Skip to main content

ConsulPress intervista la IRBM sui vaccini per combattere il Coronavirus

GLI UTIMI SVILUPPI SULLA GUERRA AL CORONAVIRUS
 L’AVV. MATTEO LIGUORI, MANAGING DIRECTOR DELLA IRBM,
INTERVISTATO DA ANTONIO PARISI 

 

In queste ultime settimane si è parlato molto dei vaccini contro il nuovo Coronavirus. Nel corso di una pandemia che ha portato virologi, microbiologi e scienziati sotto la luce dei riflettori, spesso in disaccordo gli uni con gli altri, una cosa è stata chiara fin dal principio: la guerra contro il virus si vince con il vaccino. Quello del vaccino, dunque, è l’unico vero punto di contatto che ha messo d’accordo praticamente tutta la comunità scientifica mondiale. 
L’argomento è sempre più attuale, perché la corsa al siero immunizzante è in dirittura di arrivo e abbiamo notizie confortanti.

Per quanto riguarda il nostro Paese, la società IRBM di Pomezia, in collaborazione con l’Università di Oxford e con AstraZeneca, lavora a un vaccino “anglo-italiano” che è attualmente nella terza fase clinica. Finita la sperimentazione, gli studi e i risultati saranno trasmessi alle agenzie di competenza, come l’Ema e l’Aifa, in attesa di una validazione. Il passo successivo riguarda la somministrazione delle prime dosi alla popolazione.

Gli accordi presi per la distribuzione del vaccino “anglo-italiano” riguardano Europa, Stati Uniti, India, Brasile e Corea del Sud. Tuttavia, la Food and Drug Administration (l’agenzia del farmaco statunitense) ha avviato un’indagine sul vaccino di Irbm-Oxford-AstraZeneca, in seguito a un presunto effetto collaterale di tipo neurologico riscontrato in un volontario durante la sperimentazione. A differenza dell’Ema (l’equivalente europea della Fda), la quale ha escluso in tempi brevi la correlazione fra il vaccino e il danno neurologico, la Fda ha bloccato la sperimentazione per un mese e mezzo. Nel frattempo, all’indomani delle elezioni statunitensi, sono stati presentati due nuovi vaccini americani: uno prodotto dalla Pfizer, l’altro da Moderna.

«Vogliono sabotare il vaccino italiano: il siero di AstraZeneca-Irbm costa poco, è efficace e si conserva a 2°» è la provocazione in prima pagina di Pietro Senaldi, Direttore di Libero. Effettivamente, le dosi del vaccino italiano costerebbero meno e sarebbero più facili da conservare (per il vaccino Pfizer occorrerebbero temperature di -80°). «A questo si aggiunge il fatto che – scrive Senaldi – l’agenzia del farmaco americana potrebbe stabilire che siano distribuibili nel mercato interno solo vaccini la cui sperimentazione sia avvenuta totalmente sul suolo patrio». Se fosse vero, AstraZeneca-Irbm sarebbe costretta a replicare la sperimentazione sul suolo statunitense.

***** *** *****

Il nostro Direttore Antonio Parisi ha intervistato l’avvocato Matteo Liguori, Managing Director della Irbm Spa, il quale ci aiuterà a capire meglio come si sta lavorando, quali sono le tempistiche e, soprattutto, l’importanza di una cooperazione internazionale al fine di ottenere un vaccino «equo, solidale e non profit».

Qual è lo stato dell’arte della preparazione di questo vaccino anti-Covid di cui siete protagonisti? 
«Il vaccino è attualmente nell’ultima fase di sperimentazione, che viene chiamata fase clinica 3, ed è successiva alle fasi di sperimentazione 1 e 2, nelle quali viene verificata la sicurezza. In questa terza fase, invece, viene accertata, oltre alla sicurezza, anche l’efficacia e la durata con cui la somministrazione del vaccino copre il soggetto dall’esposizione al virus. Quindi è una fase che coinvolge un elevato numero di persone, perché stiamo parlando di un trial clinico di cinquantamila persone. È assolutamente un numero importante e distribuito su più territori»

Si parla spesso della ipotetica durata di copertura di questo vaccino. Una persona che si vaccina è coperta solo per un periodo limitato nel tempo? Dopo cosa succede, lo deve rifare?  
«Per quanto riguarda le risposte a questa domanda, si possono dare soltanto sulla base del periodo di tempo che è intercorso dalla prima somministrazione ad oggi. Quindi questo vuol dire che essendo partiti i primi test a maggio, il periodo che noi possiamo garantire è quello che è intercorso da maggio ad oggi. Perché, per dare una risposta scientifica a questa domanda, serve avere la conferma che a tutti gli effetti i soggetti ai quali si sta somministrando il vaccino abbiano un sistema immunitario forte per un periodo più lungo. È pur vero che se è d’interesse questa domanda per la comunità in generale, oggi il primario problema è avere un vaccino. Ci sono altri vaccini che obbligano al richiamo, no? Quindi un eventuale richiamo non sarebbe un problema nel momento in cui si ha il vaccino»

Ecco, quando sarà disponibile il vaccino? 
«L’obiettivo che abbiamo noi, con il nostro progetto, è di validare il vaccino in fase sperimentale entro l’anno (2020 ndr) e, parallelamente, sviluppare una produzione che viene chiamata “produzione a rischio”, ovvero non si attende la validazione del vaccino per poi iniziare la produzione. Avendo questa emergenza sanitaria a livello globale, si è importato un sistema di lavoro in parallelo dove la produzione è già partita su scala globale, e questo darebbe all’Italia la possibilità di ottenere fino a tre milioni di dosi entro l’anno nel momento in cui si dovesse ottenere una validazione. Le dosi sono sicuramente successive alla validazione, quindi la loro distribuzione sarà conseguenziale all’approvazione da parte di Aifa e di Ema»

Ho capito. Mi sente così attento perché noi siamo un’agenzia di stampa che ha una distribuzione nel mondo medico, abbiamo una sezione che si occupa di medicina. Cosa mi può dire sulle prime distribuzioni delle dosi, riguardo anche ai soggetti considerati maggiormente a rischio?  
«Come saprà, le figure che sono indicate come coloro che per prime riceveranno i vaccini sono sia le categorie a rischio sia il personale sanitario, quindi tutti coloro che sono più esposti a un potenziale contagio. Scrivendo lei per un’audience di questo tipo, è giusto trasmettergli una speranza in più»

intervista irbm sui vaccini

La vostra è una Società di tutto rispetto e la domanda è questa: voi state producendo esclusivamente per l’Italia, per la comunità europea o guardate anche ad altri Paesi che possano ritrovarsi in necessità? 
«Allora questo è un tema importante: quello della dimensione territoriale. Come il virus non è soggetto a delimitazioni territoriali, anche la progettualità che noi portiamo avanti non deve essere soggetta a questa tipologia di nazionalismi, che non sono funzionali in questa fase. Tra l’altro, il nostro progetto include, oltre a Irbm, un gruppo di Oxford e una multinazionale, quindi il tema della territorialità non può toccare la scienza.

Perché è evidente che dobbiamo combattere questo virus con tutte le armi che abbiamo a disposizione, indipendentemente dal territorio sul quale si trovano. Il progetto inizialmente era sviluppato da noi in collaborazione con Oxford e lo Jenner Institute. Da marzo è entrata in questo progetto AstraZeneca, che ha preso la leadership da un punto di vista della validazione clinica e della distribuzione a livello internazionale. Questo ha portato la multinazionale a chiudere degli accordi con soggetti istituzionali di vari Paesi. In Europa si è chiuso un accordo con la Commissione, dopo che era stato siglato un protocollo di intesa tra AstraZeneca, Italia, Francia, Olanda e Germania.
Questo accordo garantisce all’Europa la produzione di quattrocento milioni di dosi entro la prima metà del 2021. Parallelamente, sono stati siglati degli altri accordi con gli Stati Uniti, con l’India, con il Brasile e con la Corea del Sud. Questo complessivamente mira a creare dei modelli di sviluppo e produzione indipendenti per i vari territori. Quindi quello che viene prodotto in Europa rimane in Europa, così per gli Stati Uniti.
E i governi partecipano economicamente per supportare il rischio d’impresa in attesa che il vaccino venga validato, proprio per quello che le dicevo prima: oggi si sta producendo già con il rischio, perché il rischio è che il vaccino non arrivi al traguardo finale.
I Paesi che sono coinvolti potrebbero produrre complessivamente tre miliardi di dosi per la prima metà del 2021. Per avere un vaccino che sia equo, solidale e non profit, così come sancito dagli accordi che sono stati presi, viene da sé che queste dosi non bastino per tutta la popolazione mondiale. Quindi siamo ancora a metà: serviranno più vaccini che arrivino al traguardo»

Vuole aggiungere qualcosa che reputa interessante in questa fase? 
«Sicuramente bisogna avere fiducia e informarsi bene nel profondo di quello che è il tema dello sviluppo del vaccino. Quindi è utile diffondere questo messaggio il più possibile…»

Ecco, la paura di fare il vaccino. Esiste una paura diffusa in tal proposito. Anzi qualcuno pensa che il vaccino possa servire per scopi ulteriori che non siano quelli della salvaguardia della salute. 
«In questo caso più che mai si deve superare questo preconcetto perché, se si riesce a ripartire prima dell’immunità di gregge che qualcuno aveva avanzato come un’ipotesi però rimanendone fortemente scottato come Paese e come Nazione, è evidente che il vaccino serve a difendere le persone da una pandemia come questa. Si può uscire solo tramite un vaccino in tempi rapidi, salvaguardando la salute e la vita di molte persone. Questo è un caso lampante e ci sono tante aziende che stanno lavorando per questo, ci sono tantissimi gruppi che stanno cercando di fare del loro meglio per arrivare in tempi rapidi e ripartire, perché la salute deve essere al primo posto»

_______________  ANTONIO PARISI  
____________ FRANCESCO LECCESE

 

Piero di Lorenzo, presidente di Irbm
Piero di Lorenzo, presidente di Irbm

 

Lascia un commento