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Dalla resa di Conte alla resa dei conti

 

Credevamo di averne viste di tutti i colori nella politica italiana, ma francamente quello che è accaduto nella scorsa settimana ha aggiunto nuove tonalità alle sfaccettature ed alla  policromia tipica delle coalizioni di governo italiane.

I fatti sono noti, ma vale la pena farne un breve riepilogo: il Premier Conte vara alla ventiquattresima ora la finanziaria, da inviare all’esame preventivo di Bruxelles, che prevede un decreto fiscale con misure di cosiddetta pacificazione tra contribuente e fisco che in realtà contiene un ennesimo condono tombale con esclusione della perseguibilità sul piano penale per gli immobili e i beni imboscati all’estero, per i capitali illeciti frutto di usura o riciclaggio, con elevazione dei tetti massimali di evasione su tutte le tasse non pagate negli ultimi cinque anni. Un vero maxi condono globale che è uno schiaffo al buon senso, all’onestà, alla coerenza con le promesse elettorali.

I ministri 5 stelle che partecipano al Consiglio dei Ministri non se ne accorgono perché in quella sede sono stati enunciati da Conte solo i principi e non è stato redatto il testo del decreto vero e proprio che sarà formulato separatamente dai tecnici, incaricati di tradurre in norma scritta l’enunciato politico. Quel testo viene dunque scritto dai sacerdoti del tesoro ed è sottoposto ad un primo esame informale dei giuristi del Quirinale, incaricati di sminare il campo da ogni trabocchetto prima della firma del Capo dello Stato.

Dal colle arriva il semaforo rosso sul condono e sulla non punibilità. Conte è a Bruxelles, Salvini è a Mosca mentre Di Maio, rimasto a Roma è subissato di valanghe di proteste da parte di quanti avendo appreso i reali contenuti, confini, guarentigie e salvacondotti in favore dei frodatori del fisco e della nazione, protestano in modo talmente violento da farlo barcollare. La frittata era fatta.

Il vice Premier che aveva fatto, fin qui, del reddito di cittadinanza e della lotta alla povertà nell’equità una bandiera da non ammainare mai, è semplicemente sconvolto e teme di vedere sgonfiare di colpo la sua popolarità nella kermesse del movimento, prevista per il fine settimana. Pensa di essere stato giocato da qualcuno. Poco esperto, insieme ai suoi ministri, delle procedure tortuose e bizantine, al limite del demenziale, della formazione dei decreti, spesso scritti da azzeccagarbugli con lo scopo di ottenere il contrario di quello che parrebbe nel titolo, vede avvicinarsi lo spettro della catastrofe politica del movimento. Sceglie perciò la via della trasparenza senza sotterfugi per dare la massima pubblicizzazione al fatto e mettere tutti di fronte alle proprie responsabilità. Corre da Vespa per annunciare in tv al popolo italiano che quel decreto non sarebbe mai stato votato in parlamento dal M5S, il che significa crisi di governo se Conte avesse mantenuto fermo quel testo bizzarro, contrario ad ogni logica di correttezza e offensivo per i milioni dei contribuenti onesti.

Il povero Conte viene colto alla sprovvista da questa tempesta proprio mentre è impegnato in un difficile negoziato con la Commissione europea per spiegare i contenuti della manovra finanziaria; l’altro vice premier Salvini, in visita privata a Mosca, ribadisce che la Lega avrebbe mantenuto fede a quanto scritto e lavandosene le mani come Ponzio Pilato dice alle agenzie “cosa fatta capo ha” mentre da Roma gli fa eco il fido Sottosegretario Giorgetti che sostiene che il M5S era perfettamente al corrente del contenuto del decreto approvato in Consiglio dei Ministri.

Conte pressato da Di Maio convoca un altro Consiglio dei Ministri straordinario proprio per riesaminare l’intera faccenda, ma riceve un pesce in faccia da Salvini che preannuncia la sua impossibilità di essere presente per altri impegni già presi. Come se non bastasse tutti gli altri ministri della Lega annunciano che se non ci sarà Salvini anche loro daranno forfait e Giorgetti aggiunge che se il M5S continua su questa strada andrà a sfracellarsi. La polemica è ormai al calor bianco da resa dei conti: Salvini non ci sta a passare per traditore dei patti di Governo che escludevano qualsiasi fine condonistico e Di Maio gli risponde sempre via agenzie di stampa che non ci sta a passare per bugiardo. Dunque a Di Maio che insiste nel fermo respingimento del maxi condono e a Salvini che invece implicitamente ammette che il condono gli sta bene, Conte risponde con la mossa più dura e decisa: minaccia la resa del Governo aprendo lo scenario della crisi con il “tutti a casa”.

A questo punto Salvini fiuta l’aria: alla vigilia della kermesse del M5S, in cui sarebbe passato inevitabilmente per protettore dei farabutti, e delle elezioni in Trentino ed Alto Adige, non può giocarsi tutto il piatto per fare l’estremo favore agli evasori e ai riciclatori. Sa che in caso di crisi di governo finisce la sua esperienza di vice Premier e Ministro dell’interno, che la Lega resterà relegata all’opposizione, che Mattarella non consentirà il ricorso anticipato alle urne senza legge finanziaria nel bel mezzo della tempesta economico politica con la Commissione Europea e sotto l’incubo spread nei mercati. Quindi con il realismo del Tina (there is no alternative) ammaina la bandiera della strafottenza ed issa quella bianca della resa, facendo urlare come aquile Berlusconi e soci che speravano in una maxi sanatoria fiscale. Il nuovo Consiglio dei Ministri straordinario sotto l’egida di Conte, che dimostra una capacità manovriera tra gli opposti tribuni, cancella dal decreto il maxi condono e l’impunibilità penale e tutto rientra nell’alveo della continuazione dell’attività di governo.

Torquato Cardilli