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Il Michelangelo di Andrei Konchalovsky. Russia e Italia nel cinema: immagini di popoli che si guardano

“Il peccato – Il furore di Michelangelo” per una lettura del film. Il potere dell’arte o l’arte del potere? 

Raffaele Panico

A ricorrere quasi come chiodi su cui aggrapparsi su una scoscesa salita nel film di Andrei Konchalovsky sono alcuni riferimenti. Anzitutto a Dante Alighieri, mentore di Michelangelo, è la guida spirituale dell’Italia post latina-romana e del trascorso millennio circa dall’editto di Costantino e di Teodosio. Italia Una nella lingua del Sì, quando in Francia si parlava la lingua d’Oc e d’Oil. L’italiano del Trecento è comprensibile anche oggi, salvo alcuni dialetti. Il ricorrente ricordare da parte delle due famiglie rivali i Della Rovere e i Medici a Michelangelo che lui è il “divino” e molto o quasi tutto gli si può perdonare, può stare nelle stanze e nei segreti di entrambe perché “Sei uno di famiglia”. Lo spirito di Dante che lo scuote e lo pervade, e la materia che ha il suo tempo geologico della pietra, di svariati milioni di anni, dal turbamento del “divino” Michelangelo viene animata col soffio dello Spirito e si fa potenza per i secoli della storia umana. Il denaro, il tradimento anzi i tradimenti, il veleno delle corti rinascimentali il ricorso ai mercenari e agli eserciti stranieri. Le scene di vita, la sfida tra i grandi geni – Raffaello – ed altro ancora. Alcuni di questi passaggi introducono squarci dallo sfondo del film di Konchalovsky, film che in verità andrebbe visto più di una volta, le aperture sulla storia e la lunga durata del tempo storico, ricerca storica cara a Fernand Braudel per ritrovare connessioni profonde tra l’arte e il potere, sostanza del Rinascimento, e l’artista Michelangelo che scarica le energie, tra faglie da cui sgorga la “potenza” – come la chiama lui, della macerazione interiore dello spirito nell’arte. Un sentimento profondo, dei popoli e degli individui tra loro interconnessi, si trova sotteso nelle scene di questo film.   

L’Italia del tempo, l’Europa e il Mediterraneo

Konchalovsky sembra aver centrato che non era l’Italia che si aspettava e avrebbe voluto Michelangelo che recita i versi di Dante poeta d’Italia “sommo e divino”, lui non è che un pro-nipote che conosce a memoria l’Inferno della Divina Commedia. Lui che i governanti chiamano “divino” ricorda Dante per allontanare gli spettri delle loro malvagie azioni. Michelangelo vive in una pessima Italia ancora tutta credenze e paradigmi medioevali: il peccato, i peccati capitali e l’inferno, l’inferno post mortem e l’inferno lì in terra con l’Inquisizione. È lo spettro del Medioevo, c’è e ancora s’aggira per l’Europa intera dove l’Italia è la culla feconda delle nuove idee portatrici del futuro, il Rinascimento e l’età moderna. Appare citata la Repubblica di Venezia quando “Beppe” l’allievo tedesco di Norimberga ha un sacco di monete veneziane, è possibile, lui è come Giuda un traditore, aveva ordito e tentato l’avvelenamento del Maestro italiano, tornerà forse vivo in Germania da Albrecht Dürer? Michelangelo l’aveva già aggredito “sono 8 anni che stai con me e conosci perfettamente un verso del poeta Boccaccio, allora mi hai mentito sulla tua scarna conoscenza della lingua italiana!”

Venezia, così in breve passaggio appare nella trama del regista Konchalovsky con la sacca piena di Fiorini veneziani segno del tradimento. Venezia tra gli Stati italiani era sola e degna di una politica di potenza italiana sovrana autonoma e di tutto rispetto, si destreggiava tra l’impero dei turchi e il Sacro romano impero germanico al Nord e aveva subito l’urto della battaglia di Agnadello. È questa, sembra, l’Italia che si delinea dalle scene di Konchalovsky del suo Michelangelo, alla ricerca di un riscatto da Medioevali azioni e da sentimenti e bassezze umane che scuotono la coscienza di uomo e artista che opera già nel Rinascimento.

È l’Italia dopo la caduta di Costantinopoli del 1453, visto il pericolo turco, si intendeva raggiungere l’intesa per una pace tra italiani e nel 1454 con la Pace di Lodi si va verso la ricerca di nuovi equilibri per gli Stati italiani. La Repubblica di Venezia era una potenza territoriale ed era l’unica che si poteva imporre sugli altri Stati. Il Trattato di Lodi imponeva l’obbligo a tutti gli Stati di non alterare gli equilibri italiani con azioni militari, ma era un equilibrio precario.

Nel 1492 moriva Lorenzo de’ Medici. Le tentazioni di estendere l’egemonia su tutta l’Italia era forte e irta di ostacoli in quanto nell’Italia centrale lo Stato della Chiesa era anche il riferimento della cristianità occidentale quindi permeabile a principi corti e re e i loro eserciti al seguito. Ecco quelli sono gli anni di Michelangelo, tra la morte di Alessandro VI 1503, un pontificato di 26 giorni di Pio III, quindi l’ascesa del pontefice Giulio II della Rovere e poi di Leone X dei Medici.

La guerra per recuperare i territori occupati dai Borgia e l’aggressione contro la Repubblica di Venezia, il solo vero ostacolo alle mire espansionistiche del Papato. Ed ecco il tradimento, non una Lega tutta italiana come auspicata a Lodi dopo la caduta di Costantinopoli e della cristianità orientale, ma l’incontro di Cambrai del novembre del 1508 quando si incontrarono i rappresentanti di vari Stati, in prima fila la Francia, che promossero una Lega contro Venezia. Il re di Francia voleva estendere i suoi territori a scapito della grande Italia del tempo estesa oltre i confini geografici, mentre l’obbiettivo minimo pontificio erano le città della Romagna ancora sotto il dominio veneziano. Il Trattato era segretato per cogliere di sorpresa Venezia per non dargli il tempo di prepararsi militarmente. Venezia aveva un servizio d’informazione di tutto rispetto e presentì l’allarme. L’anno successivo 1509, nel mese di aprile Luigi XII re di Francia dichiarava guerra a Venezia.

‘Il peccato, il furore di Michelangelo’ girato in Italia in sole quattordici settimane sembra con questo approccio andare oltre alcune critiche. Nel film ci sono delle apparizioni e una visione di fondo. Il regista russo si è posto delle domande e ha focalizzato solo alcuni periodi della sua vita e si è chiesto: “cosa avrebbe mai scritto Dante di Michelangelo che, tra l’altro conosceva a memoria la Divina Commedia” […] “non è tanto un film sullo scultore, ma su una visione di un essere umano molto egoista, duro ma anche molto tenero che ha vissuto nel Rinascimento” ha detto Konchalovsky.

Rimandi alla storia del Novecento
Questa sensibilità e fascino per l’Italia attraverso i secoli del popolo russo e viceversa degli italiani per la Russia, il sentire dei popoli e le grandi parentesi di decenni di storia del Novecento, il pensiero e le coscienze degli individui nel contesto e nelle tragedie della Storia, un senso di comunanza di destini, spesso sembra essere stato ed è ricorrente. Si vuole ricordare un libro in particolare che è stato oggetto in una serie di radiotrasmissioni negli studi di Radio Radicale su “Teoria e Pratiche della Comunicazione e dell’Interculturalità”. In studio Mohamed Ba e il sottoscritto in collegamento telefonico con l’autore di “Socialismo magico” – Valentino Cecchetti. 
Radio Radicale, nella foto, Piero Melograni, Raffaele Panico, Pino Pelloni, per la  Puntata del 26 maggio 2010 su “Italia in Guerra, il 10 Giugno 1940″ – Ed. Tascabili Marsilio – Intervista all’autore il Professore Piero Melograni 

Un ponte ideale, tra la Russia e l’Italia, era emerso con molta evidenza in una puntata radiofonica a Radio Radicale. Si presentava per l’occasione il libro “Socialismo Magico” in G. Noventa e A. Olivetti – Lettori di Rudolf Steiner: Intervista a Valentino Cecchetti” di venerdì 2 aprile 2010, condotta da Mohamed Ba che ha ospitato Valentino Cecchetti (Dottore di ricerca in Teoria e Pratiche della Comunicazione e dell’Interculturalità e di Ricerca in Scienze del Testo), Raffaele Panico (giornalista, già Capo-redattore del giornale “Avanti”, dottore in Lettere Moderne).
Nel capitolo IV al paragrafo 5 alle pagine 88 e 89 leggiamo “Il Discorso su Carlo Levi e la situazione spirituale italiana (1950): “Secondo Schubart la Chiesa romana sta spostando il suo baricentro spirituale verso Oriente, senza perdere la sua funzione di istituzione perenne. Lo farà riscoprendo l’eredità del più russo dei santi occidentali, San Francesco d’Assisi. Nella patria del Poverello (in Umbria e in Toscana) circola molto sangue slavo, soprattutto nelle vene dei contadini, un retaggio dei Veneti che erano slavi e, come i russi, provenivano dai Carpazi. Nel sangue dei contadini dell’Italia centrale è vivo l’incanto del paesaggio orientale ed è per questo, come scrive Liubov Dostoevskij nella biografia del padre Fëdor (citata da Schubart), che i russi che viaggiano in Italia sono spesso sorpresi di incontrare nell’Italia centrale un tipo di contadino simile a quello russo.
I costumi, lo sguardo mite e paziente, il senso della rinuncia, la maniera di avvolgere il fazzoletto intorno alla testa, sono gli stessi e ciò spinge i russi ad amare l’Italia e a considerarla come la loro seconda patria. L’etnografia favolosa di questo ritratto delle campagne italiane può avere un indubbio valore suggestivo nel caso di un veneto-veneziano come Noventa”. […] “Una breve indagine sulla prima stagione delle Edizioni di Comunità, rivela l’esistenza di una politica culturale che, nell’immediato dopoguerra, poteva apparire eccentrica e minoritaria, ma che stava diffondendo temi e visioni della realtà che presto avrebbero dominato interamente la cultura italiana del secondo ’900. Come si ricava dalla prefazione di Renzo Zorzi al Catalogo generale delle Edizioni di Comunità 1946-1982 [1], l’atto formale di nascita delle Edizioni di Comunità – con il motto «Humana civilitas» e il marchio della campana di Sinisgalli e Pintori – è contemporaneo all’uscita del primo numero della rivista «COMUNITÀ», nel marzo 1946.
La casa editrice omonima, sino all’anno della morte di Adriano Olivetti e alla creazione della Fondazione Olivetti, rispecchierà fedelmente le idee di Adriano, articolandosi in un progetto nel quale avranno notevole peso collaboratori selezionati sulla base delle affinità culturali e della contiguità personale con Olivetti. 
“L’Europa e l’anima dell’Oriente” (1947) di Walter Schubart esce nel 1939 a Lucerna e viene tradotto e stampato in Italia circa quaranta anni prima della seconda edizione in lingua tedesca (1979) [2]. Schubart che è l’autore solo di un altro libro, Eros und Religion, tradotto in Italia nella «Biblioteca esoterica» della Mursia con il titolo “Amor sacro e amor profano” nel 1977, poi venne arrestato dalla GPU nel 1941 a Riga, dove insegnava, e morì in un gulag siberiano.

Schubart considerava il comunismo come una creazione di tipo demoniaco, a cui le Russie risultano particolarmente adatte a causa della loro storia. Il comunismo visto come una regressione dispotica, coincide con la trasformazione involutiva e la dissoluzione naturale della civiltà capitalistica o prometeica di cui il bolscevismo non è che un aspetto.
La Russia in questa visione è chiamata a chiudere un’era e ad aprirne un’altra, dopo il bolscevismo che è stata soltanto una forma migliore di società industriale rispetto a quella capitalistica come sostiene Schubart. Necessitava in questo la dittatura e il dispotismo proletari. Nelle pagine conclusive dedicate a l’Europa e l’anima dell’Oriente in «Sintomi della trasformazione dell’uomo occidentale» a proposito dell’insorgere in Europa di nuove religioni civili sotto forma di miti sociali e nazionali, di pseudomorfosi religiose Schubart sostiene che il divino “lottando nell’uomo per venire alla luce, si manifesta dapprima come demonia. Il divino deve attraversare nell’anima umana un campo satanico prima di giungere al suo centro spirituale, dove può esprimere tutta la sua purezza. Da ciò deriva la promessa evangelica che il ritorno di Cristo sarà immediatamente preceduto dall’apparizione dell’Anticristo”.

[1] Edizioni di Comunità, Catalogo generale 1946-1982, Prefazione di Renzo Zorzi, Milano, Edizioni di Comunità, 1982, VII-XVI.

[2] W. SCHUBART, L’Europa e l’anima dell’Oriente (Europa und die Seele des Ostens), trad.it. G. Gentili, Milano, Edizioni di Comunità, 1947, in particolare nella prima parte «Il problema ultimo dell’occidente», i capitoli: «Ritmica del divenire del mondo: teoria degli eoni», pp. 9-28;  «Paura e primordiale fiducia», pp. 111-156; «Egoismo e fraternità», pp. 157-186; «Parola e silenzio», pp. 187-192; «Ateismo occidentale e ateismo orientale», pp. 192-208; «L’esperienza dei Vangeli», pp. 208-229; «L’eterno femminino», pp. 229-238; nella seconda parte «La conciliazione tra occidente e oriente», i capitoli: «La Russia tra l’Asia e L’Europa», pp. 349-367; «Sintomi della trasformazione dell’uomo occidentale», pp. 367-78; «Il crollo dell’occidente», pp. 378-390; «Il retaggio dell’occidente nella cultura dell’oriente», pp. 391-398.

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