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MCM: Un secolo ancora vivo !

I MILLE E NOVECENTO PASSI DELL’ UMANITA’ :
orrori ed errori, scenari apocalittici e rivoluzioni scientifiche racchiusi in cento anni da ricordare

Il Novecento ha impiegato circa 60 anni per disvelarsi e per appropriarsi di una sua personalità netta, capace di ideare e concretizzare ciò che con fatica e sudore è stato partorito dalle sue viscere. No, non era possibile in gioventù avere già le idee chiare e dar vita ad una nuova realtà che gli fosse propria, senza limiti e veli, e che creasse i presupposti perché si tracciasse un’impronta indelebile nell’infinito cassetto dei ricordi. Le idee, non poi così innovatrici, si rivelano però rivoluzionarie e si materializzano col sangue dei ribelli sparso a macchia d’olio, lungo le strade che si trasformano in scenari bellici truculenti. Il primo attentato scioccante della sua storia non ha nulla a che vedere con Bin Laden e il fondamentalismo islamico ma con la testa cinta da una corona scottante, che non aveva preso in considerazione le istanze di chi a gran voce aveva gridato” No”.

Violenza che si combatte con violenza, e si tinge di nero e di rosso il tramonto di quei pensatori e poeti che credono d’esser dentro una giostra colorata e impazzita. Difficile infatti collocare accanto all’attentato di Umberto I le prime mongolfiere che spiccano il volo in un cielo terso e pieno di promesse e sorprese. Si può però comprendere la natura del pensiero artistico che fa da interprete ai messaggi che l’inconscio collettivo del momento inviava nell’etere. L’avanguardismo si trova, suo malgrado, ad essere politicizzato e si snatura quasi del tutto il suo messaggio artistico per ergersi a corrente di pensiero e di idee. Innegabile che la paternità non si possa attribuire ancora al precedente Secolo, l’Ottocento, poiché taglia le radici con il passato e si mette in una posizione di netta rottura, non solo formale, con tutto ciò che non risponde alle affinità emotive ed intellettuali del momento. Non è più così solido lo sposalizio tra il pensiero borghese e quello popolare; si spezza il patto sociale e la rottura è insanabile. Un divorzio altisonante che non lascia indifferente l’artista, soggetto che dal filosofo Hegel viene definito come colui che “appartiene al suo tempo, vive dei suoi costumi e delle sue abitudini, ne condivide le accezioni e le rappresentazioni”.
A coinvolgere in modo particolare” lo stivale” che dalla punta al tacco era riuscito a farsi battezzare sotto l’unico nome, Italia, è il Futurismo. La frattura sociale era evidente tra gli anarchici e i borghesi e spesso raggiungeva punte estreme di tensione sociale;  in seguito, l’estremismo verbale si è incarnato nell’attentato anarchico-insurrezionalista che coglie di sorpresa la monarchia,  affatto attenta alle dinamiche complesse che si stavano consumando.

Lo scollante sociale si nutre però delle ceneri del precedente Secolo, l’Ottocento, durante il quale sommovimenti e rovesciamenti di poltrone e teste avevano impedito che si maturasse una lucidità di pensiero e un’indipendenza consapevole. L’humus culturale era di fatto intriso dell’inchiostro blu di un’aristocrazia invadente e parassitaria che si voleva abbattere a favore dei ceti emergenti, in special modo il proletariato, che spingeva dai bassi fondi per farsi largo tra i Palazzi del potere.  Lui, il Novecento, non sapeva nemmeno d’esser nato. Nessuno glielo aveva fatto notare; un solo  vagito aveva sancito la sua conoscenza con la luce e la carne. Ed è oscura questa luce, quasi plumbea, appesantita da una serie di rivolte e ingiustizie sociali che premono e che esplodono all’improvviso ma programmate bene, come fossero una bomba ad orologeria che attende solo il tempo giusto per seminare i suoi fuochi e i suoi morti. Era solo un ragazzo, un giovane adolescente ancora alla ricerca di sé stesso, con le ossa tenere e gli occhi spalancati come finestre su un mondo che non era poi così complesso, poi così freddo, ma che d’improvviso gli impone con tanta brutalità tutta la sua implacabile ira. A soli quindici anni non ci si dovrebbe trovare coinvolti in una guerra che non conosce né pietà né senso umano, né contempla salvatori ma solo forza brutale che tenta di imporsi usando tutti i possibili mezzi di distruzione esistenti in campo per annientare i propri simili. Sembra una macchia nera sopra un candido centrino di puro lino ricamato a mano, questa Prima Guerra mondiale, che non collima e non combacia con le emozioni del nuovo che stava sbocciando radioso e che voleva coinvolgere tutti in una festa di luci e colori, non certo di cannoni e trincee!

Tutti quei piccoli tasselli che avevano contribuito a creare un armonioso mosaico della sua adolescenza non possono né devono passare in secondo piano rispetto alla paura e alla brutalizzazione del senso umano; come dimenticare l’emozione che si prova quando ci si sente le mani tremare dall’emozione e il cuore sussultare in gola di fronte alla visione di uno spettacolo che mozza il fiato? Così, immagino, si siano sentiti i protagonisti di eventi eccezionali e innovativi, come la comparsa delle prime creature partorite dal genio umano, esposte a Parigi.
L’Esposizione mondiale esalta tutti i macchinari, da quelli a vapore a quelli a forza idraulica, utilizzati nei campi dell’agricoltura e dell’industria tessile, mentre le vie di città sono percorse da poche e lussuosissime automobili con motore a combustione. E nei cieli del “Nuovo Continente” americano sfreccia il primo aereo a motore che sarà il grande protagonista del successivo capitolo bellico del Novecento. Mentre la vecchia e godereccia Europa non si limita a stravaganze sociali e gozzoviglie da “Belle Epoque” ma pensa a triplicare la sua  popolazione e così nasce quella nuova classe sociale che intendeva  scalzare del tutto la precedente. La classe operaia si imponeva con le sue fila di lavoratori sfruttati e sotto pagati, assetati di fortuna e garanzie sociali, mentre la borghesia e l’aristocrazia ingrassavano i botteghini dei teatri nei quali era in voga l’operetta e in alternativa riempivano i “cafè chantant” nei quali si consumavano ore leggiadre e spettacoli sfiziosi.
Non sono ore di passaggio spese solo per ammazzare un tempo interminabile; i costumi sociali si ribellano, di pari passo ai guizzi artistici e culturali, la cui conseguenza è che la sessualità acquisisce un ruolo centrale, soprattutto a seguito delle nuove teorie freudiane che aprono l’esplorazione della sessualità non solo degli adulti ma anche dei bambini. La scienza dell’inconscio non era certo considerata tale, e a dimostrazione che alle menti geniali ed eclettiche spetta sempre una gloria postuma, Freud negli anni Venti del Novecento non era affatto considerato uno scienziato valido e le sue teorie erano considerate vere e proprie calunnie a danno di creature innocenti e pure. La sessualità gioca come sempre un ruolo di inibitore sociale e soprattutto di controllore e censore della libertà del singolo individuo, che, nella maggior parte degli Stati Europei, era suddito, non ancora cittadino. E per lo più suddito analfabeta, che non era in grado né di scrivere il proprio nome né di leggere quello altrui, soprattutto nell’Italia Giolittiana, nella quale la presenza della luce elettrica non è sufficiente ad illuminare le menti di tutti quegli uomini che avevano ottenuto il diritto di potersi esprimere nelle urne elettorali. Privilegio riservato a coloro che erano scampati alla carneficina del conflitto mondiale del ’15-’18.

Gioia di vivere e profonda acredine si intrecciano a stretto giro, così tanto che non si distinguono più i confini del piacere da quelli del dolore, innescando un insieme di reazioni impulsive e incontrollabili.  All’artista non resta che tentare di fermare il tempo, o forse solo di narrare cosa sta avvenendo non tanto o non solo dentro di sé ma intorno a sé. Al suo fianco, le innovazioni scientifiche e le grandi scoperte dei ricercatori che hanno modificato radicalmente il percorso dell’intera umanità, tra bombe atomiche e svolte epocali come la scoperta della penicillina e nuovi antibiotici che salvano la vita a discapito della falce mortale, che  golosa attendeva con brama carne da tranciare in tenera e media età. Si allunga il pellegrinaggio terreno di svariati anni non solo grazie alla scienza ma anche e soprattutto al benessere che segue alla Seconda guerra mondiale. E lui, Novecento, si rende finalmente conto che il cordone ombelicale con i moti idealistici e romantici, che si erano realizzati in rivolte violente e crisi identitarie che lo avevano partorito si è del tutto spezzato. L’Ottocento ha del tutto abbandonato il palco, non ruba più le scene al giovane figlio inesperto ma gagliardo; ma tutto ha un costo, anche l’indipendenza e la libera espressione della propria identità. L’annichilimento umano aveva raggiunto la sua massima espressione durante il secondo conflitto bellico ma non è certamente questa la nuova ruga sul volto che prima non c’era. L’ignoto affascina e al contempo spaventa: la paura rende ogni creatura che ne viene pervasa quasi immobile, non essendo più in grado di muovere un solo muscolo. Non sa cosa le sta per accadere e trema all’idea che l’ignoto possa farle del male ma l’altra faccia della medaglia è quel fascino intenso e profondo al quale è impossibile resistere e ci si lascia penetrare fino in fondo, fin nelle viscere. Per quanto possa esser stata brutale e scioccante la guerra e tutti i suoi strumenti di tortura, non è certo questa la gran novità! Se si pensa alle torture usate in passato, la pelle si accappona in egual misura. Le ingiustizie, le intolleranze e le rivendicazioni paiono tutte assomigliarsi un po’. Cos’è allora che rende Novecento così diverso da tutti gli altri? Cos’è quel particolare “non so che” nel suo DNA che fa di lui una creatura unica e che lo distingue dalla massa dei precedenti e futuri Secoli? Cos’è che fa di lui uno sconosciuto, e quindi che spaventa e che affascina, che incanta e che attanaglia al tempo stesso?

Sono le stesse parole di Giovanni XII, pronunciate nel Gennaio 1959 a far comprendere la portata universale e radicale del cambiamento che era alle porte per l’intera umanità: “…Pronunciamo con umile risolutezza di proposito il nome e la proposta della duplice celebrazione: un Sinodo Diocesano per l’Urbe e un Concilio Ecumenico per la Chiesa universale”. Il Concilio Vaticano II si apre ufficialmente nell’ottobre del 1962 e si concluderà nel dicembre del 1965. Tre anni di discussioni, decisioni, cambio di rotta per la “Sposa mistica del Cristo” che nell’arco di appena 36 mesi modifica radicalmente 2000 anni della sua storia e della storia dei suoi fedeli nel mondo. Non è uno scherzo: la Chiesa Cattolica con i suoi 2500 rappresentanti, includendo, in qualità di osservatori esterni, anche esponenti delle comunità cristiane scismatiche come quelle ortodosse e protestanti dimostra che il  frutto era maturo e viene non solo colto ma anche morso. Dopo secoli e secoli di riti e tradizioni immutabili, che avevano resistito alla scoperta di un nuovo Continente, a svariati rovesci sociali e intrecci politici e soprattutto a nuove scoperte scientifiche, che erano costate alle menti eccelse che le avevano ideate, la morte, la Chiesa Cattolica, ovvero “universale”, perché sempre meno eurocentrica e sempre più globale, apriva per la prima volta le porte alla modernità.  Sessanta anni circa e Novecento non è più uno sconosciuto: un signore distinto di mezza età, che aveva navigato negli Oceani del proibito e dell’indecente e che si trascinava ancora un passato ingombrante, aveva deciso di lasciare la sua personale ed inconfondibile rivoluzione. Sembra in effetti rompere del tutto con il suo passato, cancellando con un colpo di spugna tutto quello che gli era stato donato e che pareva avesse fatto suo. All’apparenza, però; in sostanza, sotto la pelle, batteva un cuore innamorato. Innamorato di sé stesso a tal punto d’aver deciso d’abbandonare ogni remora che ancora lo teneva ancorato a passate esperienze e passate saggezze per battere una strada sua e soltanto sua, che non l’avrebbe fatto perdere nella nebbia dell’incertezza e che l’avrebbe traghettato una volta per tutte verso il futuro. Rivoluzione religiosa e ancor prima sociale ma la prima vera e unica rivoluzione che ha di seguito trascinato tutte le altre è quella sessuale. Cade il muro divisorio tra la sessualità esercitata a fini riproduttivi e quella esercitata per meri piaceri personali. Il soddisfacimento dei “piaceri della carne” non era più considerato un “peccato mortale” e la scoperta che una prostituta di bordello può essere anche una buona madre e la consapevolezza che l’angelo del focolare può celare dietro la maschera del perbenismo una” mantide religiosa” diventa quasi una vera e propria scoperta scientifica.

Non sorprende più di tanto che il passo è così breve da non esser stato quasi valutato con la giusta esaltazione e la giusta collocazione nell’analizzare gli svariati eventi che si sono succeduti in cento anni e che si sono conclusi con l’arrivo del nuovo millennio. Il sesso è la prima fonte del piacere e come tale va vissuto e va considerato, riportandolo nel contesto sociale e legittimandolo. Basti pensare che nel Ventennio fascista erano censurati nei giornali gli annunci dei medici che proponevano cure per gli uomini impotenti mentre si incentivavano le cure per la fertilità femminile. Essere fuori dal circuito, ovvero non essere sessualmente fertili e attivi, equivaleva ad esser considerati esseri inutili e messi al bando dall’intera società. E la Chiesa Cattolica, primo vero “braccio armato” del potere politico l’aveva ben compreso da secoli e secoli. Il controllo delle masse si esercitava anzitutto censendo l’attività sessuale e promuovendo l’ esercizio tra le lenzuola ai soli fini procreativi. Perché, dunque, l’istituzione conservatrice e reazionaria per eccellenza decide di stravolgere le sue secolari e dogmatiche tradizioni? Perché a sua volta il Concilio Vaticano II è lo specchio dell’altra grande rivoluzione che appartiene a Novecento e che ha regalato luce chiara dove c’era solo oscurità. E si tratta del primo vero fenomeno di globalizzazione: la democrazia.

Con questo termine non si intende solo sottolineare il contenuto filosofico e politico di questo modello prima attuato in America e poi importato in Europa. Si intende soprattutto il riconoscimento della pari dignità e quindi dell’eguaglianza, almeno formale, di tutti. Tutti gli Stati sono al pari considerati e al pari degni di identità e ruolo nella grande scacchiera internazionale. Il mondo non è più in mano ai pochi, ai ricchi, ai bianchi ma tutti avevano diritto alla loro fetta di potere. Poco importa che per potersi accaparrare una piccola porzione si era costretti ad accoltellarsi e a scendere a duri e sporchi compromessi. Importa avere nel piatto qualcosa da mangiare, e in alcuni casi è sufficiente avere anche solo il piatto, perché questo garantisce che prima o poi si verrà considerati. La vera rivoluzione è la democrazia globale, che spinge a comunicazioni “all around the world” e che consente una mescolanza di razze, idee, tradizioni completamente differenti le une dalle altre ma considerate tutte in egual misura valide, almeno nella forma. Novecento si riproduce, ha deciso di chiudere il cerchio e di essere l’ultimo, forse perché si considera perfetto solo accostando un personaggio al suo. In due è più bello cavalcare le onde dell’emozione e creare a quattro mani rende l’opera più originale e sicuro non la lascia anonima. Il Duemila offre il palco a sua volta a Novecento, inscenando l’attentato più spettacolare che sia mai esistito in precedenza: quello alle Torri Gemelle di New York, avvenuto presumibilmente per mano di uno dei personaggi più controversi della storia del fondamentalismo islamico, Osama Bin Laden. Tale padre, tale figlio e si ripete la scena inziale. Cuori impavidi e ribaltoni sociali ottocenteschi che hanno ingombrato il palco di Novecento per una cinquantina d’anni. Effervescenza emotiva e grandi passi scientifici e tecnologici associati a dilanianti malesseri e dolorosi ricordi ancora ingombrano il palco del Millennio che s’affaccia, piccolo e insicuro, alla finestra della vita.
Quando comincerà il Duemila non si sa, si sa però che è molto più complice con Novecento di quanto non sembri. Lui, che pareva aver esaurito i suoi assi nella manica, che sembrava non aver più alcuna mossa da fare, alcuna strategia da seguire e soprattutto più niente da offrire. Lui, ancora una volta, si alza in piedi e stupisce l’umanità non per le sue ulteriori scoperte, che potrebbero essere considerate “aliene” dagli anziani ed eccitanti dai giovani. Stupisce perché è ancora vivo, ancora il suo cuore batte e il suo volto non ha permesso a nessuno ancora di comprendere quanto ci sia di malinconico o di beffardo in quel sorriso così radioso e a tratti sfuggente. Cammina lento, è stanco, e non ha nessuna intenzione di continuare a percorrere tanta strada. Sta per arrivare alla sua naturale sede, la Storia, che l’attende come si attende che un figlio torni a casa, che un’opera sia esposta, che la risposta sia affermativa. Quale sentenza ti aspetta? Una condanna oppure una piena assoluzione?
Questo non so dirlo ma posso solo valutarti con gli occhi di una figlia affezionata e attenta. Sei stato un padre saggio e libertario ma prima di capire che cosa fosse giusto lasciare in eredità, hai fatto degli sbagli imperdonabili. Ti sei distinto per fantasia e creatività e per un inconfondibile senso di profonda ricerca della tua identità. Hai insegnato tanto a tutti ma hai lasciato aperte questioni dolorose e drammatiche, senza che nessuno si preoccupasse di cercare chi fosse il vero colpevole di tanta sofferenza e tanta solitudine. Hai cercato di ingannare con immagini e nuove forme espressive e comunicative la mente, illudendo che fosse cambiato davvero qualcosa, per poi lasciare che la pelle continuasse a scottare sotto il sole, che la pelle continuasse a sudare dalla fatica. E che continuasse ad essere motivo di discriminazione sociale mentre avevi promesso che avresti abbattuto, una volta per tutte, queste inutili e stupide follie umane. Ma ti ringrazio comunque, perché non avrei potuto come donna, come figlia, come cittadina, avere così tanta libertà, uguaglianza e senso umano che m’era stato promesso dal mio bis-nonno Settecento. Io non ti giudico, quindi non posso né condannarti né assolverti ma soltanto ringraziarti.

                                                                                                                                                                

                                                                om Enrico Paniccia

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