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La nuova fauna di Roma, …..le immigrazioni della natura

La leggenda della fondazione di Roma si riferisce al volo delle gru che si posarono sul colle Palatino indicando il punto dove iniziare la città, di quello che sarebbe diventato il fulcro del più grande impero dell’antichità. Gli uccelli ebbero un’importanza da non sottovalutare nei primi anni della formazione di Roma; furono ereditate dagli etruschi le pratiche di ornitomanzia, ovvero la capacità di auspicare un evento dal volo e dal comportamento dei volatili. Nel ricordarne l’importanza come non citare le oche del Campidoglio, famose per avere allarmato la popolazione dall’ invasione del gallo Brenno, senza contare i simboli della città, oltre alla lupa c’era l’aquila, icona di Giove e simbolo del Pontefice Massimo.

La fauna di Roma in quasi tremila anni ha cambiato ospiti e nelle oltre cento specie di uccelli i nuovi predatori si sono stazionati da qualche decennio. Il gabbiano reale, a quanto pare meno costiero rispetto una volta, e la cornacchia, non più un volatile rurale.

Nel citare le migrazioni stagionali ci riferiamo al cielo capitolino autunnale, dove si possono osservare storni di uccelli provenienti dall’ Austria, Ungheria, Germania e Polonia, in cerca di calore, nella speranza di passare l’inverno in un clima migliore. Nei periodi di passo migratorio il Gufo della Palude e il Mignattaio sono stati avvistati nel parco della Caffarella, come le colorate specie africane del Gruccione e del Rigogolo. Nei pressi del Lungotevere sostano aironi come garze e garzette.

Ma il resto delle migrazioni non è più stagionale e ha stravolto la fauna. I verdi pappagalli, i Parrocchetti dal collare e i pappagalli monaci, specie esotiche, i primi provenienti dall’Asia, scappati da voliere, gli altre invece originari del Sud america, legati alla leggenda del sequestro del 1999, di mille esemplari fermati all’aeroporto e probabilmente liberati per il chiasso. Sono volatili in grado di migrare per cercare condizioni consone alla propria natura ma non lo fanno. Sono state piantate palme nella capitale, catalpe e melograni, piante esotiche che favoriscono la loro permanenza. Nel lungotevere ci sono i cormorani, nati magari in Danimarca, Estonia, Lettonia, Olanda e Lituania ma stazionate con l’intenzione di rimanere a vita nei pressi del fiume romano, a pescare con ostilità in un fiume con scarsa visibilità. Una vita non facile come per i famosi germani reali di Villa Borghese, non infastiditi dai passanti, ma perennemente in lotta tra loro per competizioni: ci sono molti maschi per poche femmine.

Sempre nel lungotevere si possono osservare le nutrie,  docili castori scappati da qualche negozio di pelliccia, in sensibile crescita numerica. Nel fiume stesso aumentano carassi e pesci gatto. Nei laghetti di villa borghese sono fisicamente cresciute le testuggini d’acqua abbandonate dai vecchi proprietari.

Magari Olimpia,  la volpe di villa Pamphilij, risulta un’anomalia in quanto il centro cittadino è più legato ai gatti, come la colonia felina di Torre Argentina e i gatti della Piramide Cestia e del cimitero acattolico. Per il centro sembra quasi non stupire la morte di Giglio, l’altra volpe di Villa Pamphilij, impreparata alla vita di città, ma in periferia le classiche “ gattare” si sono trasformate in volpare, perché aumenta il numero delle volpi che si spinge verso la città. Il coleottero delle palme, insetto asiatico, distruttore appunto di palme anche lui è giunto in città. Ma fortunatamente ci pensano i gabbiani: ce limitarne la crescita

In questi tempi di cronache sui migranti, la natura sembra rispondere, quasi come una parodia. La città ha creato le condizioni della permanenza di queste nuove specie romane, insieme alla disponibilità di cibo extra fornito dai locali e dai turisti. Quando spuntarono per la prima volta furono notati dai locali, adesso non rappresentano più stupore, sono totalmente integrati.

Nella città di Roma sembra che stia nascendo una specie diversa di cornacchia, nera, diversa dalla cornacchie nere del centro e Nord Europa, sembra sia proprio una mutazione genetica “romana”, forse è ancora presto per dirlo. Chissà che la natura non ci stia comunicando qualcosa.

                                                                                                                 om Enrico Paniccia

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