ISIS: l’apogeo del Terrore
Il Terrorismo delle Caverne
di Stelio W. Venceslai
La strage nel Sinai ripropone con violenza il problema del terrorismo internazionale. Conquistate Raqqa e Mosul, sembrerebbe che lo spettro dell’ISIS si sia dileguato, ma le sconfitte forze armate del sedicente Califfato islamico combattono ancora, tra la Siria e l’Iraq. La guerra non è finita. Soprattutto i foreign fighters sanno di non avere speranza. Non torneranno in Occidente se non in catene e la loro sorte fisica, francamente, è molto incerta. Hanno distrutto, ucciso, violentato, sgozzato e bruciato la gente. Non meritano nessuna pietà.
Il terrorismo di marca sunnita, alimentato dall’integralismo wahabita, fa scorrere ancora fiumi di sangue in Somalia, in Egitto, in Nigeria, in Afghanistan (anche se con obiettivi diversi) e tiene in allarme costante i servizi di sicurezza dell’Occidente. Non è finita, anche se, al momento, i media non danno rilievo allo stato della situazione. Sono più importanti le promesse di Berlusconi o i bonus di Renzi.
Nelle analisi più o meno acute che abitualmente si fanno del terrorismo, in conclusione sfugge la ragione primaria di esso. Cosa si propone l’attuale terrorismo internazionale? La risposta più immediata è la destabilizzazione dell’Occidente. Un’impresa piuttosto difficile. Assalire un continente, distruggerne i simboli e renderne impotente la forza militare è praticamente impossibile. Ci hanno provato più volte i Turchi, in passato, ma non ce l’hanno fatta.
In realtà, l’odio e la violenza che caratterizzano il terrorismo sono solo fine a se stessi. Uccidere trecento civili che escono da una funzione religiosa, non è un atto né eroico né politico. È un assassinio di massa. Non è molto diverso dai rastrellamenti nazisti degli Ebrei e dei Rom, prima di finirli nelle camere a gas. Uccidere non è un atto politico, uccidere degli innocenti indifesi è un’infamia. Per una particolare devianza dell’islamismo, chi uccide gli infedeli merita il paradiso. Per noi, infedeli o no che siano le vittime, gli assassini meriterebbero la forca. È già questa una differenza capitale tra un tipo di cultura consolidata, quella occidentale,e la devianza culturale islamica del terrorismo dell’ISIS. Ma la questione non è solo criminale. Va vista anche sotto un profilo politico.
Il sedicente Califfato islamico, nelle sue confuse dichiarazioni d’intenti, si propone di trasformare la comunità dei credenti islamici (l’umma) in un comunità politica multi continentale. Non solo intende dissolvere l’attuale status geopolitico in Medio Oriente per conseguire con un unico Stato, il Califfato appunto, una fantomatica unità araba (che va dalla Giordania alla Siria e all’Iraq, dal Libano al Kuweited alla Palestina), ma si pone, addirittura, come capofila di un’intesa islamica mondiale anti-occidentale, dall’Africa all’Asia, all’Europa, possibilmente solo di fede sunnita. Ecco perché, sconfitto in Siria ed in Iraq, il terrorismo continua a dilagare nel mondo.
Il possesso e la gestione delle ricchezze petrolifere locali, unitamente allo sterminio od alla conversione delle comunità minoritarie, Cristiani e minoranze cristiane, in particolare Copti, Yazidi, Kurdi, Drusi, Alauiti e così via, sono gli strumenti primari di questo disegno. Poi verranno il grande scontro frontale con Israele e, infine,la penetrazione progressiva in Europa, culturale e politica, per il tramite dell’immigrazione.
Una seconda motivazione di questo terrorismo potrebbe essere quella religiosa. Il terrorismo jihadista se la prende con tutti: gli Sciiti, gli Alauiti, i mistici Sufi. Chiunque non sia del loro incerto gruppo sanguigno è un infedele, un nemico da convertire o da uccidere. Potrebbe essere una guerra religiosa? Forse, ma è solo un paravento.
In Occidente le guerre di religione fra Cattolici e Luterani sono durate molti decenni, con distruzioni, stragi ed eccidi come solo il furore religioso può causare. Il contrasto religioso fra Sciiti e Sunniti è secolare ma la realtà del conflitti attuali è solo una bassa questione di egemonie fra l’Iran sciita e l’Arabia Saudita, sunnita e wahabita. Gli eccidi in Europa sono solo un pallido riflesso di ciò che avviene nel disgraziato mondo arabo, lacerato da un integralismo senza pari. In questo momento è il poverissimo Yemen che ne fa le spese.
Il Foglio dell’11 ottobre scorso riportava una notizia passata inosservata sulle cosiddette missing girls: “ … le bambine curde e yazide ancora nelle mani dei carnefici dello Stato islamico e quelle nigeriane tenute come schiave da Boko Haram, in Nigeria. Sono migliaia.” Cosa ci sia di conflitto religioso nello stupro e nel mercato delle bambine qualche nuovo teologo integralista dovrebbe spiegarcelo bene. Strilliamo tanto, e giustamente, per i femminicidi di casa nostra, ma giriamo gli occhi altrove, ad esempio, sui milioni di bambine cinesi scomparse. Non parliamo degli stupri di massa sulle emigranti africane, prima di attraversare il mare. Non è politicamente corretto.
Il conflitto con l’Occidente ha anche delle buone ragioni: lo sfruttamento petrolifero, il contrasto fra Usa e Russia che fa del Medio Oriente un campo di battaglia delle reciproche influenze, il disprezzo latente per l’Arabo povero e ignorante, che campa di poco ed è sempre pronto ad offrire i suoi servigi al ricco straniero. Una paccottiglia di cose serie e di luoghi comuni che giustifica il desiderio di riscatto. Ma da qui alla guerra di sterminio, che si accanisce contro i fedeli di una moschea, contro i luoghi santi di antichissimi culti, contro i monumenti del passato, contro i Cristiani, definiti Crociati, contro qualunque minoranza non sunnita, il passo è lungo, troppo lungo. Messaggeri di morte circolano per l’Europa e nel mondo. Ma davvero ci vogliono sterminare tutti? Davvero la jihad trionfante leverà i suoi vessilli neri su un mondo di sgozzati?
Come obiettivo politico finale siamo alle caverne. Occorre avere il coraggio di opporsi soprattutto ai facili contestatori del rifiuto di questa cultura. Andiamo in chiesa per farci vedere, digeriamo ogni infamia come se fossero pasticcini, deploriamo tutto e tutti, ma non si fa nulla. Aspettiamo d’essere sconfitti. Poi, qualche collaborazionista ci sarà, qualche ante marcia tronfio dirà ai sopravvissuti che gliela aveva detto che sarebbe finita così. C’è un pericolo mortale in Occidente che tutti fanno finta di non vedere. Continueranno le stragi. I tribunali applicheranno le blande leggi repressive di uno Stato bonario che non si fonda sull’odio religioso. Siamo laici, per fortuna, tolleranti per educazione, ma non dobbiamo neanche essere stupidi.