che i titolari del Dicastero dell’Economia potrebbero aver provocato alla casse dello Stato, giocando con questi strumenti di rarefatta finanza, è incalcolabile. Al momento potrebbe essere stata creata una voragine di 50 miliardi di euro. Calcolando che alcuni contratti si estingueranno nel 2050, tutto potrebbe essere anche che si possa scatenare una apocalisse economica sulle spalle del “Bel Paese”.
Per dirla tutta, un pensiero serpeggia ai vertici istituzionali: che l’Italia possa, a insaputa dei cittadini , essere oramai in ostaggio di alcune primarie banche internazionali. In altre parole qualcuno sospetta che il nostro Paese appartenga ad un pugno di istituzioni finanziarie straniere padrone delle casse del nostro Tesoro. La vicenda “derivati”, di cui si era al corrente da diversi mesi è in realtà esplosa quando nei giorni passati i colleghi del settimanale L’Espresso, hanno pubblicato una dettagliata inchiesta.
Così, mentre a Roma in via XX Settembre, nel palazzone dove ha sede il Ministero dell’Economia, nei due affollati bar interni della struttura, il personale di bassa forza consuma ignaro in grandi quantità cappuccini, caffè ed altri generi di conforto, la consegna per gli alti gradi del Gabinetto del Ministro, del Portavoce , dell’ufficio stampa, nonché per tutto il personale della Direzione Generale del Debito Pubblico, è di tacere. Neppure il Parlamento ha il diritto di sapere.
Un pugno di coraggiosi giornalisti nei mesi passati ha cercato di avere accesso agli atti. Il “niet” del ministro PIER PAOLO PADOAN è stato categorico. Altrettanto è accaduto al Tribunale Amministrativo e al Consiglio di Stato a cui i giornalisti si sono rivolti per cercare di ottenere una sentenza che consentisse loro di visionare atti e contratti.
L’Espresso a parte, i grandi media nazionali tacciono sulla questione “derivati”. Giornali e Tv sono troppo presi ad occuparsi dei “dolori” di pancia del Partito Democratico e della telenovela che vede protagonista l’amministrazione comunale di Roma e i suoi vertici.
In verità nelle ore passate l’inchiesta giornalistica de L’Espresso sui “derivati”, rischia di determinare, scusino i lettori la ridondanza, una pericolosa “deriva” per il professor Padoan. Infatti qualcuno comincia a chiederne le dimissioni. E’ il caso di Giovanni Paglia di Sinistra Italiana che apertamente definisce il Ministro dell’Economia “totalmente inadeguato, per cui deve lasciare il suo incarico”.
L’Espresso nel suo articolo prende le mosse dal Governo Monti (1), ma si capisce che la storia inizia già da molti anni prima quando si chiudevano gli anni 70. All’epoca l’Italia si apprestava a divenire la 5^ potenza mondiale e su di essa si appuntarono gli appetiti di alcuni soggetti internazionali che, forse, misero a punto un piano per stendere al suolo il nostro Paese e accaparrarsi le sue ricchezze. Probabilmente per realizzare questo disegno in alcune ovattate stanze governative ed istituzionali sono stati fatti sedere, con l’aiuto di sottili menti straniere, personaggi che potrebbero non aver tenuto a cuore gli interessi italiani. Tra questi forse vi erano alcuni degli ospiti del panfilo “Britannia” che alcuni anni fa si diedero appuntamento sul natante del Governo del Regno Unito per discutere i destini dell’Europa?
Nelle prossime ore ritornerete sull’argomento
Papantonio Merlino
(1) Ecco alcune parti dell’inchiesta de L’Espresso.
“Quando Morgan Stanley bussò alla porta del neo-premier Mario Monti, nelle ultime settimane del 2011, era un periodo già di per sé difficile: la crisi dello spread stava mettendo a dura prova i conti pubblici e molti paventavano un default dell’Italia. Il maxi esborso da 3,1 miliardi di euro fece sensazione ma, da quel momento, le preoccupazioni non sono diminuite, viste le nuove perdite che sono andate materializzandosi su altri derivati. Le banche coinvolte in questo genere di operazioni sono diciannove, da JP Morgan a UBS, da Deutsche Bank a Goldman Sachs, stando a una lista diffusa qualche tempo fa dal ministero. Ma al di là dei nudi nomi, poco si sa.
Per inquadrare bene i fatti, bisogna partire dalla fine, e cioè dai drammatici giorni di metà novembre 2011 in cui stava cadendo l’ultimo governo di Silvio Berlusconi. Con i mercati in subbuglio e il fiato dei grandi organismi internazionali sul collo del successore Monti, Morgan Stanley invia al Tesoro una serie di sei memorandum ‘strettamente privati e confidenziali’ nei quali affronta una discussione delicata (…) In quei documenti la banca americana sottopone ai dirigenti del ministero dell’Economia la decisione di esercitare una clausola presente in un vecchio accordo di 18 anni prima, datato 10 gennaio 1994, chiudendo anticipatamente tutti i contratti derivati sottoscritti da allora con il Tesoro e incassando sull’unghia svariati miliardi di dollari. Che cosa diceva quella clausola?”
“La risposta si trova nel documento originale del 1994, anzi in un allegato del considetto “Isda master agreement’, una specie di accordo quadro firmato quando il direttore generale del Tesoro era Mario Draghi, oggi presidente della Banca centrale europea. A pagina 7 dell’allegato è esplicitato quello che viene definito “Exposure Limit”. Semplificando al massimo, il senso è questo: se il valore di mercato dei derivati sottoscritti con il Tesoro è favorevole a Morgan Stanley e supera la soglia di 50 milioni di dollari, la banca può decidere di chiudere in anticipo tutti i contratti, esigendo dal governo il pagamento dell’intera cifra.
Quando “Morgan Stanley si rivolge al Tesoro, nel novembre 2011, il valore di mercato dei derivati supera già in maniera abnorme la soglia di 50 milioni di dollari definita nel 1994. Il dettaglio viene messo nero su bianco in uno dei rari documenti scritti in italiano nella corrispondenza tra le due parti, un memorandum datato 22 novembre 2011. In questo appunto vengono elencati sei contratti che la banca intende chiudere o trasferire a altre controparti, il cui valore di mercato è negativo per il Tesoro per 3,5 miliardi di dollari, 70 volte il livello d’allarme di 50 milioni indicato nel “master agreement” di 18 anni prima”.
“Perché allora la banca americana ha aspettato così tanto tempo per presentarsi all’incasso? E perché il Tesoro ha lasciato che il “mark-to-market” dei derivati sottoscritti con Morgan Stanley si gonfiasse fino a un livello così insostenibile ma nel frattempo, come vedremo più avanti, non ha smesso di fare nuovi contratti con l’istituto? Nei documenti della banca americana una risposta alla prima domanda si rintraccia in una lettera spedita a cose fatte a Maria Cannata, responsabile della direzione debito pubblico del Tesoro, nella quale Morgan Stanley sostiene che le autorità degli Stati Uniti e della Gran Bretagna avevano acceso un faro sui rischi presenti nel suo portafoglio, di fatto chiedendo all’istituto di esercitare la clausola per mettere al sicuro i profitti maturati”.
“Al Tesoro non tutti erano a conoscenza della clausola incriminata. E chi doveva occuparsene, forse non ne ha valutato le conseguenza con la necessaria attenzione”.
“Da altre testimonianze già emerse in precedenza, si sa che il Tesoro si è sempre detto convinto che quella clausola non sarebbe stata esercitata e che la soglia di 50 milioni di dollari era già superata ‘da almeno dieci anni’, come ha avuto modo di raccontare Maria Cannata”.
“Resta forte il sospetto che qualcosa, negli anni della finanza creativa, non abbia funzionato. E per scardinare il segreto un suggerimento potrebbe venire proprio dalla clausola di riservatezza presente nel già citato allegato del “master agreement” del 1994. Dice che i contenuti dell’accordo possono essere divulgati solo con l’autorizzazione di Morgan Stanley. Ma che la “parte B”, ovvero il Tesoro, può divulgarli se a chiederli sono alcune istituzioni, fra le quali è citato un ‘order’ di un ‘legislative body’. Forse, dunque, basterebbe una mozione del parlamento per iniziare a fare chiarezza. Chissà se una simile clausola è presente in tutti i contratti, anche quelli sottoscritti con le altre banche”.