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Guaidò vs Maduro: Venezuela sul baratro

L’AZZARDO di GUAIDO’

Articolo a firma di Alberto Barlocci, tratto da “Città Nuova” del 26.1.2019  (*)

Momenti di calma apparente, mentre è in atto un nuovo scontro istituzionale. Due Parlamenti, due presidenti, due blocchi che si combattono senza affrontare con decisione gli immensi problemi di un Paese in ginocchio. La cronaca sui fatti succeduti in Venezuela in questi giorni è nota. Purtroppo ancora una volta la violenza ha padroneggiato nelle strade mietendo la vita di almeno 25 persone.

In questo momento è tornata un’apparente calma. Ma tutto è instabile. Il fatto nuovo di questa settimana è stato l’autoproclamazione come presidente ad interim da parte del presidente del Parlamento, Juan Guaidó, riconosciuto poi da vari Paesi, i cui governi sono dichiaratamente avversi al regime di Nicolas Maduro.

Come è possibile questo ulteriore scontro istituzionale? Maduro riconosce un solo organo del potere legislativo, l’Assemblea nazionale costituente eletta nel 2017 con lo scopo di redigere una nuova Costituzione. L’idea prese forma perché l’Assemblea nazionale era controllata dalle opposizioni, segno del diminuito sostegno politico del “chavismo”. Per evitare le frizioni col potere legislativo, e dotarsi di strumenti legali, Maduro ha tirato fuori l’idea di cambiare la Costituzione del ’99, opera del suo predecessore, Chávez, per ottenere un’Assemblea costituente ad hoc, per la cui elezione ha provveduto a render improba la partecipazione degli oppositori. Detto fatto, stufi degli ostacoli, questi si sono ritirati col risultato che il 99% dei suoi membri ora appartiene al chavismo. Pur senza avversari, il chavismo è riuscito a portare alle urne circa 8 milioni di elettori, il 48% del corpo elettorale. L’opposizione dice che erano solo 3 milioni, ma la commissione che ha gestito il processo elettorale ha segnalato comunque una differenza di 1 milione di voti in meno rispetto ai dati ufficiali. In realtà, oggi il chavismo raggiunge certamente a fatica il 35-40% del consenso popolare.

Invece di dedicarsi alla nuova Costituzione, l’Assemblea costituente ha preso il posto del Parlamento legittimo e, via decreto, ha sciolto quest’ultimo. Nel frattempo, anche le voci dissonanti interne alla costituente, come quella di uno dei vicepresidenti, sono state esautorate, ottenendo oggi una permanente unanimità. L’Assemblea nazionale, i cui legislatori dovrebbero restare in carica fino al 2021, è ridotta a un ruolo simbolico.

Ma come si arriva alla mossa di Guaidó? Nelle ultime elezioni di maggio, la giustizia elettorale aveva fatto e disfatto la legge a gusto del governo. Il quorum minimo per registrare i partiti a livello nazionale è stato applicato in ognuna delle 20 regioni del Paese, con una interpretazione ad hoc della Costituzione. Anche in quel frangente le opposizioni hanno considerato una presa in giro le elezioni e non vi hanno partecipato nella gran maggioranza dei casi. Il nuovo trionfo di Maduro era perciò scontato. Ci sono state proteste, ma tutto, come sempre, si è ridotto a un nulla di fatto. Ora Guaidó approfitta dell’occasione di stallo per rispolverare alcune norme costituzionali in merito alla “vacanza” della carica presidenziale e si autonomina presidente. La mossa gli vale un appoggio notevole. Fino a una settimana prima, le opposizioni non raccoglievano che il 25-30% dei consensi, secondo i sondaggi più credibili, mentre le manifestazioni massicce di questi giorni hanno ridato ossigeno a un’opposizione divisa, che non ha saputo dimostrare coesione e decisione (la differenza sostanziale è che non ha il potere e Maduro non ha intenzione di darglielo).

Il giovane quanto poco conosciuto leader dell’opposizione è stato astuto e ha solleticato la “cupola” militare, che affianca e garantisce la continuità del regime, promettendo un’amnistia che ora ha anche esteso allo stesso presidente. Nelle caserme ci sono spinte alla rivolta e vari ufficiali sono stati arrestati dopo aver tentato di sollevarsi. Ufficialmente, i militari appoggiano il governo, ma all’interno il chavismo perde sempre più pezzi, o trascinati da una corruzione dilagante o dalla impossibilità di arrampicarsi sugli specchi concettuali per difendere l’operato di un governo inefficiente e pasticcione. Il procuratore generale, Luisa Ortega Díaz, un tempo chavista insieme al marito, è dovuta fuggire già mesi fa, dopo aver constatato nelle sue indagini la repressione selvaggia operata dal governo contro i manifestanti della scorsa primavera.

Ma è tra la gente che il governo perde ormai adesioni, soprattutto se non ci sono più sussidi e prebende per ottenerne l’appoggio. L’inflazione è fuori controllo. Stabilire cifre è praticamente inutile: siamo quanto oltre il milione per cento? Due milioni e mezzo, tre e si arriverà a 10 milioni per cento di inflazione durante quest’anno? Per farsi una idea di quanto valga il denaro, una signora emigrata in Cile dove lavora come domestica (dunque non guadagna granché) manda ogni mese 15 euro ai suoi cari, cifra che, per loro, è un aiuto considerevole. Ma anche ricevessero mille euro al mese il problema è trovare qualcosa da comprare, con i negozi vuoti di tutto e gli ospedali senza più medicine, garze, siringhe e perfino aspirine. Nel giro di 6 anni, è stato dilapidato il 50% del Pil nazionale. In tali condizioni, la fuoriuscita di venezuelani dal Paese è una vera emorragia.

Mentre l’Europa e l’Italia affogano in un bicchiere d’acqua (o meglio, lasciano affogare migranti e rifugiati), in meno di due anni la Colombia ha accolto un milione di venezuelani; e da settembre in qua più di 500 mila sono entrati in Perù e 221 mila in Ecuador; in Argentina altri 130 mila e 108 mila in Cile; 85 mila sono entrati in Brasile e 94 mila in Panamá; altri 145 mila sono finiti in Centro e Sudamerica e 290 mila negli Usa. In totale 2.600.000 espatriati, e sappiamo che da queste parti di Paesi ricchi non ce ne sono molti (un giorno i latinoamericani spiegheranno agli europei cosa sono le vere “ondate” di migranti).

Sul piano internazionale, vari governi, anche europei, si sono affrettati a riconoscere Guaidó come legittimo presidente ad interim. La Costituzione in un caso simile, secondo quest’ultimo, dovrebbe convocare nuove elezioni, il processo forse più razionale per tornare a una qualche forma di normalità. Ma i riconoscimenti esteri sono “affrettati” perché l’interpretazione della norma costituzionale fatta da Guaidò (7 mesi dopo le elezioni irregolari) è alquanto debole e così come Maduro prende a calci le leggi, le opposizioni rischiano di non farne un uso molto migliore. Dagli Stati Uniti, Trump rincara la dose e fa sfoggio di muscoli. Alcuni «vassalli e tributari della Casa Bianca» (era Brzezinski ad usare quest’espressione) non tarderanno a unirsi al coro dei riconoscimenti esterni. E può darsi che questa si riveli una mossa capace di smuovere le acque in Venezuela. Ma non è detto che accada, e in ogni caso non c’è da farsi illusioni in quanto alla legittimità di tale metodo.

Purtroppo, quando Maduro parla di dialogo, è sempre più chiaro che intende guadagnare ancora una volta tempo. Lo ha scoperto anche la Chiesa cattolica che ha cercato di mediare ion questi anni, così come in questi giorni, nell’intricata matassa creatasi, ma con un nulla di fatto. Maduro continua a rinviare il promesso dialogo, come fa da anni ormai, trovando dilazioni di ogni tipo. le opposizioni non hanno ancora dimostrato la maturità politica di saper costruire un progetto capace di far uscire il Paese dal tunnel. Così Maduro continua a inventare delle mosse furbesche per blindarsi nel potere e il pericolo è anche stavolta quello di un nuovo bagno di sangue. A meno che all’interno del chavismo non intervenga un rigurgito di buon senso, riconoscendo il fallimento di un progetto che ha preteso di ottenere l’egemonia politica. Parlare di interventi esteri è comunque fuori luogo. La palla è nella metà campo dei venezuelani.

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(*) Questo articolo – a firma di Alberto Barlocci, giornalista cattolico esperto in tematiche Latino-Americane ed ivi residente – ci è stato segnalato alcuni giorni fa per una diffusione da Padre Carmelo, Sacerdote Carmelitano nostro amico ed in contatto con suoi Confratelli Missionari in Colombia. L’articolo,  dopo una riflessiva lettura, è stato pubblicato e sarà oggetto di un successivo approfondimento poichè, proprio in queste ore, la situazione in Venezuela sta raggiungendo una massima tensione, a seguito di un divieto governativo (senz’altro inopportuno) sull’ ingresso di aiuti umanitari a favore di un Popolo, oramai giunto al collasso.  Noi della Consul Press abbiamo spesso dedicato la nostra attenzione al Venezuela, pubblicando una serie di articoli e di notizie, anche per cordiali rapporti intercorsi  con l’Ambasciata della Repubblica Bolivariana in Roma. Da parte nostra riteniamo il Venezuela essere un  Grande Paese, potenzialmente ricco per le sue risorse ed importante per la sua Storia.  Ma, a nostro avviso, dopo la “mitica” Rivoluzione di Simon Bolivar, riteniamo sia stato forse guidato nel corso dei tempi da una variegata classe politica non all’altezza delle situazioni e dei problemi da risolvere. Infatti, già osservando questo ultimo periodo, certamente Maduro sta mostrando una statura non certo confrontabile con quella di Chavez, suo predecessore così come, nei decenni precedenti, molte scelte politiche ed economiche non sono risulate adeguate alle esigenze dello stesso Paese. Un Paese ove da sempre vivono molti Italiani che più volte – e in varie ondate iniziate alle fine degli anni ‘5o e proseguite successivamente – sono stati costretti ad un coercitivo rimpatrio. E va osservato che, purtroppo, nei loro confronti i nostri Governi non hanno mai riservato una dovuta e doverosa attenzione, se non per gestire (nell’interesse dei propri partiti di apparenenza) “contrapposizioni interne” nello scenario parlamentare italiano. Un Paese il quale senz’altro non è mai stato facilitato nelle realizzazioni delle proprie aspirazioni, causa la pesante egemonia di un “Vicino di Casa che da sempre ha considerato il Centro-America come il “cortile” od una pertinenza degli U.S.A. e della Withe House. (G.M.)

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