Il Natale di Roma. L’Alta Italia Risorge
L’INNO A ROMA DI PASCOLI
AB URBE CONDITA MMDCCLXXIII
L’Inno a Roma venne scritto da Giovanni Pascoli per il Natale di Roma del 1911, ricorrendo il 50° Anniversario della Proclamazione del Regno d’Italia. In quell’occasione fu solennemente inaugurato il Vittoriano, il Monumento dedicato al Re Vittorio Emanuele II e all’Unità d’Italia, per questo detto anche Altare della Patria.In questo Inno Pascoli ricorda la Storia di Roma, dalla sua fondazione fino alla proclamazione a Capitale d’Italia. Quest’anno il Natale di Roma è ancora più sentito, ricorrendo i 150 Anni della Breccia di Porta Pia e i 200 Anni della Nascita del Primo Re d’Italia Vittorio Emanuele II. Inoltre in questi giorni difficili, a causa dell’Emergenza Mondiale dovuta alla diffusione del coronavirus, la Capitale e le sue Bellezze ci sono mancate particolarmente. Torneremo con un rinnovato interesse a guardare e a vedere, con rispetto sacrale, movendo i nostri passi a partire dal silenzio e dal vuoto di questo periodo, così saturo d’insegnamento.
E’ significativo, e non è un caso, che sia stato scelto proprio il Natale di Roma per riaprire la Città. La valenza simbolica del tempo e dello spazio, scandito da un calendario profondamente sacro, ci porta ancora una volta al rispetto del Rito, che il Mito impone. Dobbiamo far tesoro di questa esperienza. Roma che rinasce e risorge, vista la sua Missione Universale, richiede Cittadini consapevoli e all’altezza del compito che la Storia ha loro assegnato.
Vogliamo ripercorrere, in Sintesi, alcuni passi significativi della Storia di Roma, che il Poeta Giovanni Pascoli ci ha consegnato, nel suo Inno a Roma.
Gl’Itali non mutano dal tempo di Romolo il nome,
Roma, ti serbano: Roma era ne’ secoli, ed è.
O – ma qual nome ora, de’ tuoi tre nomi
dirà l’Italia?
ROMA FLORA AMOR
Roma tramanda insito nel suo concetto, la radice del nome del suo Fondatore, Romolo. L’altro suo nome segreto è Amor, che richiama il nome divino di Flora, la dea che ogni anno a Primavera, rinnova la Bellezza della Città, cospargendola di fiori e di nuova vita. Amor infatti significa Amore, ma anche A Mors, senza morte, Roma è la Città Eterna, e quindi Immortale. A sottolineare questo aspetto, la coincidenza della Primavera nel mese di Marzo, dedicato a Marte, Principio Ordinatore capace di vincere il disordine e di aprire il mondo a Venus genitrice, l’infinita potenza rigeneratrice di tutte le cose. E non è un caso che il Natale di Roma sia stato stabilito nel mese di Aprile, che significa aprire, schiudersi, fiorire, il mese della rinascita.
Chi per te primo, immensamente
amata cercò la morte?
L’Eroe Pallante era caduto.
Offerse l’àlbatro il bianco de’ suoi fiori, il rosso
delle sue bacche e le immortali fronde.
Gli fu tessuto il letto di quei rami
de’ tre colori, e furono compagni
mille al fanciullo nel ritorno a casa.
E fisi in quella bara tricolore
i mille eroi con le possenti mani
premean le spade; ed era in esse il fato.
Questi versi ricordano l’origine mitico-sacrale dei colori della Bandiera Italiana, rievocanti il Mito della Fondazione di Roma, come è raccontato dal poema sacro, l’Eneide di Virgilio. Ove si narra come il primo Eroe, morto in nome di Roma, fu Pallante, ucciso da Turno e vendicato da Enea. Si fa riferimento a un arbusto, usato per realizzare il letto di morte, il corbezzolo, pianta simbolo dell’Italia, in quanto contemporaneamente ha le foglie verdi, i fiori bianchi e i frutti rossi. Anche nella Divina Commedia, Dante, ricorda non solo l’eroe Pallante, ma evoca i colori della Bandiera, nell’incontro del Sommo Poeta con le Tre Donne, e con Beatrice (Purgatorio Canti 29 e 30).
Aprile, che s’apriva il fiore, venne,
e d’ogni parte sulle piane e i colli
arsero fuochi nella notte sacra.
Portati via queste capanne, portati
via questi nidi! Noi non siamo uccelli,
lupi noi siamo. Addio, cose d’un’ora!
Siamo per fare una città ch’eterna duri.
Lupi, sí; ma ora…
dateci l’ale, o aquile!»
Aprile significa aprire, fiorire, sbocciare, venire a nuova vita, ma anche a-perire, che significa non-morire, senza morte. Nella notte del 21 Aprile, giorno della Fondazione di Roma, si svolgevano le Parilie, rituali sacri a Pales, custode della pastorizia. In quella notte si accendevano fuochi e si verificava il passaggio dalle capanne fragili alla città ch’eterna duri. Pales evoca il Palatino, dove Romolo tracciò il Solcus Primogenius, atto fondativo della Città Eterna.
Uno arava.
Egli segnava, sull’aurora,
un solco quadrato intorno al colle Palatino.
E qui, con l’ale largamente aperte
al sole, apparve un’aquila, che ferma
mirava a lungo quel lavoro in terra.
Poi, fisa sempre, s’affondò nel cielo.
“Dall’urbe uscite: avanti voi c’è l’orbe”.
Sacro rito della Fondazione di Roma, compiuto da Romolo sul Palatino, da Pales, sede della capanna del pastore Faustolo, protettore dei due gemelli. L’aquila, simbolo imperiale apre l’urbe all’orbe, il destino di Roma come Caput Mundi. Il Sacro Tevere incita i forti ad accostare all’aratro il rostro e a tracciare il solco nelle acque.
Era vicino al tempio
del dio Saturno, dio seminatore
e falciatore, un grande cippo, d’oro.
Di lí per l’orbe tutto lanciò Roma
le strade sue di duro sasso e duro
suono. Di lí, dal cippo d’oro, sette
vie quattro volte si lanciarono oltre.
Battute dalle coorti…
Fulgureggianti di metallo al sole.
La potenza di Roma è legata alle strade, che dipartono tutte e sette dal cippo d’oro, posto vicino al Tempio del dio Saturno. Strade forti di basolite, costruite sulla lava vulcanica, sulle quali passavano con il loro fragore gli eserciti alla conquista del mondo. Gli Imperatori dettavano le leggi e l’arte della pace, e la fama dei Romani si diffondeva, erano considerati autentici portatori di Civiltà. Poi il declino e il crollo, nuovi eventi, in primis il Cristianesimo.
Fosti l’altare per gl’iddii fuggiaschi;
pur solo ad uno implacida, ad un solo,
povero, un dio sí umilmente dio!
Intanto, quali in una torba sera
fuggon le nubi d’ogni parte e vanno,
gemendo, spinte qua e là dai venti,
tali gli dei cacciati dai lor templi
empían notturni il cielo di querele.
Noi cacciammo altri dal soglio,
ed altri noi discaccia
Ma non è vano l’aspettar vicenda.
Gli uomini eretto i templi hanno al dolore!
Roma assoggettava popoli e loro divinità indistintamente, ma nei confronti del Cristianesimo fu implacida, difficile per la mentalità romana riconoscere un dio umile, ma tanto forte da riuscire a scacciare dai loro templi gli antichi dei. Per la prima volta nella Storia si sollevavano templi al dolore, per un dio umile, morto in croce e cosa inspiegabile, risorto. Il Cristianesimo veniva definito la religione del dolore. Giove dall’alto vedendo i templi vuoti sentenziava “Ma non è vano l’aspettar vicenda”. Poi seguivano le invasioni barbariche.
Cadean gli dei; restava il Campidoglio,
inviolato; e immobile la rupe
pendea sull’urbe. E il Barbaro selvaggio
invase l’urbe, e la guastò col ferro
e con la fiamma, e l’unghia de’ cavalli,
grave, pestò le sue ceneri: invano.
Le invasioni barbariche, che Roma subiva nel tempo, apparentemente la violavano spiritualmente e materialmente, ma invano riuscivano a intaccarne l’essenza. Il Campidoglio, simbolo della città, rimaneva inviolato e sospeso a tutelare la Storia e la sua Sacralità. Regnava il silenzio, la città ridotta a un grande sepolcro, priva di vita, abbandonata per i sette monti, e il sole al tramonto l’accarezzava, e all’alba tentava invano di svegliarla dal gran sonno, stupiva di vederla altra e la stessa. La città deserta e silenziosa si mostrava diversa, eppure era sempre la stessa. Anche noi in questi giorni abbiamo fatto un’esperienza simile. In fondo ci voleva una nuova guerra, per ritrovare la pace.
Aprile era vicino, era, con lui, vicino
il dí natale della città morta.
…Per nessuno, dal sepolcro,
dal suo sepolcro, ch’era anch’esso infranto,
spargea, versava senza fine al cielo,
nel tempo dolce ch’è il suo tempo, i fiori
che sono suoi, quella che in cielo è Flora.
Flora! madre dei fiori, o tu cui sempre è primavera
Rinnova l’arte antica …
Il mese di Aprile ritorna e porta con sé la rinascita, il giorno del Natale di Roma. Tutto torna a vivere e dall’alto Flora, madre dei fiori, ricopre la terra di linfa vitale, i colori ridanno luce alle cose, il rosso primeggia sugli altri e riveste i sacri templi, sul Foro sboccia una rosa e sopra i marmi antichi era l’antica porpora. Flora porta la Primavera, riporta la vita e mai come in questi mesi, segnati dal dolore e dalla morte, Flora deve rinnovare la sua arte antica, cingi al capo l’antico serto e fa che mai non cada l’inno di gloria che beò l’Italia. Da Roma Sacra e Inviolabile, si estenda su tutta l’Italia e su tutto il mondo un Canto di Vittoria, perché la morte è vinta, grazie al Mito di Roma.
Noi non l’imperio, non i cortei lunghi
Di quei trionfi a te chiediamo. Un’Ara
abbiamo, e noi, di Pace, eretta, o Flora.
… Alto nel mezzo
noi collocammo in una vampa d’oro
chi la portò, questa concordia augusta.
Nel 1911 quando per il Natale di Roma, Pascoli componeva questo Inno, si inaugurava il Vittoriano, per celebrare il Primo Re d’Italia, di cui quest’anno ricorrono i 200 Anni dalla nascita. Dopo secoli di divisioni e discordie, l’Italia conquistava la sua Unità con Roma Capitale, di cui quest’anno ricorrono i 150 Anni della Breccia di Porta Pia. Come ai tempi dell’Impero, con Augusto, i confini di Roma coincidevano con i confini d’Italia, così nel Risorgimento si portava a compimento il processo di Unificazione Nazionale. All’Ara Pacis di Augusto veniva accostata una nuova Ara, l’Altare della Patria, con al centro la statua equestre, all’epoca dorata, del Re Vittorio Emanuele II, colui che la portò, questa Concordia Augusta in Italia.
Cuore Sacro del Monumento la sepoltura del Milite Ignoto, simbolo di tutti i caduti per la Patria e per Roma, dal primo Eroe Pallante al Soldato Ignoto della Grande Guerra. Custodito e vegliato giorno e notte dalla presenza di due soldati, che realizzano una Guardia d’Onore al Milite Ignoto. A coronamento due Fuochi Sacri, sempre ardenti, simbolo dell’Amor di Patria, Lampada Inestinguibile che veglia su Roma con l’eterna luce. Sulla Tomba si erge la maestosa statua della Dea Roma, con i simboli dell’Urbe, sull’elmo la lupa capitolina con i due gemelli e sulla mano una Vittoria Alata.
CORONAVIRTUS VS CORONAVIRUS
SE VUOI LA PACE PREPARA LA GUERRA
Solleviamo Monumenti affinché, nella pietra e nel bronzo, rimanga la memoria di tante gesta eroiche, compiute in questi giorni. Sia eretta una Statua al VALORE, che i Romani chiamavano VIRTUS. Si narra che questa statua venne fusa dai barbari, e che in seguito a questo atto sacrilego, i Romani persero il coraggio e il valore. Siano erette davanti a tutti gli ingressi degli ospedali, campi di battaglia di questa nuova forma di guerra, che abbiamo vinto, su alte colonne Statue di Vittorie Alate, su modello della bellissima Vittoria Alata di Brescia, città in prima linea in questa lotta. Sia sollevata la prima Vittoria in modo esemplare a Bergamo.
La Venere Alata, sintesi tra erotismo ed eroismo, è nell’atto non solo di riflettersi eroticamente in uno specchio, ma anche di scrivere eroicamente sullo scudo il nome del vincitore, il nome di un medico, immolatosi per la Patria. Copie di questa simbolica Vittoria Alata di Brescia sono presenti in tutto il mondo. Noi vogliamo ricordare la copia, posta dopo la Grande Guerra sul Sacrario Militare del Tonale. Sia la Vittoria del Bene sul Male a Unire l’Italia ancora una volta, in nome di Roma, la Città Eterna.
E quanti ancora col lor sangue, eccelsi
spiriti, questa pace e questa Patria
fecero a noi, là stanno. E sono, o Flora,
la messe tua che cade sí, ma sempre
nuova nei lunghi secoli germoglia.
Il Senso del Dovere, il sacrificio e l’abnegazione, siano valori fondanti per il prossimo futuro, questa esperienza ci ha cambiati e nulla potrà più essere come prima. Combattere per la Patria è Onore. Morire combattendo è Gloria. I nostri eroi, di ieri, di oggi e di domani, non sono morti invano. Come Pallante, il primo eroe che si sacrificò in nome di Roma, hanno lasciato nelle nuove generazioni il seme sacro del futuro. Venga coniata per i nostri Eroi una Medaglia al Valore, con la motivazione incisa:
“La Patria a Te che la morte hai vinta”.
Spirito eterno, eterna forza, o Roma!
Dopo il gran sangue, dopo l’oblío lungo,
e il fragor fiero e il pallido silenzio,
e tanti crolli e tante fiamme accese
da tutti i venti, tu col piè calcando
le tue ceneri, tu le tue macerie,
sempre piú alta, celebri il piú grande
dei tuoi trionfi; che la morte hai vinta.
Tu in faccia a tutti i popoli che a parte
chiamasti del tuo diritto, ora apparisci
nel primo fior di giovinezza ancora …
GIOVINEZZA PRIMAVERA DI BELLEZZA
PER UN’ITALIA SOVRANA ROMA CAPUT MUNDI
AMOR VINCIT OMNIA
Massimo Fulvio Finucci e Clarissa Emilia Bafaro