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L’Impresa di Fiume e Gabriele d’Annunzio

L’ULTIMO ATTO NEI DISCORSI
DEL POETA SOLDATO

Cento anni fa si concludeva tragicamente il Poema di Fiume, a coronamento del dramma della Grande Guerra. Un manipolo di uomini “scalmanati” ”, guidati dal Comandante Gabriele d’Annunzio, portarono fino alle estreme conseguenze l’Idea Unitaria, andando oltre la ragionevolezza di un’ “Italia incaporettata, incagoiata e ingiolittita”, trasformando Fiume nella “pietra del paragone per la virtù degli uomini”.

L’IMPRESA DI FIUME NEI DISCORSI DEL POETA SOLDATO
Il fatto militare è questo. Il 24 le truppe regie dovevano occupare la città. Oggi 31 le truppe regie non sono riuscite a imprimere nella nostra linea la più lieve inflessione. Noi siamo dunque vittoriosi”.
 “In quelle cinque giornate che nessuno deve dimenticare perché sono tra le più gloriose nella storia del mondo, tutti i legionari ed il popolo si sono eroicamente battuti”.

Gabriele d’Annunzio con queste parole poneva fine all’Impresa di Fiume, ultima tappa del processo di Unificazione Nazionale, iniziato con le Cinque Giornate di Milano 1848 e ultimato con le Cinque Giornate di Fiume 1920. La “Santa Entrata” nella città di Fiume si era verificata il 12 Settembre 1919 con la partenza dei legionari, guidati dal Comandante d’Annunzio, da Ronchi, località che aveva visto per l’ultima volta l’eroe triestino, primo martire dell’irredentismo, Guglielmo Oberdan, libero, condannato a morte il 20 Dicembre 1882 dall’impero austriaco.

D’Annunzio aveva abbracciato la causa fiumana già a Quarto, il 5 Maggio 1915, quando diede inizio alle Radiose Giornate di Maggio. In quella occasione veniva inaugurato il Monumento dedicato ai Mille. Erano presenti due fiumani irredentisti, Riccardo Gigante, che fu sindaco di Fiume durante la Reggenza dannunziana, e Giovanni Host Venturi, capo dei Legionari Fiumani, che consegnarono al poeta interventista la bandiera di Fiume, avvolta in un velo nero.
Con l’entrata dell’Italia in guerra il Poeta si fa Soldato, dal vivere inimitabile all’osare l’inosabile, dal Pensiero all’Azione. Si distinse in molte imprese militari e simboliche, particolarmente sensibile alla Questione Adriatica, basti pensare alla Beffa di Buccari.
Finita la guerra d’Annunzio, nell’Aprile del 1919, ritorna a Roma per rispondere con i suoi discorsi, colpo su colpo, agli eventi postbellici, discorsi che preannunciano l’Impresa di Fiume. Tutto ha inizio il 18 Gennaio 1919, giorno di apertura della Conferenza di Pace a Parigi; all’Italia vittoriosa non vengono riconosciuti i giusti compensi territoriali, si diffonde l’idea della vittoria mutilata. Fiume città a maggioranza italiana non viene annessa all’Italia.


SI’ COME A POLA PRESSO DEL CARNARO 
CH’ITALIA CHIUDE E I SUOI TERMINI BAGNA
   

(Dante Alighieri)

A Roma d’Annunzio ripercorre i luoghi simbolici della città, come già aveva fatto nel 1915, ma nel 1919 lo fa da grande invalido di guerra, con un bagaglio pesante di esperienza bellica, di ricordi eroici, di compagni caduti, materia vivente che anima i suoi discorsi.
Al Governo di Vittorio Emanuele Orlando succede il Governo di Francesco Saverio Nitti, mentre a Fiume il capitano Host-Venturi arruolava molti patrioti provenienti da tutta Italia nella Legione volontari fiumani. Il 30 Giugno 1919 a Roma d’Annunzio pronuncia il suo “Disobbedisco”, O Fiume O Morte, in ricordo del garibaldino “Obbedisco” O Roma O Morte. Sull’esempio dei rivoluzionari risorgimentali per i quali l’idea di Unità era un obiettivo da raggiungere con passione, più che con ragione, si dà inizio a un ordine lirico con sforzo lirico.

Io venni il 12 Settembre 1919, dal cimitero di Ronchi colmo di fanti […] determinato ad affrontare le forze dell’Intesa e ad avversare il trattato di Versaglia”.

Dopo un anno di impavida resistenza a Fiume, il 20 Settembre 1920 ricorrendo il Cinquantesimo Anniversario della Presa di Roma, d’Annunzio faceva lanciare un volantino su Roma, gesto che fece ripetere il 4 Novembre, giornata della Vittoria, contro gli “assassini della Vittoria”. Il 12 Novembre 1920 dopo molte trattative il Governo di Giovanni Giolitti firmava il Trattato di Rapallo, un accordo tra il Regno d’Italia e il nuovo Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. Con l’Art. IV si stabiliva lo Stato Libero di Fiume.  Dopo pochi giorni, il 20 Novembre, a Fiume giungeva il Maestro Toscanini e vi dirigeva un concerto. Il poeta salutava il maestro con queste sentite parole: “Voi siete più che una perfetta orchestra. Siete per gli arditi di Fiume un sonante battaglione di assaltatori. Apparite a noi per un giorno come le armi sonore della Buona Causa”.

Il 22 Settembre 1920 a Fiume si era verificata un’altra importante visita da parte di Guglielmo Marconi, giunto con la nave Elettra, dalla quale d’Annunzio lanciava un messaggio radio al mondo. Il poeta salutava l’innovatore con un discorso: “Eravamo due soldati d’Italia. La sua scienza e la mia poesia erano divenuti strumenti di guerra, forze combattive, promesse di vittoria. […] Se bene la scienza abbia un potere universale, se bene la poesia sia destinata a toccare tutte le anime, noi ci sentivamo uomini della nostra terra, legati al nostro suolo, strettamente congiunti alla nostra stirpe, devoti a una sola idea, soldati dell’unica Italia”.

Sospinto da questi sentimenti il poeta D’Annunzio respinse il trattato di Rapallo, pretendendo per Fiume l’annessione al Regno d’Italia, suggellando questa decisione con un atto simbolico. L’eroe dell’aviazione Guido Keller, da Fiume con il suo aereo giungeva a Roma, lanciando sul Palazzo del Governo a Montecitorio un pitale con rape (Rapallo) e sul Palazzo del Quirinale, allora Residenza Reale, e sulla Basilica di San Pietro al Vaticano, due mazzi di Rose Rosse.

L’ULTIMO ATTO DEL POEMA DI FIUME
Molti furono i tentativi da parte del Governo italiano di far cedere d’Annunzio da un’impresa impossibile, che era ormai giunta al suo termine. La diplomazia aveva concluso le trattative, ancora una volta il dispositivo militare risorgimentale, tra forze legittime e forze rivoluzionarie, aveva raggiunto un obiettivo di cui si poteva essere soddisfatti. Il poeta soldato era pienamente consapevole d’aver agito in nome dell’Unità Nazionale e che il Regno d’Italia “tuttavia non aveva potuto ottenere il confine giulio se non in grazia della nostra resistenza sagace e della nostra volontà perpetua di lotta”.

Ma di fronte all’ostinazione e intransigenza del poeta, che lanciò ai suoi legionari la parola d’ordine “Insorgere è risorgere”, il Governo Giolitti diede l’ordine di attaccare il 24 Dicembre, dopo aver concesso un ultimatum. Tenuto conto che in quei giorni festivi, non sarebbero usciti i giornali, l’operazione poteva svolgersi senza un’eccessiva sollecitazione dell’opinione pubblica.
In fondo l’Italia uscita dal conflitto mondiale si era trovata ad affrontare numerosi problemi di ordine interno, oltre che esterno, dunque si cercava di evitare ogni eccesso, vista l’estrema difficoltà in cui la popolazione fiumana si trovava, ormai stremata da sedici mesi di resistenza e sacrifici.

D’Annunzio definì quei giorni “il natale fiumano, il natale di sangue, il natale d’infamia”. Dalla nave Andrea Doria partirono dei colpi contro Fiume. “Le finestre delle mie stanze nel Palazzo erano ben conosciute […] Incurante m’ero seduto davanti alla tavola per lavorare coi miei ufficiali, quando una granata in direzione esatta è venuta a interrompere il lavoro”. A bordo della Dante Alighieri una delegazione fiumana con il sindaco Gigante e il capitano Host-Venturi avevano avviato delle trattative, ma il trattato di Rapallo andava rispettato e i Legionari dovevano lasciare Fiume.

Il “Solenne Consiglio della Reggenza” decise la resa e d’Annunzio rassegnava le dimissioni “io non posso imporre alla Città eroica la rovina e la morte totale”. E rivolgendosi al sindaco Riccardo Gigante, suo caro amico, fin dai tempi di Quarto, difese il valore dei suoi Legionari, alcuni facenti parte del Regio Esercito, definiti dal poeta futurista Marinetti disertori in avanti, ritenendo impensabile che l’Italia avrebbe mai potuto accusarli di indisciplina, di rivolta fino alla condanna. “Se l’Italia vuole cancellare ogni traccia di questo delitto inaudito, bisogna che riconosca l’alta volontà e la maschia purità di questi migliori tra i suoi. […] ma consolati pensando che, in ogni modo, il destino fece a noi la parte più bella”.

Dopo l’ardente passione durata sedici mesi, dopo le cinque giornate di Fiume, il 2 Gennaio 1921 con una Solenne Cerimonia si rendeva onore all’estremo sacrificio, compiuto da Italiani per l’Unità d’Italia, conclusosi in un abbraccio mortale e redentivo. Persero la vita 24 legionari, 25 soldati italiani e 5 civili.
“Mettiamo nella terra i morti. Risorgeranno. Il martirio è semenza, e anche la colpa è semenza. Li abbiamo tutti ricoperti con lo stesso lauro e con la stessa bandiera. L’aroma del lauro vince l’odore tetro, e la bandiera abbraccia la discordia. […] Credo nella Patria futura, e mi prometto alla Patria futura”.

Dal 4 al 13 Gennaio tutti i Legionari lasciarono Fiume, il poeta soldato invece si allontanò dalla “città di vita” il 18 Gennaio 1921, giorno dell’apertura a Parigi, nel 1919, della nefasta Conferenza di pace, dove vennero gettate le basi per un conflitto ancora più drammatico del primo. L’annessione di Fiume al Regno d’Italia si verificò il 27 Gennaio 1924, quando il Governo di Benito Mussolini firmò il Trattato di Roma. Pochi giorni dopo il Re Vittorio Emanuele III conferiva alla Città di Fiume la Medaglia d’Oro al Valor Civile e a d’Annunzio il titolo di Principe di Montenevoso.  
Di questa straordinaria impresa resterà memorabile la Carta del Carnaro, promulgata l’8 Settembre 1920, stilata e vergata a monito delle future generazioni.

CORONAVIRTUS VS CORONAVIRUS

MEGLIO VIVERE UN GIORNO DA LEONE 
CHE CENTO ANNI DA PECORA

Il 15 Febbraio 2020 si è svolta al Vittoriale degli Italiani una Solenne Cerimonia, animata da sentimenti puri e nobili. Dopo settanta anni di ricerche compiute in nome della Verità, Riccardo Gigante, sindaco di Fiume per 25 anni e senatore del Regno d’Italia, ora riposa nella sua degna dimora.
Quando d’Annunzio al Vittoriale degli Italiani fece realizzare il suo Mausoleo, lo volle costituito da dieci arche, dove avrebbero trovato sepoltura, intorno a Lui, i suoi dieci eroi di guerra e compagni a Fiume. Su ciascuna era inciso un nome, tutte nel tempo si sono riempite, solo una era rimasta vuota, quella su cui era inciso il nome di Riccardo Gigante. Ucciso e infoibato a Castua il 4 Maggio 1945. In seguito alla ferma volontà di uomini straordinari si avviarono ricerche che sembravano infinite. La Storia infine sopraggiunse al suo compimento, la foiba fu individuata e identificati, attraverso l’esame del DNA, i suoi resti. Quell’arca rimasta vuota, dopo settant’anni, ora custodisce le spoglie mortali dell’eroe e martire di Fiume. Vive, risuonano oggi, le parole del Poeta Soldato:
 “E qualcosa di noi trasumanava; e qualcosa di grande nasceva, di là dal presente. E ogni lacrima era Italia; e ogni stilla di sangue era Italia; e ogni foglia di lauro era Italia”.

Quando la Scienza
Incontra il Sentimento

Scocca l’Ora della Verità

                                                                          Massimo Fulvio Finucci e Clarissa Emilia Bafaro

Gabriele d’Annunzio, La Penultima Ventura, Scritti e discorsi fiumani, a cura di Renzo De Felice, Luni Editrice, Milano, 2019.

Gabriele d’Annunzio, Contro Uno e Contro Tutti, a cura di Massimo F. Finucci e Clarissa E. Bafaro, Le Frecce Edizioni, Roma, 2019. Recensione a Nostra Firma Clicca Qui.

Articolo a Nostra Firma “Gabriele d’Annunzio e Roma. Il Poeta Soldato. Dal Vivere Inimitabile all’Osare l’inosabile”. Clicca Qui.

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