L’Europa alla vigilia delle elezioni: dal convegno di Vision Global Trends al Senato
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Sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema delle elezioni europee e far confrontare la società civile con le istituzioni della Repubblica italiana: è con questo spirito che l’istituto Vision & Global Trends in collaborazione con l’intergruppo parlamentare Federalista Europeo ha deciso di organizzare il seminario ‘Europa-Europae. L’Europa tra frammentazione neo-nazionalista e integrazione continentale‘, che si è svolto lo scorso 9 maggio. Un incontro organizzato a ridosso dell’appuntamento elettorale che formerà il nuovo Parlamento europeo e a cui va riconosciuto il merito di aver scaldato il dibattito pubblico, spingendoci ad interrogarci su cosa sia realmente l’Europa oggi.
La scelta della data non è stata casuale: il 9 maggio è notoriamente celebrata la festa dell’Europa in ricordo di quel 9 maggio 1950 in cui la dichiarazione dell’allora ministro degli Esteri francese Robert Schuman gettava le basi per il primo nucleo effettivo di integrazione europea proponendo la creazione di una Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) che si realizzò concretamente con il Trattato di Parigi stipulato l’anno successivo. Italia, Francia, Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi, Germania sono i paesi che presero parte a questo primo piccolo passo verso l’unificazione.
“La scelta della data non è stata solo un atto celebrativo, ma la volontà di fare un ragionamento comune e collettivo che vada oltre gli schieramenti politici per spronarci in vista delle elezioni e per capire quale potrà essere l’Europa del domani e come continuare il processo di integrazione”, ha spiegato la senatrice Laura Garavini, presidente del gruppo interparlamentare Federalisti europei, in apertura ai lavori del convegno.
Dal 1950 ad oggi di passi ce ne sono stati tanti: trattati, accordi e convenzioni hanno portato all’unificazione dei paesi che oggi costituiscono l’Unione Europea, nata ufficialmente con il Trattato di Maastricht del 1992. Un’unificazione di fatto, certamente, che ha portato il piccolo nucleo della comunità del carbone e dell’acciaio a rafforzare progressivamente i propri legami e a diventare un gruppo di paesi sempre più nutrito (che oggi conta 28 stati), unito dal desiderio di rispondere alle sfide globali come un fronte compatto e unitario. L’unificazione che dalle macerie della seconda guerra mondiale ha preso vita come una scelta quasi obbligata, non ha tuttavia impedito l’insorgenza di criticità e fragilità che rendono oggi l’Unione europea un progetto politico debole e non pienamente realizzato.
Da più fronti, durante questo dibattito tra istituzioni e società civile, è emersa la necessità di restituire un’immagine più positiva dell’istituzione europea, in quanto “si registra un enorme gap tra quello che fa l’Europa e come essa viene percepita dai suoi cittadini”, dice Garavini. Di fatto, l’Europa è stata ed è sempre di più considerata non come “la soluzione ai nostri problemi ma come l’ostacolo principale alla piena realizzazione della sovranità nazionale” dei singoli stati che la costituiscono. Come ha suggerito anche Paolo Ponzano, segretario generale del Movimento Europeo Italia, è proprio su questo che fanno leva le “forze del cosiddetto nazionalismo o populismo che tendono a sottolineare costantemente gli aspetti negativi del processo di globalizzazione, in quanto fenomeno che mette a rischio le identità locali e nazionali”.
L’Europa, però, “ha garantito pace, sviluppo e maggiori diritti e rappresenta uno straordinario incubatore di civiltà, cultura, progresso. Vanno superati gli egoismi nazionali perché in un mondo globalizzato come quello attuale nessun paese può più pensare di farcela da solo. Siamo un’Europa”, dice Garavini, che ha poi aggiunto “l’Europa ha portato tanti benefici: la nostra qualità della vita in Ue è decine di volte migliore rispetto ad altre realtà continentali, dall’India alla Cina, in tema di diritti e di lavoro”.
I paesi dell’Unione considerati singolarmente sono destinati a sparire perché non hanno la forza politica ed economica per rapportarsi con le grandi potenze globali come la Cina o l’India che stanno emergendo sullo scacchiere internazionale. “Per il cittadino comune l’Europa rappresenta qualcosa di distante perché la burocrazia ha pensato e realizzato un modello di stato nazionale con al centro un club europeo, ovvero una porzione ristretta di persone, burocrati soprattutto, a cui affidare tutte le decisioni destinate a influenzare la vita di molti.
Il grande errore da imputare all’Europa”, secondo Tiberio Graziani, presidente di Vision & Global Trends, “è stata proprio la mancanza di una visione di lungo periodo in termini storici” dell’Unione, passando anche attraverso la formazione di un ceto amministrativo e politico europeo. In un momento storico in cui l’immagine dell’Europa che viene restituita è quella di un contrasto tra le spinte alla frammentazione delle forze neosovraniste e lo slancio verso un’integrazione più concreta, l’esigenza più urgente è quella di creare un’Europa del presente che sia unita e coesa e che guardi agli errori del passato per migliorare il proprio futuro.
Ripristinare il principio della responsabilità, fortemente minacciato in questa stagione politica. E’ questo l’auspicio di Ettore Rosato, vice presidente della Camera dei deputati: “Quando non si sanno risolvere i problemi interni, gli Stati membri dell’Ue tendono a scaricare le colpe di alcuni fallimenti proprio sull’istituzione europea”. “Serve sempre ricordare che i nazionalismi hanno portato la guerra e che l’Europa è quella scelta profonda che fu fatta durante la seconda Guerra Mondiale da parte di chi ebbe la consapevolezza di capire che la storia d’Europa fu attraversata da continue guerre e che per questo si doveva porre fine a questa situazione”.
Il problema dell’Europa oggi è la sua debolezza e non è difficile immaginare che la frammentazione politica che presumibilmente uscirà fuori da questa tornata elettorale non farà che intensificare le sue fragilità. Diversi sono i passi ancora da percorrere per avvicinarsi all’idea di un progetto che abbia una costituzione comune, una politica estera e di difesa collettiva, un’identità sociale ma soprattutto la lungimiranza di sviluppare una visione di lungo periodo che sia condivisa. Perché se è vero – come ha suggerito il professor Bettoni durante il convegno – che parlare di identità significa automaticamente presupporre un’esclusione, è pure vero che nell’epoca della preoccupazione, dell’incertezza, della mancanza di solidarietà, il sentirsi accomunati da qualcosa non sembra poi così male come idea.