11 Settembre: ricordi di una strage
Sono già passati 18 anni, ma quel giorno lo ricordo come fosse ieri. Avevo poco più di 10 anni. Ero sul divano a guardare con mia sorella “la Melevisione“, programma per bambini che andava in onda su Rai 3. Ad un certo punto, però, ci fu una violenta dissolvenza e, al posto di Tonio Cartonio, comparve, come per magia, nello schermo, Josephine Franzelin che interruppe il programma.
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“Interrompiamo il programma la Melevisione per una breve edizione straordinaria del TG3“. Non riuscii a capire cosa stava accadendo. Non cambiai subito canale, restai a osservare quelle immagini, ma vidi solamente enormi cortine di fumo, senza riuscire a capire l’entità di quella che era a tutti gli effetti una tragedia. Ricordo che iniziai a cambiare canale, o come si dice oggi a fare zapping, per cercare un altro canale adatto ai bambini. Mia madre era a lavoro, chiamò a casa per avvertirci che sarebbe tornata a casa, ma mentre lo diceva singhiozzava. Aveva sentito la notizia di sfuggita, ma era molto preoccupata.
Domanda che sorge spontanea è come fa un bambino, a distanza di anni, a ricordare perfettamente quanto successo dopo molti anni? Gli esperti parlano di flashbulb memory, traducibile nella nostra lingua con ricordo fotografico o flash di memoria. Questo tipo di memoria è associato a un evento particolarmente traumatico. Le persone ricordano non solo l’evento in sè, ma anche tutte le circostanze in cui hanno appreso la notizia. Ecco perchè il ricordo rimane così nitido.
Quand’è che si inizia a parlare di flashbulb memory? Nel 1977 gli psicologi Roger Brown e James Kulik basandosi sugli assassini di John F. Kennedy e Martin Luther King formularono la flashbulb memory. La mente umana è dotata di una memoria biologica che si attiva quando un evento ci stupisce o sconvolge oltremodo. Questa memoria registra, in maniera permanente e in modo nitido, l’evento e tutte le circostanze in cui lo abbiamo vissuto. In modo del tutto casuale e naturale, si viene a creare un rapporto stretto tra emozione e memoria, ed è per questo motivo che ricordiamo alcuni eventi con maggiore intensità piuttosto che altri.
L’11 settembre 2001 era un martedì e la scuola sarebbe iniziata la settimana seguente. Continuavo a non capire cosa stesse accadendo e decisi di spegnere la televisione. Mia madre tornò in lacrime e ci abbracciò. Non scorderò mai le sue parole: “E se fosse successo a noi?” Iniziai a capire la gravità di quanto era successo solamente la settimana seguente, all’alba del nuovo anno scolastico. Prima ora di lezione, annuncio della preside. “Oggi faremo un minuto di silenzio in ricordo delle vittime dell’11 settembre“. La maestra piangeva e con lei alcune mie compagne. Ricordo che improvvisamente ebbi un nodo alla gola, come se venissi colpito da un sentimento angosciante di natura sconosciuta. Iniziai improvvisamente ad avere paura e capire i sentimenti dei miei genitori e quelli delle maestre.
Sono convinto del fatto che chi ha vissuto la tragedia dell’11 settembre non potrà dimenticarla. Gli Stati Uniti, nell’immaginario collettivo, rappresentavano fino ad allora il paese più sicuro del mondo. Quando si consumò la catastrofe non si inginocchio solamente l’America, ma il mondo intero. Quell’evento servì all’umanità per ripartire e per esser maggiormente unita nella lotta contro il terrorismo. Si è parlato molto di quanto successo e se ne parla ancora oggi; continuano, infatti, a venir prodotti libri, documentari che riprendono tesi mai confermate (ad oggi ancora nessuno ha fornito reali prove scientifiche), l’esempio più famoso, sul quale non mi soffermo, riguarda la tesi complottistica, a sostegno della demolizione voluta delle Torri Gemelle.