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Discorsi per la nuova Italia del XXI secolo

Dio è finito livellato nell’apocalisse atomica immaginata nelle capacità di Nazioni civilissime di ricreare o distruggere l’intero pianeta: ora, la coscienza di Dio è nelle nostre coscienze di uomini, uomini giganti in un certo senso, perché è alla soglia, al punto di partenza e ci siamo già posti oltre il confine di non ritorno; navighiamo in un mondo completamente trasceso, tra il finito dell’uomo e l’infinito dei tempi di Dio.
La Frontiera della conoscenza nella libertà dell’operare e dell’agire dell’uomo con tutte le sue responsabilità. La questione dell’attuale sfida per gli italiani si pone oggi in questi termini: il nulla più o il ritorno alla “sostanza” di Giovanbattista Vico – dei corsi e ricorsi storici.

La terra è l’identità. Dove si nasce si trova la propria Madre, fiera e coraggiosa del suo parto. Prima o poi, Lei chiede ai suoi figli, sangue del proprio sangue, e Terra in cui torneranno terra, la volontà di riprendersi l’anima. L’anima ha a che fare con un luogo con il sangue e con la Terra dove si nasce. La nostra ingrata Italia, è una Madre con troppe bocche da sfamare. Dai tempi di Foscolo e di Pellico, di Mazzini e di Garibaldi, è la stessa Madre, che ha fatto fuggire, in pochi decenni di Unità, ben oltre 18 milioni di suoi figli. Oggi, quelli sono oriundi in Terre lontane.
Da questi figlioli, il cui saldo demografico è negativo per 18/19 milioni di espatriati, si sono generati negli stessi decenni, su terra non italiana circa, e forse più, di 70 milioni di abitanti della terra, oggi, con i loro discendenti.

Un tempo, noi avevamo uno Stato in cui si lavorava: il lavoro era la base della nostra vita vera, con il mestiere, anche col lavoro di operaio semplice si concorreva ad un insieme ben definito, e si era legati ai mezzi della produzione; la proprietà dei mezzi della produzione era la “sostanza” vichiana che reagiva alla morte civile del consumatore vagheggiato dal mercato.

Pietà per la vostra Terra, è scritto nelle Sacre Scritture, ed è la pietà che devono sentire quanti sono nati da seme e grembo d’appartenenza.

Corsi e ricorsi storici, fatti a immagine e somiglianza, dei peggiori antenati: gli schiavisti. La lungo catena si è rovesciata, l’ordine si è spostato verso il basso, l’ultimo anello d’Italia, le 5 regioni del Sud non ce l’hanno fatta sin ora. Hanno perso anche gli avi, così, le reti di parentele, la famiglia allargata, si è persa, la famiglia anch’essa stabilita nelle Sacre Scritture, due persone, madre e padre.

L’Italia è vecchia per il marasma ideologico, il furore abietto meschino solo innalzato a finto agone politico e sindacale messo a “buon fine” e a copertura di immensi stipendi e laute pensioni d’oro, vitalizi che andavano dismessi già alla fine del Muro di Berlino, alla fine dell’URSS, invece tanta incuria politica istituzionale. In oltre un quarto di secolo, oramai quasi 30 anni, sono andati via e ritornati, ma mai nulla è accaduto, per le loro visioni da trimestre e da scolaretti, il tempo del consumo di un buon affare, invece che mettere a cantiere il futuro di sì grande Paese (…tanto si sapeva, e lo si sa, il “ministro da carrozza”, che lo si prende in fitto per poche settimane, lo diceva anche Ezra Pound, lui americano, ai tempi del regno d’Italia).
Sono solo stati capaci di invecchiare nel loro letargo, fatto di termini inglesi a volte e latini e altre lingue (spread, political correct, par conditio etc etc. a proposito si veda l’Art. 9 della Carta Costituzionale – Repubblica italiana, e hanno consentito far escludere l’italiano dalle lingue dell’Unione – si fa per dire – europea). Potevano, sempre rinsaldati, ristagnati sulle loro poltrone, fare altro? Le grandi figure della politica sono persino morte molto dopo l’età anagrafica di Mussolini che nella sua follia di alleanze sbagliate distrusse, forse, solo il 20% della ricchezza della nuova giovane Nazione del tempo, visto che oggi siamo solo consumatori, e merce, eh, così perdonando questo meschino conto, a lor discapito.
Le vecchie generazioni hanno ben superato, questo negativo conto e bilancio, ma son come ricci ben chiusi in se stessi, indifferenti alla vita che li circonda. La sola novità: è che di anno in anno, nonostante gli affanni sempre maggiori del loro popolo, con i loro simpatici discorsi ci riempiono di cosiddetti nuovi italiani, pensando loro, fors’essere l’Italia, un grande santuario laico? La Terra promessa, la risalita verso un immaginario Eldorado boreale?

È invece la fossa dei cretini, penseranno questi nuovi arrivati, e proveranno lo stesso malessere moltiplicato: vivere in un posto simile a una bolgia infernale e magari scriverà, un futuro Charles Baudelaire, emigrato qui, perché no, magari anche dall’isola di Pasqua, sin qui su zattera e attraverso il canale di Panama, a modo di quel famoso dipinto di Gericault “La zattera della medusa”, tali seguenti versi, che qui immaginiamo Noi per loro: “gli uni e gli altri, simil nuovi forestieri, in un rifugio, d’inedia morimmo stretti stretti, entrambi, dove nulla val rovesciar il nulla ed entrare con porte e finestre non sbarrate manco, sì a partecipar del loro mesto pasciare, tosti si figuraron lieti, come dei lor fiori del male, offerti a noi, in questa orba e spolia Terra, smemorati, di quanta felice storia lo fu, tombale a noi, qui ora come lor novelli adepti”.

La zattera della Medusa, la celebre tela dipinta nel 1816 da Théodore Géricault, è purtroppo la metafora della Zattera d’Italia, che rappresenta lo spartiacque, il punto di rottura, a causa di decennali negligenze e decisioni affrettate da parte di ‘comandanti’ e governanti. È la Terra immaginaria: appare con le sue generazioni di giovani esclusi dal mondo del lavoro e emigrati all’Estero. La generazione nata negli anni Sessanta ha risentito del terrore atomico, del riarmo e di slogan tipo “meglio rossi che morti” e oggi si risveglia quarantenne con la “bomba etnica” che ha potuto, e può più dell’atomica: pensiamo solo a Saraievo, o a Beirut, o a Damasco e persino nella vicina Tripoli, e ai tanti scontri…

 

foto: “Legnano 2004” di R.Panico