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A colloquio con Marco Castrichella sui film rari ed empatici

LA CINEFILIA DELL’ESPONENTE DELL’HOME VIDEO CHE ANTEPONE L’AUTORIALITÀ AI DIKTAT COMMERCIALI

Una conversazione con Massimiliano Serriello

È l’ultimo dei mohicani, per certi versi, dell’home video. L’esclusiva sui film d’autore trae partito dalla cinefilia. Che spinge gli appassionati a trascorrere buona parte della giovinezza nel buio della sala. Talvolta senza vederle le pellicole, quelle di grana grossa almeno, preferendo di gran lunga le effusioni romantiche col favore propizio della solenne oscurità. Come i ragazzi pieni di ormoni e ironia del tenero cult movie per adolescenti Il tempo delle mele. Ma le opere capaci di anteporre la forza significante del carattere d’ingegno creativo alla solita solfa, zeppa d’infecondi segni d’ammicco, hanno incantato Marco Castrichella (nella foto).

Dopo aver conseguito la maturità, l’idea di svolgere la professione del ragioniere non gli passava nemmeno per l’anticamera del cervello. «Due più due fa sempre quattro, ma quanto sarebbe bello se almeno per una volte facesse cinque». La possibilità di far tornare i conti motu proprio, sulla falsariga del fulgido concetto di poesia caldeggiato da Fëdor Dostoevskij, mica Franco er Buiaccaro, era tutta un’altra camminata. Marco sul finire degli anni Settanta indossava le giacche con le frange e il chiodo con le borchie. Le spillette degli amati gruppi rock erano l’ornamento ideale per lo schott nero, simile a quello di Marlon Brando nell’inobliabile apologo sulla ribellione giovanile Il selvaggio (nella foto).

Sebbene assai meno nerboruto dell’atletico divo americano, dal fascino animalesco caro alle platee muliebri, Castrichella aveva altrettanta fiducia in se stesso. Quando incontrò la sua futura moglie, Barbara Frangi, col cognome affine al look della camicia, fedele alla tendenza di punta delle giacche floreali, dei gilet glamour, dei pull bon ton, dei foularini e degli immancabili jeans a zampa di elefante, le vide indosso una spilla con un uomo che suonava il sax. Prima di chiederle lumi sul misterioso gruppo musicale in questione, si accorse che era l’effigie di New York New York con Robert De Niro in bella mostra (nella foto con Liza Minnelli).

Intelligenti pacua. Contemporaneamente alle frecce di Cupido, scattò pure la molla in grado di riuscire ad appaiare, una tantum, cuore e cervello.  Pazienza se lei, a digiuno della cultura musicale allora in voga, andava a ballare al Supersonic e che l’allusione della trasmissione “Dischi a Mach-2” alla velocità del suono fosse inconcepibile per i puri ‘rocketari’ militanti che seguivano a ogni piè sospinto l’evoluzione del sottogenere dell’heavy metal promosso dal gruppo degli Scorpions  (nella foto).  Con gli hit Wind Of Change e Still Loving You sugli scudi.

Si erano promessi eterno amore: il tempo per convertirla in quell’ambito non mancava. L’affinità elettiva, coltivata quando, oltre ad applaudire a comando negli studi televisivi per racimolare i soldi necessari alle visioni al Cineclub Tevere, sognavano a occhi aperti guardando i manifesti cinematografici utilizzati a scopo pubblicitario, servì da pungolo.  Uno sprone fuori del comune. Specie se si pensa che quei manifesti, una volta utilizzati, erano destinati al macero. Barbara Frangi vendeva in una bancarella di Piazza Navona proiettori e filmini in super 8. Il cinema era una sorta di baby sitter; la sala sembrava sin dai primi vagiti l’estensione del soggiorno domestico. Aggiungere i manifesti al catalogo diede frutti incredibili perché l’idea di svoltare in tal modo i soldi per acquisire un’abitazione tutta per loro, suggerita dal cervello, andava di pari passo con le ragioni del cuore. E, si sa, al cuore non si comanda.

Aprire il negozio per la vendita dei manifesti, chiamandolo Hollywood in omaggio al cinema underground sorto sull’esempio dei film in controtendenza concepiti dal poeta lituano Jonas Mekas fondando la rivista “Film culture” e realizzati dall’attore/regista americano John Cassavetes, grazie alla spinta delle nobili origini greche, ha cambiato la vita a entrambi. Scaldandogli il cuore, nutrendogli l’anima. Tra pochi anni ci saranno sia le nozze d’argento della coppia sia del reciproco covo “Hollywood – Tutto sul cinema”. Contraddistinto dal logo attinto all’immagine di De Niro che cammina nel marciapiede della giungla metropolitana newyorchese in Taxi Driver (nella foto).

L’immenso Bob a casa Frangi/Castrichella se la comanda, come si suol dire nell’Urbe. Altro che Un uomo da marciapiede! Anche se pure quel titolo del regista inglese John Schlesinger fa parte del catalogo nel ritrovo in via Monserrato, a un tiro di schioppo da Campo dei Fiori, per appassionati decisi a reperire qualche gioiellino negletto della Settima Arte. Ovviamente un posto d’onore è riservato a Quentin Tarantino che con il nostalgico ed emozionante dramedy C’era una volta a… Hollywood ha estratto conigli dal cilindro tanto sul terreno della cinefilia quanto su quello dell’adorata musica. Con tutti i pezzi da novanta riuniti all’unisono. Da Otis Redding ad Aretha Franklin.

Quantunque l’opinione del sottoscritto sull’ultima fatica di Tarantino, che sottobanco ha voluto esibire l’ormai arcinota egemonia del cinema di serie b sull’alta qualità, differisca, perché rispettiamo le idee l’uno dell’altro, senza talora però condividerle, la ventata d’aria fresca dei diversi richiami citazionistici trascende lo scoglio dell’adagio latino Quot capita, tot sententiae. A Marco non interessa che l’anarcoide Quentin ponga sul medesimo livello Jean-Luc Godard ed Enzo Girolami Castellari. È un suo ex collega che mischia il sacro col profano, che spiazza, zompando di palo in frasca; però ha le idee molto chiare. Quentin Tarantino al rental stor “Video Archives” situato a Manhattan Beach si è regolato in un modo. Lui, a via Moserrato, lo fa in un altro. Il suo.

Quando un autore di belle speranze non si conferma, preferendo uno stile di presa immediata all’aura contemplativa alla base degli stilemi della poesia, Marco guarda oltre. «Non ti curar di loro, ma guarda e passa» diceva, infatti, Virgilio al sommo poeta Dante ne La Divina Commedia. Castrichella ha quello che gli esperti di educazione fisica chiamano un valido delta. Nella corsa c’è chi dapprincipio lo supera. Tuttavia a lungo andare lui rimane intatto. A differenza degli altri che perdono colpi o si fermano del tutto. È successo con il franchise di Blockbuster. All’inizio degli anni Novanta l’attacco più pesante fu sferrato da “Paese Sera” con l’uscita delle videocassette legate al giornale. Di lì a poco il noto quotidiano politico “L’Unità”. La categoria del videonoleggio s’indignò. Ma, citando Serpico, Tarantino docet, sembrava una persona avvolta nella plastica che tirava pugni da tutte le parti senza riuscire a venirne fuori. Ora la concorrenza sleale che imperava nelle edicole, con l’iva esente, sta per volgere a conclusione.

Il mix di passione ed erudizione, all’insegna della cinefilia, invece prosegue. Perdersi nei ricordi costituisce una tentazione irresistibile.  Tra i suoi clienti storici c’è stato Carlo Verdone. Il socio numero 8 acquistò a “Hollywood – Tutto sul cinema” le catene borchiate per interpretare il ‘comparsaro metallaro’ Oscar Pettinari di Troppo forte. Barbara e Marco hanno chiamato l’ultimogenito Bernardo. L’autore di Ultimo tango a Parigi, poco prima di lasciare questa valle di lacrime, passava a salutare Castrichella a via Monserrato. Strappandogli un sorriso. Sebbene fosse impossibilitato a scendere dall’autombile. Le grandi anime dei poeti sono fatte in questo modo. Garbato, ironico, tenero ed empatico. E il padre di Bernardo Bertolucci, Attilio, era un fior di poeta. Buon sangue non mente.

Castrichella, comunque, guarda soprattutto al presente. Sole, il lungometraggio d’esordio del figlio di Alberto Sironi, celebre regista scomparso lo scorso luglio, balzato agli onori della cronaca con la serie tv dedicata al commissario Montalbano, gli è piaciuto tantissimo. Apprezza Carlo Sironi sin dai tempi dei suoi cortometraggi. Sofia in testa. L’autore in erba, figlio d’arte con le ali ai piedi e l’entusiasmo del cinephile, gli vuole bene. Amor con amor si paga, chi con amor non paga degno di amar non è. L’inarrivabile argutezza del Petrarca va a braccetto con la fragranza della sincerità:  Marco Castrichella è degno di amare ed essere amato.

Joker di Todd Philips, al contrario, non l’ha amato. A differenza dell’inseparabile consorte Barbara Frangi che, tra il serio e il faceto, lo esorta a non fare lo ‘schicchignoso’. Al film del momento vuole bene solo perché è il manifesto più venduto del 2019. Ma la scalinata del Bronx dalla quale lo Joker impersonato dal pur bravo Joaquin Phoenix scende a passi di danza sta per lui a quella di Odessa dell’ineguagliabile La corazzata Potëmkin come Alvaro Vitali sta ad Alberto Sordi. Come Vanilla Sky di Cameron Crowe sta a Mulholland Drive di David Lynch.

Sebbene facciamo fatica entrambi a pronunciarne il nome, concordiamo nel ritenere più interessanti i film non usciti dell’intelligente ed ermetico regista thailandese Apichatpong Weerasethakul dell’unico presente in commercio. Lo zio Boonmee. Comunque interessante. L’impasse dei film usciti in dvd e non in vhs Marco lo supera regalando un apposito lettore di videocassette ai clienti nostalgici che vogliono sopperire alle lacune della distribuzione. Le ingiustizie nell’humus della cinefilia che gridano vendetta al cielo le stempera nell’ironia. Anche se l’amore per l’autorialità lo prende sul serio. Fa parte della sua vita. Sotto alcuni aspetti, è la sua vita. 

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1). D / Al di là delle prese di posizione pro o contro, definire l’autorialità di un regista palesa alcuni intoppi. Todd Phillips, che adesso sta sulla bocca di tutti per via del successo sia di critica sia di pubblico del precoce cult “Joker(nella foto), si può considerare un autore in virtù di film mai usciti però in Italia. Né nel mercato primario né in quello secondario. Mentre in merito ai film usciti, il silenzio è d’oro. Alla luce di questo tipo d’impasse, la ricercatezza nell’home video come s’ingegna?
R / La prerogativa di un’enoteca di riferimento è determinata dalla capacità di cercare delle cantine con un buon rapporto qualità/prezzo, con un vino naturale, non troppo alterato, e ciò dipende, soprattutto,  dall’oculatezza di mettere insieme, per esempio, al Barolo Cannubi dei Poderi altre chicche. Meno conosciute. Ma frutto di una piccola realtà artigianale degna di essere scoperta. La ricercatezza, in tal senso, consiste nel riuscire a trovare questi tipi particolari di realtà vitivinicole. Devono, tuttavia, esistere in commercio. Io, da quando svolgo quest’attività, mi regolo in modo analogo. Con tutte le debite differenze. Aprire una videoteca incentrata solo ed esclusivamente sul cinema d’autore ha significato inevitabilmente affrontare sin da subito diverse difficoltà. Relative anche alle carenze di mercato che hai segnalato nella domanda. Nei cataloghi della Paramonut, della 20th Century Fox Home Entertainment, della Warner Bros accanto a un film di particolare pregio artistico ed espressivo ce ne sono almeno dieci, in proporzione, molto più commerciali. La politica di distribuire nel mercato home video i film che hanno ottenuto il successo di pubblico è sbagliata. Specie perché va a discapito di opere d’autore vere e proprie.

2). D / Quindi, qualche anno dopo aver fondato “Hollywood – Tutto sul cinema” come un’attività commerciale dedicata al cinema da affissione, ivi compresi poster e locandine rare, con l’approdo del vhs la scelta è stata individuare per il noleggio una nicchia di clienti che, al pari dei collezionisti, cercavano visioni d’autore?
R / Occorre contestualizzare il periodo. Da ragazzo ero un assiduo spettatore dei film in sala con una netta preferenza per quelli d’autore quando non c’era assolutamente l’home video. L’introduzione del sistema di videoregistrazione domestica permise ai fruitori dei film hard di uscire dalle sale destinate alla visione non solo del porno propriamente detto. Ma anche del Sexploitation in forma di commedia. Tipo “Giovannona Coscialunga disonorata con onore”. La possibilità di trasferire il mercato del proibito a casa ha dato subito notevole spinta all’home video. Io ho individuato invece un altro tipo di nicchia. Che non cercava porno ed exploitation bensì film in grado di riflettere l’indole artistica del loro autore.

3). D / Che prima gravitavano nei cineclub. Intenti a proporre opere scartate dai circuiti non alternativi, giacché ritenute prive di cauzioni di commerciabilità. Seppur impreziosite da cifre stilistiche meritevoli. I tuoi criteri di selezione danno spazio ai film minori presentati nei festival maggiori?  
R /  Sicuramente li prendo in considerazione. Anche se per le scelte che compio, al fine di corrispondere alle attese del segmento di pubblico che privilegia la visione dei film d’autore a quelli commerciali, non esiste una formula standard. Ho imparato a seguire il mio intuito. Per riuscire ad accontentare gli spettatori che sennò erano costretti ad attendere la mezzanotte con il programma tv “Fuori orario. Cose (mai) viste”. Enrico Ghezzi (nella foto), fondando e curando una trasmissione così attenta al cinema d’essai, aveva comunque fatto già qualcosa d’importantissimo. Da parte mia ho voluto rendere ancor più accessibili i titoli ricercati. Che poi provenissero, e provengano tuttora, da Festival importanti, come Berlino, Cannes e Venezia, anziché da quelli minori, come sottolinei tu, è un altro discorso. Capisco anche cosa intendi. Però ribadisco quanto ho specificato a chiare lettere nelle battute iniziali, per sgombrare il campo da qualunque equivoco: le realtà particolari, in quest’ambito, che certo trascende il semplice intrattenimento, si possono reperire solo nel mercato. Se in commercio non ci stanno, c’è ben poco da fare. A quel punto, Massimiliano, dobbiamo parlare del motivo per cui certi film di nicchia non trovano spazio nell’home video.

4). D / Ghezzi è uno studioso alieno ai limiti dell’impressionismo soggettivo ed ergo deciso a colmare le défaillances tanto del mercato primario di sbocco del cinema quanto di quello secondario. C’è stato un momento nel quale ti è sembrato che navigavate tutti nella stessa direzione, per trovare ai film di nicchia un posto al sole, per così dire, nell’home video?
R / Io sono sempre rimasto fondamentalmente uno spettatore: non mi è mai passato per la testa di ambire ad altri ruoli. Oggi noto che spesso i critici sono buoni con chi devono intervistare mentre analizzano con una certa severità le opere di autori che non frequentano. Non li condanno: è il lavoro loro. Tendono a voler bene ad autori, o presunti tali, che invece conoscono di persona. Oltre che attraverso i film che fanno. Mancano i luoghi dove scrivere di cinema onestamente. Ormai si scrive di cinema più che altro sul web dove si tende a vendere i banners con elogi entusiasmanti, pieni di punti esclamativi, o con stroncature perentorie. Senza argomentare minimamente. Tanto l’importante è che se ne parli.  

5). D / La deontologia dei giornalisti d’una volta era di un altro pianeta rispetto a ora. Chiedo venia se insisto: nell’ambito dell’home video, reperendo per i cinefili titoli altrimenti negletti, al pari di Fabio Amadei  (nella foto), gestore del Cinema Farnese, all’interno del mercato primario, ti sei sentito in passato in sintonia con i critici vecchio stampo? 
R / Nel modo più assoluto. I vecchi cinephiles, di cui ho fatto parte anch’io per ragioni di anagrafe, erano in piena sintonia con i critici d’altri tempi che hanno interpretato il proprio lavoro come una missione. Portando alla ribalta film sconosciuti ma bellissimi. Il mio negozio è stato pullulato per anni, oltre che dal già citato Ghezzi, pure da Adriano Aprà e Mario Sesti. L’intesa tra appassionati ed esperti a quei tempi era utile. Contava sul serio.

6). D / Contava perché gli esperti erano altresì appassionati, Marco. R / È così. Noi cinefili eravamo militanti. Se vuoi polverosi. Però leggere una rivista come “Les Cahiers du cinéma” era un modo per abbeverarci a quel tipo di cultura. Fatta d’immagini ma anche di una scrittura saggistica d’alto livello. Adesso l’asticella si è decisamente abbassata. Ed è un peccato. Perché, nonostante la perdita di prestigio e competenza da parte della critica, gli spettatori, e quindi anche i lettori, ci sarebbero ancora.

7). D / E hanno sete sia di cultura sia di visioni. Come indirizzi i tuoi clienti verso le ‘buone visioni’, come le chiami di solito?
R / Cerco di guidarli, quando decidono di affidarsi al consiglio del sottoscritto, verso un percorso basato sull’intera filmografia d’un determinato autore di cinema. Ed è per questa ragione che tendo ad avere in catalogo tutti i titoli degli autori conclamati. Pure quelli meno riusciti. Il discorso cambia del tutto nel caso di autori  che devono confermarsi.  Potrebbero non farlo.

8). D / In quel caso scommetti su autori poco noti che col tempo ti danno ragione oppure talora torto?
R /  Il torto lo fanno soprattutto a se stessi quando non si confermano autori. Penso a Noah Baumbach e anche a Sam Mendes: non hanno mantenuto le promesse fatte sul versante dell’autorialità.

9). D / Sebbene quest’anno siano stati entrambi candidati all’Oscar, Mendes per 1917 e Baumbach per Mariage Story, hanno adottato componenti manieristiche in antitesi con lo stile di ripresa degli esordi. Individuando invece una nicchia nei collezionisti, secondo i canoni del cinema d’affissione, sei riuscito a resistere con la qualità mentre il franchise di Blockbuster, che puntava sulla quantità, ha chiuso i battenti?
R / Lo ritengo innanzitutto un motivo di soddisfazione. Non aggiungo altro su questo. Anche perché lo hai già dato a intendere tu nella formulazione della domanda. Per quanto concerne il discorso sul collezionismo, il cinema da affissione mi ha spinto ad aprire questa attività. Nata per distribuire e vendere al pubblico il materiale cinematografico da collezione. Un materiale che sino ad allora in Italia non veniva commercializzato. Da ragazzo ero stato già a Parigi e a Londra dove avevo visto negozi capaci di offrire la possibilità di ampliarsi acquistando materiale iconografico del cinema. Integrare l’home video dei film d’autore con il punto di partenza mi è venuto naturale. Anche se per le locandine e i manifesti, prendo in considerazione pure i cosiddetti film blockbuster. La scelta mirata avviene coi film d’autore da vendere e noleggiare.

10). D / La mitica SAC (servizi ausiliari cinema) in principio ha svolto un ruolo degno di nota?
R / Adesso purtroppo sta chiudendo a causa del mutamento circa il modo di pubblicizzare i film nelle sale. Ormai la comunicazione digitale la fa da padrone. Ahimè, il mercato dell’affissione pubblica deve fare spazio al nuovo che avanza. Nel giro di poco tempo, il cartaceo non verrà più prodotto.

11). D / E sarà un triste funerale. Rendere accessibile il collezionismo, lontano dalle forme maniacali  degli appassionati in brodo di giuggiole per ogni materiale che testimonia la storia del cinema, può scongiurare altri pericoli?
R / Effettivamente è quello che voglio: far felici i cinefili e tutti coloro intenti a custodire materiale legato alla storia del cinema senza costringerli a spendere cifre esorbitanti. D’altronde è qualcosa che non nasce come inaccessibile. È inaccessibile quando un cliente con tanta passione e pochi soldi vuole, anziché le foto di scena a prezzi contenuti, un manifesto da collezione di ottant’anni fa. Ma la locandina di “The Irishman” che compra oggi per poco, dai cinque ai dieci euro, dipende dal formato, tra trent’anni la può vendere a tanto. Ammesso che il film nel frattempo abbia il ricordo e la valenza di quando è uscito. In quel caso diventa un investimento da collezionista. Pure se all’inizio quello che conta è altro. Quando da ragazzini compravamo in edicola i fumetti di “Topolino” e di “Diabolik”, non era per un guadagno nel lungo termine. Ma per il piacere di leggerli. La collezione nasce dalla passione. Se poi la passione spinge il collezionista a fare bene le cose, il tempo gli rende merito. L’accessibilità dei poster, dei manifesti, delle foto di scena è qualcosa a cui tengo. Perché orienta in limiti contenuti le finalità commerciali connesse alla diffusione dell’amore per il cinema. Che è importante come la cultura cinematografica. Non ci dimentichiamo che in una scena-madre del capolavoro del Neorealismo, “Ladri di biciclette”, il protagonista subisce il furto mentre sta affiggendo sul muro a Via Francesco Crispi il manifesto del  cult “Gilda” (nella foto). Un pezzo da collezione. Non esiste riferimento più autorevole all’arte di vedere il cinema affisso.

12). D / Il mercato della distribuzione home video, passando dai vhs ai dvd, si è involuto. Di chi è la colpa, a parte gli hackers, che scaricano di tutto, e l’incedere di Streaming  on demand?  
R / Quando il canale di distribuzione home video prese piede, molte piccole realtà ebbero modo di rispondere alla domanda del mercato domestico a dei prezzi sostenibili.  Ed era una cosa di per sé estremamente positiva. Peccato però che nel momento in cui il trasferimento su cassetta dei film è divenuto appetibile, le grandi case di distribuzione sono passate alla distribuzione dell’home video. Penso alla Warner Home Video. Che deriva dalla Warner Entertainment. Lo stesso vale per la Paramount. Anche la Medusa Video, per porre l’accento sul mercato italiano, si è creata la sua etichetta di distribuzione. Finché queste grandi case hanno lasciato spazio alle piccole, ci sono state case come la San Paolo Film, l’Antoniana Film, la General Video capaci di dare uno spazio considerevole ai film d’autore. Ricordo collane in vhs curate con molta competenza. Non potendo attingere ai grossi titoli, andavano a pizzicare quelli di nicchia.

13). D / Facevano di necessità virtù, come si suol dire?
R / Sì, per forza. Oggi in dvd esistono appena due film riportati su disco di Carlos Saura. Mentre prima in vhs si trovava quasi l’intera filmografia. Comprese le chicche per appassionati ed esperti. Quella degli extra dei dvd, invece, era un’opzione che andava gestita meglio dalle case di distribuzione. Il pubblico, ribadisco, ci sarebbe.

14). D / Eppure, pur avendo visto da ragazzo nei cineclub tanti film mai usciti, né in vhs né in dvd, ho scoperto nel tuo covo, con le collane di Raro Video, nomen omen, delle opere inedite di autori coi fiocchi. Da Jan Švankmajer a Fassbinder. Ed è stata una gioia vederli per la prima volta: si ritorna bimbi.
R / Negli anni Ottanta e Novanta l’ampio riscontro degli scrittori cinematografici, tali giudico i critici di allora, è stato motivo di gratificazione personale per me. Ultimamente il vinile ha beneficiato di una seconda giovinezza. Ci siamo resi conto, dopo il passaggio al digitale, che la qualità audio dei giradischi è migliore rispetto a quella attuale. Che risulta appiattita. Invece, bene o male, col vinile è possibile ascoltare delle differenze di audio evidenti ed emblematiche. Mentre alcune case hanno quindi continuato a fare giradischi, il mercato del vhs è morto. Non c’erano più case che li facevano. L’andazzo non è allegro nemmeno per i dvd. Ormai girano i computer privi dell’opportuno supporto. Inserire in maniera costante il cortometraggio di un autore allegato al film avrebbe dato nuova linfa all’home video degli autori. Sono lieto che tu, quantunque onnivoro ed esperto di film rari già da prima, abbia scoperto qui corti tipo “Il piccolo caos” (“Daskleine Chaos”) di Fassbinder. Ed è bello che molti clienti appassionati, che già avevano in casa il dvd del bellissimo “Napoleon” di Abel Gance, mi chiedano la versione restaurata perché il dvd contiene un altro titolo raro dello stesso autore: “La rosa sulle rotaie”(nella foto). Tuttavia …

15). D / Una rondine non fa primavera?
R / Il mercato dell’home video è nato in mano a dei magliari ed è rimasto ad appannaggio di gente inadatta a soddisfare le esigenze degli spettatori sensibili.  Desiderosi di mettere sù, nelle loro case, una piccola collezione di film rari. La tendenza collezionistica, con i vhs che formavano una sorta di libreria, aveva bisogno di ben altra competenza con il canale dvd. Ci vuole anche la passione, torno a ripetere, in queste cose. Fare di norma solo il film nel dvd, paro paro come si dice a Roma, serve a poco o niente.

16). D / Certo, se lo danno in faccia. Come si dice. Passando dal sacro al profano, dal punto di vista eminentemente pratico, certe iniziative, atte a favorire coi dvd prima le edicole e poi Amazon, sono state un calcio negli stinchi per chi come te con i poster cerca di soddisfare i clienti senza farli spendere tanto?
R / Oggi è possibile comprare i dvd con Amazon a un prezzo che io non ho nemmeno all’ingrosso. Se alla fine della giornata vendo trenta dvd, incassando trecentoquaranta euro, trecentoventi se ne rivanno per ricomprarli. C’è un margine bassissimo. Devo stare attento a quante copie acquisto, non posso fare magazzino. Se di un film prendessi dieci copie, sarebbe un disastro. Spesso dopo un mese, l’edicola il dvd di quel film lo vende alla metà del prezzo.

17). D / C’è, citando il titolo di un celebre film di Ettore Scola, una concorrenza sleale. R / Dobbiamo ringraziare per questo il buon Walter Veltroni che s’inventò quando era direttore dell’Unità di vendere un pezzo di carta con abbinata la videocassetta.

18). D / Bisogna però riconoscere a Veltroni il merito di aver poi permesso ai nostri concittadini di scoprire dei film art-house bocciati  dal mercato con le rassegne “Le vie del cinema da Cannes e Venezia a Roma”. Moravia sosteneva invece che il prodotto anche con i miliardi non trasmette le emozioni della poesia. Estranea ai diktat del vil denaro. Per avallare questa tesi l’autore de “Gli indifferenti” bollava tuttavia “2001: Odissea nello Spazio” come un mero prodotto, attribuendo al contrario a “I pugni in tasca” l’investitura di opera d’arte. Le distinzioni a sostegno dell’autorialità prendono pure abbagli?
R / Non mi sento di affermare che Alberto Moravia avesse del tutto torto nel ritenere Marco Bellocchio con “I pugni in tasca” (nella foto) un autore in grado di suscitare più emozioni rispetto a Stanley Kubrick in 2001. Di Kubrick ritengo più emozionanti i primi film in bianco e nero. Come “Rapina a mano armata” e “Orizzonti di gloria”. Lo stesso “Arancia meccanica” è geniale ma freddo. Se non altro rispetto a “I pugni in tasca”. Quando uscì “Solaris” di Andrej Tarkovskij, sul manifesto fu indicato come la risposta sovietica a “2001”. Questo per rimarcare come fosse un film sulla bocca di tutti. C’era in quell’impianto tecnico-visivo un rigore stilistico che hanno solo i capolavori. Forse non sarai d’accordo, però “I pugni in tasca” di Bellocchio insieme alla forza dello stile ha anche la capacità di far rovesciare lo stomaco perfino agli spettatori più avvertiti.  “2001” non puntava certamente a quello. Ci sono due modi per rendere unica una visione: c’è il modo di pancia e c’è il modo che chiama apertamente in causa sia l’occhio che il cervello. “2001” incanta gli occhi e il cervello, mentre “I pugni in tasca” prende allo stomaco.

19). D / Gli autori per antonomasia che sanno colpire al cuore, oltre che al cervello e allo stomaco, ed ergo chiudono il cerchio, restano von Trier e il compianto John Cassavetes?
R / Come sai il nome della mia attività s’ispira alla New Hollywood, di cui John Cassavetes (nella foto) è stato il capofila. All’epoca non c’era un titolo di un suo film che potesse prestarsi per il nome del negozio così da rendergli esplicitamente omaggio. Lars von Trier, rispetto a Cassavetes, è più contorto.  A livello psicoanalitico. Nei suoi film ci mette tutte le sue fobie, le difficoltà personali. Ed è bellissimo vederli perché la metà di quelle fobie le viviamo anche noi spettatori.  C’è chi le supera, chi non le supera, chi le tiene nascoste, chi le mostra. Cassavetes, al contrario, lavorava più sulle persone in quanto tali. Preferiva l’esteriorità, con le gioie, i dolori, i pianti, le risate, all’interiorità. Pur facendo un cinema d’avanguardia, che poteva spiazzare, era decisamente più brioso e piacevole alla visione.  Von Trier è disturbante.

20). R / Nelle radicali scelte espressive, nei contrasti chiaroscurali, nel controllo del diaframma, che regola la luce dell’obbiettivo, negli aggiustamenti del quadro, von Trier scende davvero nei meandri dell’anima riflettendone incertezze, con l’incapacità di mettere a fuoco le cose, ed empiti. Cassavetes a parer mio raggiunse il diapason con “Mariti“. Insieme ad “Amici miei” di Monicelli e “Il cacciatore” di Cimino, è il più bel film sull’intesa virile senza l’ausilio dell’enfasi. Lo vedi da ragazzo al cineclub Montesacro Alto. Purtroppo ha subìto dei tagli assurdi nel passaggio all’home video che hanno privato il pubblico delle scene clou. Come quando i tre amici ubriachi ma felici irridono in un bar un’avventrice che canta in modo stonato. Sono state giudicate lungaggini. È uno scempio?
R / Assolutamente. Da denuncia. Come minimo. Stiamo sempre là, Massi: è un fatto di competenza e sensibilità. Un film, come dici tu, deve colpire al cervello, al cuore e allo stomaco, per chiudere il cerchio, ma se chi lo distribuisce non ci mette il cuore e fa le cose senza cervello, allora, diviene tutto inutile. Ci resta tutto sullo stomaco. Ed è per questo motivo che i film capaci di chiudere il cerchio sono selezionati nei festival, maggiori o minori che siano, ma in sala e nell’home video non ci arrivano proprio. Per conciliare mire poetiche ed esigenze pratiche occorre un equilibrio, una maestria, un’intelligenza che è inutile pretendere da quelli che io ho definito i magliari della distribuzione cinematografica. Salvo rare eccezioni. Che, purtroppo, confermano la regola. Il nostro amato Cassavetes aveva trovato un modo perfetto per conciliare due modi agli antipodi di fare cinema: quello commerciale, che punta al profitto, all’incasso; e quello d’autore, che invece apre nuove prospettive agli spettatori: recitava in film di successo, alcuni comunque anche piuttosto belli tipo “Rosemary’s Baby” di Roman Polański, per poi potersi permettere di girare come regista opere d’avanguardia seguendo solo la sua ispirazione. Ma lui era un genio. Non era mica un magliaro della distribuzione cinematografica.

MASSIMILIANO SERRIELLO

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