I Sindacati e la Costituzione
La gaffe del pentastellato Luigi Di Maio
SINDACATO FUORILEGGE contro la COSTITUZIONE
Per privilegio antifascista sindacati sempre contrari ad un loro statuto giuridico
“Se il paese vuole essere competitivo, le organizzazioni sindacali devono cambiare radicalmente. … O si autoriformano o quando saremo al governo ci penseremo noi.” Queste solo alcune delle incaute affermazioni senza fondamento, pronunciate al recente Festival del Lavoro di Torino dal leader del M5S, Luigi Di Maio, già tanto compreso nella sua azzardata candidatura a prossimo capo del governo. Sì, proprio un azzardo, un’esaltazione fantapolitica che nasce dall’ignoranza, davvero grave per chi già ricopre la carica di vicepresidente della Camera ed ambisce alla prima poltrona di Palazzo Chigi: incredibilmente, l’on. Di Maio ignora che oggi i sindacati non sono organizzazioni statuali, ma libere associazioni, autonome nella loro organizzazione ed azione; non ne intende la dignità rappresentativa, quindi l’impegno di rappresentare, tutelare gli interessi dei lavoratori; infine, è dimentico del forte radicamento del sindacato nei luoghi di lavoro con migliaia di militanti e attivisti.
In conclusione, da parte del leader pentastellato solo la demagogia piazzaiola di chi parla di lavoro, sindacato senza averne una sufficiente conoscenza ed esperienza, ma soprattutto di chi non disdegna il ricorso alla minaccia per sollecitare cambiamenti di un soggetto, sociale e politico, tanto importante. Per governare occorre, innanzitutto, credibilità sulla quale costruire la propria autorevolezza: a tal proposito, la personale nullità politica, rivelata a Torino dall’on. Di Maio, non penso possa farci ben sperare in lui, nella sua opera, nel suo stesso movimento d’appartenenza.
Sarebbe bastato il solo richiamo all’inadempienza, da ormai 70 anni, della politica italiana repubblicana verso la piena attuazione dell’art. 39 della nostra Costituzione, quello appunto sull’organizzazione sindacale, per dare spunto a tante riflessioni e proposte circa la presenza, il ruolo, un possibile mutamento del sindacato. Certo dobbiamo pure essere consapevoli come ogni soggetto politico, sociale muti quando evolvono la sua necessità e capacità di rappresentare i propri sostenitori: se nei sindacati mutano gli interessi, personali e collettivi, dei lavoratori rispetto al contesto lavorativo, produttivo, sociale della nazione, allora cambia la funzione rappresentativa del sindacato, di conseguenza anche il suo stesso modello organizzativo.
La deriva populista, così dimentica o, cosa ancora più grave, all’oscuro dell’art. 39 della Costituzione, soprattutto della sua mancata attuazione dal secondo al quarto comma, salta a piè pari considerazioni storiche sul sindacato, utili anche per intuirne l’evoluzione; sono 70 anni che di quest’articolo costituzionale restano inattuati l’obbligo e la condizione della registrazione per ogni sigla sindacale, ma in modo particolare resta indefinita la rappresentatività sindacale in termini di una soglia minima di iscritti rappresentati.
Vanamente continuiamo, così, a discutere della necessità di una legge che finalmente regoli il rapporto tra governo e parti sociali, riconosca e tuteli i sindacati davvero rappresentativi, escluda, invece, quelli di rappresentanza minima, ininfluente, ma, spesso, con eccessivo potere contrattuale o d’interdizione. Ancora più a vuoto insistiamo a chiederci come possano avere personalità giuridica sindacati fuori dall’obbligo della registrazione, prevista dal dettato costituzionale. E’ legittimo, allora, pensare di riformare il ruolo del sindacato, persistendo nella evidente disattenzione di ben tre dei quattro commi dell’articolo della Costituzione che lo riguardano?
L’aspirante premier Di Maio avrebbe dovuto riflettere come da 70 anni in Italia le parti sociali giochino ad esercitare un ruolo istituzionale, contrattuale, restando assolutamente fuori dalla prima legge fondamentale dello stato, quindi agendo in piena illegalità: non si è mai data piena attuazione all’art.39, ma nemmeno mai si è pensato di cambiarlo con un percorso appropriato di mutamento costituzionale. Perché quest’ipocrita tolleranza di sindacati fuorilegge? Perché si è disatteso un articolo costituzionale, così voluto proprio dai costituenti per armonia con il principio e l’interesse di una Repubblica “fondata sul lavoro”?
La risposta è duplice, storica e politica. Quella storica consiste nell’evidenza che un riconoscimento, quindi uno statuto giuridico dei sindacati avrebbe, in proposito, riecheggiato trascorse norme del Ventennio, certamente non deprecabili nei loro contenuti. Quella politica, invece, consiste nella scelta repubblicana di sottrarre il sindacato al controllo pubblico e di non schiacciare i sindacati minori. Insomma, un’ambigua linea cerchiobottista, da doppio binario tra non-ingerenza e non-indifferenza, proprio il contrario di una riconosciuta legalità sindacale.
Franco D’EMILIO
Forlì, 04 ottobre 2017
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NOTE A MARGINE – Vorrei evitare facili ironie su Luigi Di Maio intervenuto alla “Festa del Lavoro”, in rappresentanza di un variegato mondo politico ove la maggior parte degli appartenenti non ha mai conosciuto cosa sia il “vero” lavoro … ogni riferimento a Massimo D’Alema o a Gianfranco Fini, nonché a loro numerosissimi Colleghi è puramente casuale ! Ma debbo constatare come il “nostro” versatile aspirante Premier (?) di questa sciagurata Repubblica riesca a partecipare brillantemente sia al Convegno di Cernobbio, ove – per merito dello Studio Ambrosetti – si è celebrato (come di consuetudine) l’annuale Forum dell’ Imprenditoria ed Economia, sia al Festival del Lavoro (quest’anno svoltosi in Torino) ove – per merito dell’ Ordine Nazionale dei Consulenti del Lavoro – si sono riuniti Professionisti ed Imprenditori. Ma preferirei ritornare alla disputa Sindacal/Costituzionale innescata dall’attuale vicepresidente di Montecitorio, per ribadire il mio negativo giudizio sulla nostra Costituzione, giudizio maturato grazie alle eccellenti lezioni di Diritto Pubblico del Prof. Salvatore Marino ….. una Costituzione, tra l’altro ad oggi ancora male attuata – come ampiamente illustrato nell’ intervento di Franco D’Emilio – e che, quindi, non si può ritenere assolutamente la “più bella del mondo”, alla faccia dei così detti “Padri Costituenti”, dei vari Presidenti della Repubblica, dell’ A.N.P.I. e di Roberto Benigni! (G.M.)
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