Dalla coesione sociale alle infrastrutture:
l’Europa alla vigilia delle Elezioni Europee
Dal “CONVEGNO DI STUDIO” di VISION & GLOBAL TRENDS
L’Europa tecnologica e scientifica, le politiche di coesione sociale, le infrastrutture pesanti. Sono queste le tematiche affrontate durante il convegno #CostruireEuropa – #BuildingEurope, organizzato dall’Istituto Vision & Global Trends in collaborazione con l’onorevole Francesco Boccia (PD).
Un seminario di studio per ricostruire il passato della Comunità europea e riflettere sulla costruzione di un’Europa del futuro, mettendo in luce i limiti e le difficoltà del Vecchio Continente, in piena crisi di identità, e interrogandosi su quali sfide si troverà ad affrontare il legislatore europeo dopo le urne del prossimo maggio. Un appuntamento con l’approfondimento che si è svolto il 26 marzo presso Palazzo Theodoli Bianchelli, nella Sala Iotti e che arriva proprio alla vigilia delle elezioni europee.
SCIENZA e TECNOLOGIA. La ricerca scientifica e tecnologica va considerata come una realtà e un’attività interrelata e interconnessa a livello internazionale, e non solo come lo sviluppo dei singoli paesi membri che costituiscono l’Unione europea. Così commenta Enrico Brugnoli, Dirigente del CNR, aprendo i lavori del primo panel dedicato alla ricerca tecnologia e scientifica in Europa. “Per poter fare progressi bisogna poter pensare ad una interconnessione tra nazioni anche e soprattutto in campo disciplinare”. “L’Europa ha sempre giocato un ruolo fondamentale nel campo della ricerca, che è certamente all’avanguardia sotto diversi aspetti”. Restano, tuttavia, numerosi gli aspetti di criticità anche in questo settore, dovuti principalmente alla condizione di un’Europa ancora senza una piena omogeneità e ricca invece di disuguaglianze. “Lo spazio della ricerca in Europa (European Research Area) dovrebbe avere diversi obiettivi tra cui quello di sollecitare sistemi nazionali più efficaci ed efficienti nell’allineamento dei finanziamenti nazionali a progetti importanti”, come l’ottimizzazione della cooperazione e della concorrenza transnazionale, il raggiungimento dell’uguaglianza di genere, l’apertura del mercato del lavoro e l’accesso ottimale e più sistematico alle informazioni e alla conoscenza.
Un aspetto da approfondire è certamente la disparità nel processo di finanziamento alla ricerca: dall’Europa arriva circa il 2% del Pil per il finanziamento alla ricerca scientifica e tecnologica, mentre tra gli stati membri i dati oscillano a dismisura, tra paesi che riservano al settore dal 3 al 3,5% del proprio Pil a paesi che si arrestano invece su livelli di gran lunga più bassi. L’Italia, ad esempio, fa parte di questo secondo gruppo di paesi, destinando alla ricerca circa l’1,3% del proprio Pil. Scarso investimento pubblico alla ricerca, ma scarso investimento anche da parte del privato, sostiene Brugnoli, che in altri paesi risulta invece molto più valorizzato. “Questo aspetto è sicuramente riconducibile alla struttura dell’impresa in Italia, prevalentemente basata su un sistema di piccole e media imprese (SMI) che difficilmente riescono ad investire grosse quantità di capitale nella ricerca”.
Anche sul numero dei ricercatori e delle persone impegnate nella ricerca scientifica e tecnologica si registra grande disomogeneità e i numeri continuano ad oscillare: proprio in questo campo, l’Italia conferma una scarsa quantità di ricercatori se messa a confronto con il resto della popolazione, dovuta presumibilmente alla natura esigua degli investimenti di settore. Un aspetto da non sottovalutare, secondo Brugnoli, è quello di continuare a finanziare lo studio nel paese facendo crescere la ricerca non solo tra le eccellenze, “ma anche finanziare la ricerca della classe media perché non possiamo vivere solo di eccellenza”.
Tra le infrastrutture di ricerca a livello europeo, MetroFood rappresenta una realtà importante in quanto “prima infrastruttura di ricerca europea a coordinamento italiano nel settore del food development”, ha spiegato Giovanna Zappa di ENEA, raccontando il processo di sviluppo di questo filone di ricerca. Il progetto – che prenderà forma nei prossimi anni – prevede un investimento complessivo di 102,4 milioni di euro, per un totale di 2.500 ricercatori coinvolti. L’Italia, che ne coordina i lavori, dispone di circa un terzo del valore totale dell’investimento. Perché proprio l’agroalimentare? Perché è il principale settore economico in Europa e impiega oltre 4 milioni di persone e più del 90% delle aziende impiegate sono piccole e medie imprese di cui molte micro-imprese con meno di 10 addetti. La missione del progetto di ricerca è quella di rafforzare la competenza scientifica e promuovere lo scambio di dati e la diffusione delle informazioni, oltre che la cooperazione scientifica in questo settore su territorio europeo.
L’incontro è stato anche “una riflessione su dove siamo e dove stiamo andando in un momento storico in cui gli sforzi comuni e congiunti a livello europeo sono meno significativi rispetto al passato”, ha poi aggiunto Roberto Battiston, ex Presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), che ha illustrato il percorso di due infrastrutture europee in campo spaziale: Copernicus, un insieme di rilevatori avanzati che è il principale fornitore di dati di osservazione della Terra, e Galileo, il sistema globale di navigazione satellitare di proprietà dell’UE. L’Europa, con i suoi 29 satelliti attualmente in orbita e 30 previsti nei prossimi anni, ha destinato ai programmi spaziali europei – di cui fanno parte anche Galileo e Copernicus – un budget complessivo di 16 miliardi per il periodo 2021-2027.
Il seminario è stato organizzato in collaborazione con l’onorevole Francesco Boccia, per il quale il “dibattito sull’Europa e con l’Europa è sempre più condizionato anche in Italia da scelte impulsive e di pancia”. In un periodo di profonda rivoluzione dell’economia e del capitalismo in cui “per la prima volta non è detto che all’aumento del Pil corrisponda un correlato gettito fiscale, i legislatori – aggiunge – non hanno capito per tempo che il mondo stava cambiando e con esso anche i modelli con cui si fa profitto e competitività”.
COESIONE SOCIALE. Per il prossimo bilancio a lungo termine dell’UE (2021-2027) la Commissione europea ha proposto di rendere più moderna la politica di coesione europea, la quale rappresenta di fatto la principale politica di investimenti in ambito europeo oltre che una delle sue più concrete espressioni di solidarietà. Gli investimenti saranno dunque orientati su 5 obiettivi strategici: un’Europa più verde e priva di emissioni di carbonio, grazie all’attuazione dell’accordo di Parigi e agli investimenti nella transizione energetica, nelle energie rinnovabili e nella lotta contro i cambiamenti climatici; un’Europa più intelligente, con attenzione alle nuove tecnologie, all’innovazione, alla digitalizzazione e al sostegno delle piccole e medie imprese; un’Europa più connessa, dotata di reti di trasporto e digitali strategiche; un’Europa più sociale, che riesca a raggiungere risultati concreti riguardo ai diritti sociali e sostenga l’occupazione di qualità, l’istruzione, le competenze professionali, l’inclusione sociale e la riduzione delle disuguaglianze e disparità sociali; un’Europa più vicina ai suoi cittadini, con un sostegno tangibile dello sviluppo locale e urbano.
Questi ultimi due aspetti (Europa più sociale e più vicina ai suoi cittadini) rientrano nell’ottica più ampia di una coesione sociale a livello europeo da ricercare e perseguire. Perché è così importante sollecitare le politiche di coesione sociale in Europa? In sostanza perché si tratta di un aspetto fondamentale per la riduzione delle disuguaglianze, divenuto obiettivo strategico a partire dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona nel 2007.
Non solo, il principio è fondamentale anche nell’ambito della strategia Europa 2020 il cui scopo è raggiungere una crescita di tipo inclusivo con elevati livelli di occupazione e una riduzione delle disuguaglianze. La coesione sociale si definisce propriamente – almeno a livello istituzionale – come la “capacità di una società di garantire il benessere di tutti i suoi membri, minimizzare le disparità ed evitare ogni polarizzazione; una società, quindi, coesa e con individui liberi che si sostengono a vicenda seguendo questi comuni obiettivi tramite mezzi democratici”, ha spiegato Lisa Caramanno, analista di Vision & Global Trends, aprendo i lavori del II panel.
Una lettura interessante sul quadro delle debolezze in capo al Vecchio Continente è data da Vera Negri, dell’Università di Bologna, la quale denuncia l’assenza di una vera e propria idea di Welfare State (o stato sociale) comune e unitario a livello europeo, ma che invece esiste a livello nazionale secondo modalità e caratteristiche differenti da stato a stato. Una delle maggiori sfide per la prossima legislatura europea potrebbe essere – a detta di Negri – l’introduzione di uno schema base per lo sviluppo di un sistema di Welfare comune in UE. Quali interventi potrebbero introdursi? Ne sono stati individuati almeno cinque: innanzitutto, sarebbe utile mettere in atto un piano di armonizzazione tra la vita e il lavoro; la stesura di un codice di condotta per le corporation che agiscono sul territorio dell’Unione europea, con chiusura dei paradisi fiscali e limitazione della competizione fiscale; il consolidamento di Frontex, per definire meglio i confini dell’Unione europea e sottoporli al controllo unico di un sistema europeo; infine, una brusca spinta sul fronte ambientale, per andare incontro agli obiettivi europei al 2030. “Dire basta al liberismo estremo è prerogativa imprescindibile”, ha poi concluso. “L’UE deve tornare ad essere capace di progettare il futuro”.
Per quanto riguarda le politiche di coesione sociale in Italia, “l’Asvis (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile) rappresenta un unicum nel panorama internazionale”, ha poi aggiunto Luigi Ferrata di ASviS. L’Italia, per rispondere adeguatamente ai temi e alle richieste dell’agenda 2030 delle Nazioni Unite, ha fondato nel 2016 l’Asvis per sensibilizzare i cittadini e le istituzioni sul tema dello sviluppo sostenibile, concetto trasversale che riguarda il campo ambientale, economico e anche sociale. “Ciò che manca, ad oggi, è una strategia comunitaria e comune di sviluppo sostenibile”.
LE INFRASTRUTTURE. Da dove si deve partire per costruire il futuro del Vecchio Continente? Le infrastrutture rappresentano uno snodo chiave in quest’ottica tanto nel nostro sistema paese, quanto in Europa. Per questo, il più delle volte, al tema delle grandi infrastrutture si accompagnano gli schiamazzi della politica e le divisioni interne agli schieramenti partitici.
Se da un lato si devono considerare come un segmento strategico centrale e fondamentale per lo sviluppo e l’innovazione del continente europeo, dall’altro, sono anche strumenti essenziali per attenuare le diversità tra paesi membri e accorciarne le distanze geografiche.
“Le infrastrutture, tanto quelle destinate alle merci quanto quelle destinate alle persone – servono per aiutare questo grande patrimonio ricco di diversità che è l’Europa ad attrarre talenti e investimenti. Occorre provare a creare un approccio culturale diverso al rapporto tra infrastrutture e sviluppo e ridare valore alle infrastrutture e ai luoghi della ricerca”, dice Stefano Cianciotta, Presidente dell’Osservatorio Nazionale sulle Infrastrutture, in chiusura ai lavori. Si tratta di passaggi fondamentali per recuperare il ruolo del Vecchio Continente e del Mediterraneo (da cui proviene il 30% del commercio marittimo) nello scacchiere internazionale.