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“Vogliamo educazione digitale a scuola!” I risultati di un sondaggio per la migliore formazione

La richiesta di una educazione digitale a scuola giunge dai ragazzi, dai dati di una sondaggio a cura dell’Associazione Nazionale Dipendenze tecnologiche, GAP e cyberbullismo, ricerca e sondaggio condotte in collaborazione con il portale Skuola.net e con VRAI (Vision, Robotics and Artificial Intelligence – Dipartimento di Ingegneria Informatica dell’Università Politecnica delle Marche) su un campione di 3.115 studenti di età compresa tra gli 11 e i 19 anni. Al 77% degli intervistati, infatti, piace l’idea di poter studiare e conoscere sempre meglio la complessità di questa materia. Quasi il 36% dice che potrebbe essere utile un’app con cui gestire meglio il confronto genitori-figli sull’uso dello smartphone. Dai dati emerge inoltre che sono in aumento i casi di autoisolamento tra i giovani (67%) che hanno subito fenomeni di cyberbullismo (1 su 8 ne ha subito uno). E, complice anche gli effetti della pandemia sulla psiche, cresce anche il numero di ragazzi che non riesce a immaginare un futuro.

Massimiliano Morreale

Senigallia, 27 novembre 2020 – Tra i tanti bisogni che ha fatto emergere questa pandemia, c’è anche quello di ricevere una buona educazione al digitale. Lo chiede il 77% dei ragazzi tra gli 11 e i 19 anni: è uno dei punti emersi nell’ultima survey promossa dall’Associazione Nazionale Di.Te. (Dipendenze Tecnologiche, Gap e Cyberbullismo), condotta insieme al portale Skuola.net e VRAI (Vision, Robotics and Artificial Intelligence – Dipartimento di Ingegneria Informatica dell’Università Politecnica delle Marche) su un campione di 3.115 studenti che stanno facendo didattica a distanza.

Ma perché vorrebbero l’introduzione di questa materia a scuola? «Di fondo», osserva Giuseppe Lavenia, psicoterapeuta, docente universitario, e presidente dell’Associazione Nazionale Di.Te. «I ragazzi stanno chiedendo a noi adulti, genitori, insegnanti, educatori, di prenderci cura della loro vita. Nell’educazione digitale rientrano anche temi come la sessualità, l’identità sessuale, per esempio, di cui non si parla più tanto e di cui, invece, i ragazzi vogliono sapere. Introdurre l’educazione digitale, considerando tutte le sfumature che può avere, potrebbe essere uno strumento di supporto a tutti i cambiamenti che inevitabilmente ci troveremo ad affrontare. Non solo sociali, relazionali, ma anche lavorativi da qui in avanti».

Le cose dal punto di vista dei ragazzi stanno così: ai giovani tutto ciò che è digitale piace, social, app e giochi compresi, ma si stanno rendendo conto che per quanto siano bravi smanettoni hanno delle difficoltà che non sanno gestire, nemmeno con l’aiuto degli adulti (quando vengono interpellati), perché anche la maggior parte dei grandi non ha ricevuto un’educazione digitale. «La GenZ si è accorta che i social non sono un gioco da ragazzi: quasi 2 su 3 accoglierebbero un’app per verificare se sta usando bene lo smartphone, 4 su 5 gradirebbero lezioni di educazione digitale a scuola – e tra gli studenti delle medie di età compresa tra gli 11 e i 13 anni, l’esigenza è sentita dall’83% dei partecipanti al sondaggio. Anche perché gli episodi di cyberbullismo si sono moltiplicati negli ultimi mesi: 1 su 8 ne ha subito uno. Complice anche la maggiore esposizione alle piattaforme social o di apprendimento a distanza», puntualizza Daniele Grassucci, direttore e cofounder del portale Skuola.net.

Ma allora, se i giovani chiedono nel 35,9% dei casi un’app che preveda un confronto genitori figli sull’uso dello smartphone, la parola, il contatto e il confronto vis à vis con gli adulti, che fine ha fatto? «C’è, ma tutti questi elementi importantissimi della vita reale non vengono utilizzati in tutta la loro potenzialità e a volte vengono usati non in modo inadeguato. I ragazzi chiedono ancora confini e limiti, anche se in apparenza non sembra così, e li chiedono per sentirsi protetti. Ecco perché pensano che affidandosi al mezzo tecnologico, a un’app per esempio, possano essere poi compresi meglio dagli adulti che non hanno ancora ben chiara la via di mezzo tra l’analogico e il digitale. L’app è come se fosse una sorta di mediatore familiare. Di certo sarà utile, ma nel contempo dovremmo lavorare anche sulla genitorialità e sulla comunicazione in famiglia, per sviluppare di più l’empatia, il problem solving, la gestione del tempo insieme e tutti gli altri aspetti che possono contribuire a migliorare le relazioni. Non solo in casa, ma anche fuori. Il 60,4% chiede un’app per conoscere se fa un uso corretto dello strumento tecnologico. Non che non ce ne siano già, ma ciò che stanno chiedendo i giovani è come poter affrontare il fatto che ne stiano facendo un abuso o un uso scorretto», sottolinea Giuseppe Lavenia. Tutti questi strumenti, quindi, potrebbero concorrere a ottenere una sorta di patentino digitale.

Dai dati della survey emerge una riflessione sulla didattica a distanza. «Va assolutamente considerata come una soluzione di emergenza, sia perché non siamo realmente pronti sotto vari punti di vista – connettività, dotazioni tecnologiche, formazione dei docenti, metodologie didattiche, ecc. – sia perché manca un elemento fondamentale della relazione educativa: la presenza fisica. E come sui social è ormai assodato che l’immaterialità della relazione digitale ci libera da tutta una serie di freni inibitori scatenando fenomeni feroci come l’hate speech o il cyberbullismo, anche nella DAD si replica una dinamica simile per cui sono enormi le percentuali di studenti che si sentono liberi di prendere in giro altri compagni o i propri docenti: 2 intervistati su 5 hanno assistito a prese in giro ad insegnanti, 1 su 5 ad altri compagni. Fenomeni che di sicuro avvengono anche in classe, ma non ci risulta in queste proporzioni», fa notare Daniele Grassucci. E, aggiunge Giuseppe Lavenia, «La didattica a distanza ha bisogno di altri ritmi rispetto a quelli della classe in presenza. Il tempo online, da soli nella propria stanza, non è lo stesso di quello offline. Servono lezioni più dinamiche, più energiche, più capaci di incuriosire, più coinvolgenti. Quelli che i ragazzi credono essere scherzi, in realtà sono atti aggressivi: la messa online o in chat di una foto e/o di video senza il permesso dell’altro è cyberbullismo, e queste immagini rischiano di rimanere nel web per sempre, con tutte le conseguenze immaginabili. Le cronache, anche recenti, sono piene di queste situazioni».

A seguito di episodi di cyberbullismo, il 45,9% degli intervistati nella fascia di età tra gli 11 e i 13 anni, il 53,4% dei ragazzi tra i 14 e i 16 anni, e il 65,9% dei giovani tra i 17 e i 19 anni dice che vuole rimanere chiuso in casa. Aumenta, quindi, l’autoisolamento. Crescerà ancora nel lungo periodo? «Questo fenomeno si verifica per due motivi: la mancanza di prossimità con l’altro e il trauma subito», spiega Giuseppe Lavenia. «Questo è un periodo dove sono presenti entrambi motivi. Gli effetti della pandemia stanno lasciando strascichi di paure enormi. Adulti e ragazzi hanno paura di uscire di casa, sta mancando da tanto tempo il contatto con gli altri: sono fatturi che non faranno abbassare il bisogno di autoisolarsi. E a supporto di questo si aggiunge anche che è cresciuta la difficoltà a immaginare un domani». Rispetto ai dati del sondaggio di giugno scorso (47,5%), infatti, sono aumentati del 20% i ragazzi che non riescono a immaginare il loro futuro a seguito della pandemia.

Di tutti questi temi si parlerà durante la IV Giornata Nazionale sulle dipendenze tecnologiche, GAP e Cyberbullismo che si terrà online sabato 28 novembre a partire dalle 9:30 fino alle 12:45 e avrà come filo conduttore “Educhiamo al digitale”. Per saperne di più: https://www.dipendenze.com/quarta-giornata-dite/

 

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