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150° Anniversario di Roma Capitale

LO STILE DI VITA E IL MONUMENTALE
NELLA ROMA DI FINE OTTOCENTO

Il 3 Febbraio 2021 ricorre il 150° Anniversario di Roma Capitale. Per l’occasione è stata coniata una Moneta Celebrativa dal Poligrafico e Zecca dello Stato Italiano, che raffigura il volto della statua della Dea Roma, scultura che domina il centro dell’Altare della Patria. Scelta evocativa di un altro importante Evento, che ricorrerà quest’anno il 4 Novembre, il Centenario del Milite Ignoto. Dopo la presa militare con la Breccia di Porta Pia il 20 settembre 1870, si avviava un decisivo processo di modernizzazione, per trasformare Roma da città pontificia a Capitale del Regno d’Italia. Con gli Italiani nella nuova Capitale era entrato il Tricolore e lo Statuto Albertino, la Carta Costituzionale del Regno d’Italia, segno tangibile dei nuovi tempi. Il valore simbolico della Città Eterna si imponeva, fin da subito, con  tutta la sua potenza e bellezza. L’Italia si era ricongiunta a Roma nel giorno della nascita dell’Imperatore Augusto, il 23 Settembre. Quel giorno segnava un Nuovo Inizio.

Dalla presa Militare alla presa Politica
Fu scelto proprio il 23 Settembre 1870 per insediare la nuova Giunta provvisoria al Campidoglio, nominata dal Generale Cadorna, dedita al Governo Civile della Città Eterna.
Il 2 Ottobre 1870 a Roma e nel Lazio si svolse il plebiscito. Il risultato fu decisamente a favore dell’annessione. Questo successo attestò, legittimò e consacrò il passaggio definitivo della Città alla Nazione. Il 9 Ottobre le autorità civili capitoline, guidate dal Duca di Sermoneta, consegnarono il risultato al Re, a Palazzo Pitti, a Firenze, in quel momento Capitale d’Italia. Il Re ribadì ancora una volta la sua posizione: “Io, come re e come cattolico, nel proclamare l’Unità d’Italia, rimango fermo nel proposito di assicurare la libertà della Chiesa e l’indipendenza del Sommo Pontefice, e con questa dichiarazione solenne io accetto dalle vostre mani, egregi Signori, il plebiscito di Roma”.
Il 1° Novembre il Pontefice, fermo nella sua posizione intransigente per il gesto compiuto, con l’Enciclica Respicientes Ea scomunicava tutti gli invasori dello Stato Pontificio, dal Re fino all’ultimo soldato. Nel tentativo di risolvere questi rapporti così tesi tra Stato e Chiesa, si mise in movimento un attento iter burocratico e legislativo per sancire la definitiva annessione e trasferimento della Capitale da  Firenze a Roma, e la messa in ordine delle relazioni Italo-Vaticane.

Infatti, dopo l’approvazione della Legge per l’accettazione dei Plebisciti, a fine Dicembre 1870 venne approvata la Legge di annessione di Roma, poi il 3 Febbraio 1871 il Re firmò la Legge sul trasferimento della Capitale da Firenze a Roma, e il 13 Maggio venne promulgata la Legge delle Guarentigie, un atto unilaterale che il Pontefice puntualmente, ancora una volta, respingeva il 15 Maggio con l’Enciclica Ubi Nos.

La visita ufficiale del Sovrano avvenne il 2 Luglio 1871. Il Re arrivò alla Stazione Termini il giorno prima, accolto da una popolazione in festa. Il 27 Novembre il Re apriva la prima seduta del Parlamento a Montecitorio, con un discorso denso di sentimento per l’avvenire: L’opera alla quale abbiamo votato la nostra vita è compiuta […] uno splendido avvenire ci si prospetta […] mostrarci degni di portare, fra i popoli, i gloriosi nomi d’Italia e di Roma.

Si procedeva con gran rapidità e attenzione alla presa politica della città, che avveniva attraverso questo percorso legislativo, ma anche con il trasferimento dell’impianto di tutte le funzioni burocratiche e ministeriali. A tal fine, occorrendo del tempo per realizzare nuove sedi, si provvide a impiantare uffici e ministeri negli spazi che Roma offriva, principalmente conventi.
Era impossibile spostare migliaia di impiegati e sopperire alle loro necessità nei primi mesi, al punto che si cominciò a parlare di una “Capitale sulle rotaie”, in riferimento ai tanti funzionari che si spostavano in treno tutti i giorni da Firenze a Roma.
Lo stato di arretratezza della città era evidente a tutta l’Europa. Vigeva un sistema paternalistico fondato sull’assistenza, la tutela e la sicurezza. L’aristocrazia era soprattutto terriera, la borghesia non aveva rappresentanza politica, l’amministrazione, l’istruzione, l’assistenza erano in mano al clero. Il tasso di analfabetismo era del 42 per cento. Alle prime elezioni Nazionali godevano del diritto di voto solo 7.000 persone, risultate idonee per censo e istruzione.

La nuova Corte e lo stile di vita

Il primo segno tangibile del passaggio storico epocale nella città eterna si ebbe con l’ingresso ufficiale dei giovani sposi, il Principe Umberto (26 anni) e la Principessa Margherita (19 anni), che arrivarono alla Stazione Termini, il 23 Gennaio 1871 in una giornata invernale e piovosa. Furono scortati dai Corazzieri Reali dalla Stazione  Termini al Palazzo del Quirinale, scelto per il suo alto valore simbolico, come Residenza Reale.
La principessa si distinse da subito, nel voler manifestare il suo benevolo sentimento al popolo, accorso ad acclamarli, ordinando di scoprire la carrozza. Il suo volto umano creò subito un legame profondo sia con il popolo, che con l’aristocrazia. La popolarità dei giovani sposi portò nella città una nuova aria, enfatizzata dai giornali, che subito misero in risalto la vita che cominciò a ruotare intorno a una nuova corte, non più pontificia, ma moderna e mondana.

Chiesa SS. Sudario, Sacra Sindone, Roma

Anche in questo caso la reazione della Curia non si fece attendere. Fu proibito al cappellano di corte Anzino di dire messa nella Cappella del Quirinale e la Principessa cattolicissima con il Principe Umberto, con eleganza e diplomazia scelsero altre chiese nella città, finché non si optò per riaprire la Chiesa del SS. Sudario, la chiesa dei Piemontesi nei pressi di Piazza Argentina.

Da questi semplici gesti si rendeva palese una difficile tensione, che i giovani principi seppero con amore e ostinazione se non risolvere, almeno allentare. Intensificarono la vita mondana, aprendo i saloni della reggia del Quirinale a feste, balli e serate di beneficenza, dove la Principessa Margherita si distingueva sempre come “danzatrice elegantissima e infaticabile”.
La loro opera unitaria e identitaria portò i giovani sposi a intessere rapporti con l’aristocrazia bianca liberale e nera pontificia, attraverso un’importante attività culturale, con i mercoledì della musica e i giovedì letterari, ma anche inaugurando scuole, ospedali e centri di assistenza. Occasioni di riconciliazione, di incontro tra l’aristocrazia e la classe dirigente italiana era anche l’attività legata ai circoli, noti il  Circolo della caccia e il Circolo degli scacchi, e le attività sportive come la caccia alla volpe e l’equitazione, la corsa dei cavalli all’ippodromo di Capannelle e la partecipazione alle riviste miliari a Tor di Quinto. La presenza dei Sovrani nella Capitale fu decisiva sia da un punto di vista urbanistico, al punto che si metteva in opera uno stile architettonico detto Stile Umbertino, sia di moda e di costume, il cosiddetto Margheritismo.

CORONAVIRTUS VS CORONAVIRUS

A ROMA CI SIAMO E VI RESTEREMO

Molto intensa anche l’attività teatrale, come occasione di ritrovo. Il Teatro Costanzi, dedito alla Lirica, con il sontuoso Albergo Quirinale, collegato con un passaggio sotterraneo al teatro, di proprietà dello stesso impresario Domenico Costanzi.

Teatro dell’Opera di Roma

Il settecentesco Teatro Argentina noto per la Prosa, e il popolare Teatro Quirino, dedito all’Operetta. Primo teatro realizzato dopo Roma Capitale nel 1882, con annessa l’elegante Galleria Sciarra, luogo di incontro e vero e proprio salotto letterario, legato a Palazzo Sciarra, sede del giornale “La Tribuna” e della rivista “Cronaca Bizantina”, diretta dal giovane poeta e giornalista Gabriele d’Annunzio.

Galleria Sciarra, Roma

La sua abile penna ci ha lasciato un ritratto vivace della Roma Umbertina, dove si può cogliere Il Piacere che emana da quell’aria di cambiamento e di modernità. Anche la libera stampa è un’esperienza nuova per i romani, abituati all’uscita di soli due giornali, il “Giornale di Roma” e l’ “Osservatore Romano”, entrambi sotto la rigida sorveglianza delle sfere ecclesiastiche.
Nei primi anni di Roma Capitale si riversarono nella città un centinaio tra giornali, riviste, fogli, di orientamento liberale e clericale, dando inizio a una vera e propria guerra di carta. Fiumi di scrittura e di immagini, che riuscirono a travolgere masse analfabete e poco avvezze al dibattito e al confronto politico, generando un profondo cambiamento antropologico e culturale, che troverà il suo terreno fertile nella nascita della cosiddetta opinione pubblica.

Naturalmente si trattava anche di rinnovare il sistema scolastico ed educativo, affidato unicamente alla Chiesa. Lo scontro Stato e Chiesa si rendeva palese anche nel campo dell’istruzione e dell’educazione. L’obbligatorietà dell’istruzione elementare insieme all’obbligo di leva consentiva di formare cittadini idonei alla vita politica, attraverso il diritto al voto.

Chiesa Sant’Ivo, Prima sede dell’Università La Sapienza, Roma

Ai prestigiosi collegi religiosi si affiancarono molte scuole pubbliche, aperte anche alle giovinette. Fondamentale l’apertura di un Collegio militare per la formazione delle alte cariche del Regio Esercito. In questo importante Collegio studiò negli anni Ottanta anche l’erede al trono il Re Vittorio Emanuele III e poi il figlio, il Re Umberto II. Per quanto riguarda l’Università romana La Sapienza fu sottoposta a una radicale trasformazione, con il potenziamento delle cattedre scientifiche, nell’intento di realizzare la Capitale della Scienza, a cui mirava il ministro Quintino Sella, non siamo arrivati solo per portare degli impiegati ma anche degli scienziati.

La Formazione degli Italiani attraverso il Monumentale

Chiesa Sant’Ivo, Prima sede dell’Università La Sapienza, Roma

La modernizzazione doveva avvenire tenendo insieme e armonizzando l’elemento funzionale e l’aspetto monumentale. Attraverso il monumentale si riscriveva la Storia d’Italia. Il Vittoriano, iniziato nel 1885, risponde perfettamente a questa logica e costituì la bussola che guidò la trasformazione materiale e la formazione morale della Capitale.

Vittoriano, Roma

Se pensiamo ai primi quartieri realizzati nei primi anni di Roma Capitale, quali per esempio Porta Pia, Castro Pretorio, l’Esquilino, e poi il quartiere Prati, notiamo che i nomi delle strade ampie e rettilinee e delle piazze, con la novità dei monumentali portici, sono evocativi di fatti storici e di uomini illustri del Risorgimento, e dei valori della libertà e dell’indipendenza. Ricordiamo Piazza Vittorio Emanuele II, con le strade intorno dedicate alla storia di Casa Savoia, Piazza Indipendenza, con strade evocative delle battaglie risorgimentali, e poi Piazza Cavour e Piazza Risorgimento, al Quartiere Prati di Castello, con strade ispirate alla libertà e ai suoi paladini.

L’architettura aveva una finalità formativa per le masse, lezione che proveniva dalla classicità e che rimarrà valida anche durante il regime fascista. Dopo il 1870 vennero eretti molti monumenti legati alla nuova Roma: Monumento a Garibaldi (1895), Metastasio (1887), Cavour (1895), Carlo Alberto (1900), Giordano Bruno (1889), Quintino Sella (1893), Fratelli Cairoli (1883), Cola di Rienzo (1887), Terenzio Mamiani (1883), Marco Minghetti (1895), Silvio Spaventa (1898), Ciceruacchio (1900), Eroi di Dogali (1887). L’obiettivo era di lasciare una traccia indelebile del processo di Unificazione Nazionale.

 

Stazione Termini con il Monumento a Dogali, 1887, Roma

Il centro radiale e viario della nuova Roma aggiungeva alle importanti arterie di collegamento delle Basiliche, altre strade che collegavano i nuovi luoghi del potere. Da Piazza Venezia, nuovo centro della Capitale, dipartono importanti strade, che vennero realizzate, o ampliate, nei primi anni di Roma Capitale, come Via Nazionale con il suo prolungamento ideale in Corso Vittorio Emanuele II, e Corso Umberto I (Via del Corso), le quali formano la cosiddetta T. Se il centro altamente simbolico della T è rappresentato dal Campidoglio, i punti estremi, sintesi della Nuova Capitale, sono rappresentati dalla Stazione Termini, simbolo della Modernità Italiana, che si ricongiunge dalla parte opposta con la Basilica di San Pietro, simbolo della Tradizione Cattolica, e poi l’altro punto della T, sito in Piazza del Popolo, simbolo della Terza Roma, è rivolto verso l’Altare della Patria, simbolo dell’Unità Nazionale.

Ministero delle Finanze, Roma

Per quanto riguarda la Via Pia, rinominata Via XX Settembre, strada che collega Porta Pia al Palazzo del Quirinale, fin dal 1871 fu investita da un lento e graduale processo di edificazione con la costruzione dei Ministeri.

Palazzo dell’Esposizione delle Belle Arti, Roma

Su Via Nazionale invece si avviarono i lavori per la sede della Banca d’Italia dell’Architetto Gaetano Koch e il Palazzo dell’Esposizione di Belle Arti dell’Architetto Pio Piacentini. Di fondamentale importanza la realizzazione del Traforo Umberto I per il collegamento tra Via Nazionale e Via del Tritone, prolungata fino a Palazzo Chigi. Tutta l’area di Piazza Colonna fu interessata da grandi sventramenti e demolizioni, al fine di realizzare il nuovo centro del potere.  

I Muraglioni sul Tevere, Roma

La Roma di fine Ottocento fu attraversata da una grande trasformazione, che la sollevò, al pari delle grandi Capitali Europee, a città moderna, con le sue infrastrutture e i suoi edifici di pubblica utilità, senza perdere di vista la sua Monumentalità.  Serie di interventi d’ordine generale, che sopraggiunsero nel tempo a coronamento di quella che si ritenne fin da principio come l’opera di prima necessità, ossia la costruzione dei Muraglioni, al fine di arginare la potenza del Mitico Tevere.

La Roma Classica, la Roma Cattolica e la Roma Capitale, si armonizzavano in un’Opera continua di Sintesi. Dopo il Rinascimento, con il Risorgimento, il rinnovamento della Città Eterna si affermava nuovamente.

L’ITALIA È LIBERA ED UNA
ORMAI NON DIPENDE PIÙ CHE DA NOI
IL FARLA GRANDE E FELICE

  5 Dicembre 1870 Re Vittorio Emanuele II

                                                              Massimo Fulvio Finucci e Clarissa Emilia Bafaro

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