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L’Accademia Costantiniana al Consiglio di Stato, per l’iter della legge 219

 Tavola Rotonda sulla “EUTANASIA”
  una legge sofferta e delicata

Mercoledì 20 marzo nella Sala Pompeo di Palazzo Spada si è avuta un’ampia diffusione di ciò che enuncia la legge n. 219 sull’eutanasia, evento organizzato dall’Accademia Angelico Costantiniana dal Presidente Avv. Alessio Ferrari Comneno, coadiuvato da numerosi Consiglieri della stessa Accademia, tra cui il Dr. Walter Cundari e l’Avv. Eleonora Di Prisco.

Dopo una breve presentazione del Presidente del Consiglio di Stato, Filippo Patroni Griffi, il Consigliere della Suprema Corte di Cassazione della I^ Sezione Penale, Luigi Mancuso, moderatore dell’evento, ha citato l’opera del Prof. Christian Barnard, ideatore del trapianto di cuore, dando un input alla possibilità di allungare per un periodo l’esistenza di un malato terminale. Il Consigliere ha innanzitutto sottolineato che l’Eutanasia come consenso o rifiuto è cosa di grande importanza, in quanto tocca uno dei poli certamente cardinali della vita umana: nascita e morte. La società umana, che la riguarda direttamente, sembra considerare la morte un problema meno grave del prolungamento della vita. Parte delle genti, infatti, sostengono in modo forse troppo acuto la sacralità della vita umana, tendendo a conservarla più che si può, e dimenticando, forse, che l’uomo può decidere solo in parte o per nulla il momento della nascita e della morte: la sacralità della vita è, oltre al modo di vivere, l’accettazione di questo limite. Nell’antica religione la nascita era la croce che si formava fra uomo e spirito, invisibile ma come raggio che toccava i semi dell’uomo e della donna e formava un nuovo essere che veniva al mondo a tempo dovuto. La morte invece era una soglia soffusa, da dove lo spirito chiamava anche in forma di figure di antenati, e dove irresistibilmente l’uomo tendeva e vedeva chiaro il proprio sè.

La bioetica, ha sostenuto il primo relatore, Consigliere di Stato Adolfo Metro, opera per evitare accanimenti dovuti senz’altro alla paura del ‘dopo‘, che affligge superficialmente o terribilmente qualcuno, che in questo caso si accompagna alla dolorosa intuizione di avere sprecato o danneggiato la propria esistenza. Si guarda troppo poco alle considerazioni degli antichi, che, molto meno egoisti degli uomini moderni, in genere avevano un pensiero più sereno per il Grande Passaggio.

Anche il dolore della perdita di una persona cara spinge di conseguenza alla conservazione talvolta esasperata di una vita umana, ignara forse di prolungare e prolungarsi il tormento, ma in alcuni casi si determina per una ‘meta’ materiale: il raggiungimento di uno scopo economico o l’esaltazione di una bravura professionale.

Il diritto, come si è condotto in questo proposito? chiede il relatore, citando i casi Englaro e Welby. Per il primo caso, ha deciso la famiglia, essendo apparsa l’evidenza di una vita solo vegetativa del soggetto. Welby, dal canto suo, viveva grazie ad un tubo che fu staccato, dopo sua decisione ed essere stato sedato per evitare sofferenze. Non c’era remissione, non c’era speranza in entrambi i casi: la Englaro aveva trascorso nel probabile nulla cerebrale una diecina di anni: i due mai si sarebbero ripresi. Ci si chiede se il prolungamento della vita sia dovuto alla speranza di un ritorno alla salute, nonostante l’evidenza del responso clinico. E la speranza talvolta non è virtù, è vessatrice. Anche su questo la lezione delle esperienze conduce ad una netta interruzione della situazione lesiva, dove la speranza non è altro che il filo di voce dell’interminabile essenza che vive e sostiene chi  è addolorato per un altro.

L’evento continua con la citazione di leggi che dimostrano la ‘Knowledge’, ovvero l’informazione di paziente e parenti per la conclusione che si aspetta, in parte definite il 2017, in parte rivedute e perfezionate in seguito, con la considerazione che il medico deve accettare che il paziente rifiuti i farmaci, o deve accompagnare alla fine il paziente ponendosi, nell’atto, come strumento conciliatore. Si sottolinea che la sedazione stabilisce la definizione all’atto di ‘Eutanasia passiva’, non essendo riconoscibile quella attiva .

In altri casi, come l’eutanasia del DJ Fabo, la posizione di amici e parenti che l’hanno effettuata fuori dall’Italia, è stata quella di ‘omicidio consenziente’ e regolata dopo nelle leggi n.575,576,577, 579 e 580, esprimendo anche recisamente che l’istigazione al suicidio comporta pene fino a 15 anni, e se c’è errore su consistenza del consenso diventa omicidio volontario.

A seguito della conversazione del giurista è la voce di un Domenicano, Frate Riccardo Lufrani, a puntualizzare, soprattutto sulla legge 219, che la vita non è quella comunemente considerata materiale, ma che essa avvolge anche il campo psichico e spirituale. Questa vita umana vuole la divinizzazione dell’uomo mediante la Grazia. Il raggiungimento di Dio, dunque, è previsto per l’uomo che deve essere consapevole di vedersi offerto un percorso, costruito sulla fraternità e, secondo S. Agostino, compiuto tramite la comunicazione con gli altri.

Il religioso suggerisce che l’idea della divinità come superlongevità, superpotenza, superintelligenza, è stata fornita da Dio come processo infinito e prolungamento infinito della consistenza triplice umana, che si raggiunge tramite la presa di coscienza del Sè da parte dell’uomo, causata dagli altri e dal colloquio con il proprio intimo: quello che gli ‘spiriti amanti’ di Dante, i filosofi, ed i filologi chiamano Conoscenza, chiudendo così il sapiente anello fra pensiero passato e pensiero futuro.

La vita va amata, non limitatamente come nei romanzi di Liala ed affini, ma come impegno e dedizione, seguendo i passi dettati dall’umanità e lottando contro l’egoismo, nel sorriso e nel pianto, sapendo che ogni capello umano è preso da Dio in considerazione e che tutto ciò che si fa per amore è la scala candida che fa trovarsi in sorriso, dopo il Passaggio.

Marilù Giannone

Al termine della Conferenza, a cui hanno partecipato numerosi Accademici ed invitati [tra cui anche alcuni nostri amici: Raffaele Panico – già direttore dell’ Avanti ed ora collaboratore di numerose pubblicazioni; Antonio Parisi – già direttore de Il Meridiano ed ora collaboratore di riviste storiche, nonché direttore della Consul Press] ha fatto seguito un un breve momento di conviviale amicizia con un aperitivo nei locali di Palazzo Braschi.