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Pietrangelo Buttafuoco e la magia delle “Uova del Drago”

“LE UOVA DI DRAGO”: UN’OPERA DI POESIA PIÙ FORTE DEL DIKTAT DELLA LOGICA

una analisi “politicamente scorretta” di MASSIMILIANO SERRIELLO * 

“Non ho sogni nel cassetto, preferisco metterci la biancheria”. Probabilmente il compianto attore palermitano Pino Caruso stemperava nel gusto della battuta l’attitudine ad aggiungere sentimento al sentimento. Tuttavia non si paga dazio a nessun tipo d’ipertrofia sentimentalista nel coltivare i sogni nel cassetto. In cima alla lista per chi ama appunto la fabbrica dei sogni, il cinema, allo stesso modo dei legami di sangue e di suolo, la più fulgida delle speranze risiede nel veder realizzare un film in grado di mettere pienamente in luce le zone d’ombra dell’atroce guerra civile, la cui prima vittima resta il senso di fratellanza tra italiani.

Ora come ora parliamo di un’utopia. Lo dimostra l’accoglienza ricevuta nel mercato primario di sbocco dal pur bellissimo “Red Land”. Il dramma delle foibe istriane, di chi venne ingoiato dalla terra natia perché non volle rinnegarla, ha suscitato indifferenza da una parte e un’empia censura dall’altra. Lo stesso clima d’insofferenza accompagnò l’uscita, anziché nelle sale cinematografiche, in libreria del controverso “Il sangue dei vinti” di Giampaolo Pansa. Bastarono le anticipazioni di pochi brani, pubblicati da molti giornali per gettare discredito sul posizionamento del prodotto letterario, a far cadere in contraddizione coloro che, citando Jim Morrison, parlano di libertà per poi rimanere incatenati alle loro menzognere certezze. La punizione provvidenziale fu però che l’eco feroce e sospetto delle polemiche preventive finì per fungere da cassa da risonanza. Ciò, invece, non avvenne con la trasposizione sul grande schermo dell’inopinato best-seller. 

Gli economisti, d’altronde, considerano le pellicole dei prodotti commerciali con un’alta probabilità di divenire sonori fiaschi. Eppure, la carica di curiosità dei lettori decisi a diventare spettatori costituisce in teoria la migliore strategia di riduzione del rischio d’insuccesso. Nella prassi, in realtà, l’intento di smascherare le bugie dei vincitori piace poco o niente. Lo sa bene Alessandro Fracassi, il produttore imbarcatosi nell’impresa. Persino un regista della levatura di Michele Soavi – figlio del poeta Giorgio, arruolatosi nella RSI e autore del toccante romanzo autobiografico “Un banco di nebbia“, con la madre, al contrario, appartenente a una famiglia vittima delle persecuzioni ai danni degli ebrei – tastò con mano tale difficoltà. 

Ma se l’equidistanza dalle parti tuttora in conflitto è stata rimandata al mittente, figuriamoci che trattamento potrebbe ricevere la ruggente presa di posizione assunta con “Le uova di drago” da Pietrangelo Buttafuoco. Un altro siciliano tutto cuore, polpa, sostanza. Non palermitano, bensì dell’amata Catania. 
La sua urgenza narrativa non consiste nel puntare i riflettori sulla labile teoria – a guerra ormai persa – di dar vita a molteplici, minuscoli focolai di resistenza nera. Il personaggio, con molte cose in comune col processo di umanizzazione degli Indiani d’America, che merita il giusto riguardo si chiama Ciccio Muscarà. È difficile, se non impossibile, capire quale attore possa impersonarlo, che psicotecnica mandare a effetto, come mettere la mimica facciale a disposizione della virtù registica di coordinare i diversi fattori espressivi. Al momento non c’è alcun cast, nessun regista, né un produttore. Niente di niente. L’altra resistenza, cara ad alcuni poteri forti e ipocriti, non vuole assistere a una scrittura per immagini che metta in rilievo la fragranza di Vita delle anime semplici. È improbabile anche accostare l’Oak Creek Canyon – segnato dai picchi vertiginosi e solcato dalle emblematiche gole – a Catania, Regalbuto, Gela.
Nondimeno lo spirito pugnace ed esilarante di Muscarà, che si arrampica sulla cima di un pino per punire da cecchino la vena voltagabbana dei compaesani rei di accogliere gli ex nemici come fossero amici da sempre, possiede i requisiti per corrispondere all’immaginazione delle masse.
Forse non basta a spingere qualche produttore ad andare incontro alle critiche. Dostoevskij, spesso tirato in ballo dagli esterofili avversi ai valori ereditati dalla tradizione, disse: “due più due fa sempre quattro, ma quanto sarebbe bello se almeno una volta facesse cinque”. Portare alla ribalta cinefila le vicende di Ciccio, caporale antitetico a quelli spernacchiati dal Principe Antonio de Curtis, significherebbe non far tornare i conti a chiunque misuri la giustizia con i canoni cartesiani, come i gendarmi della Memoria messi all’angolo da Pansa, e chiudere così il cerchio a un’opera di poesia.
A prescindere.  

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*UN “BENVENUTO” da parte nostra Redazione a  MASSIMILIANO SERRIELLO, classe 1975, giornalista pubblicista, con Laurea di primo livello in “Lettere e Filosofia” presso La Sapienza in Roma, con Tesi di ricerca su “Totò, Sordi e la censura” (relatore Prof. Orio Caldiron). 
Ha  sempre sviluppato  un notevole interesse professionale  per il settore cinematografico ed  in particolare per storia e critica del cinema e di metodologia per lo spettacolo; già collaboratore con recensioni settimanali sul quotidiano “Il Roma”, é contemporaneamente impegnato come autore di audio recensioni cinematografiche e consulente nel mondo del cinema, anche quale stakeholder nell’ambito della geografia emozionale applicata alle location che divengono destinazioni turistiche. Al riguardo ha anche gestito in proprio una giovane attività turistico-alberghiera mettendo a frutto le  capacità di marketing e management acquisite nel corso degli anni. 
Ha inoltre svolto numerose attività accademiche collaborando con la Link Campus University of Malta di Roma e l’Università degli Studi di Salerno, organizzando e partecipando a convegni universitari ed occupandosi di cinema e marketing per lo spettacolo.