160° Proclamazione del Regno d’Italia
GENESI DELLO STATO MODERNO
UNITO NEL SEGNO DELLA TRADIZIONE
Il 17 Marzo ricorre il 160° Anniversario della Proclamazione del Regno d’Italia con Torino Capitale, presupposto fondamentale dell’Unità d’Italia, che si compirà con la Prima Guerra Mondiale nel 1918, per questo definita Quarta Guerra d’Indipendenza. A questo evento vanno legati altri due importanti appuntamenti risorgimentali, il 150° Anniversario di Roma Capitale, il 3 Febbraio, e il Centenario del Milite Ignoto, il 4 Novembre.
Messaggio del Re Umberto II del 17 Marzo 1961
Nel Centenario della Proclamazione del Regno d’Italia
“[…] L’epica impresa poté grado a grado raggiungere l’altissimo fine, perché il Re Vittorio Emanuele II, con a fianco Camillo di Cavour, aveva assunto con mano ferma la direzione e la responsabilità del moto nazionale, coraggiosamente superando difficoltà di ogni genere. Attorno ad essi sorsero da ogni parte d’Italia – magnifico prodigio – falangi di patrioti, sempre tutti presenti nei nostri grati cuori. L’apostolato di Mazzini e l’eroismo di Garibaldi integrarono l’opera meravigliosa, risultato di forze confluenti e contrastanti, fuse dalla sintesi costruttiva della Monarchia nazionale. Discordie e rancori di partiti furono arsi dal sentimento religioso della Patria: così sorse il Regno d’Italia. […]”
Prima Guerra d’Indipendenza 1848
Nell’Ode Marzo 1821, scritta da Alessandro Manzoni subito dopo l’abdicazione del Re di Sardegna Vittorio Emanuele I e la reggenza del futuro Re Carlo Alberto, si sottolinea la concezione manzoniana dell’Unità Nazionale, che non va intesa come semplice fatto geografico o politico, ma piuttosto come quello spirito che accomuna un popolo, che si riconosce in una tradizione linguistica, culturale, spirituale e istituzionale, “Una d’arme, di lingua, d’altare, di memorie, di sangue e di cor”. Manzoni comprende che “Liberi non sarem se non siam uni”. “O stranieri, nel proprio retaggio, Torna l’Italia, e il suolo riprende; o stranieri, strappate le tende da una terra che madre non v’è. Stretti intorno a’ tuoi santi colori, forti, armati de’ propri dolori, i tuoi figli son sorti a pugnar”.
Questo lo spirito che spinse il Re di Sardegna Carlo Alberto a mettersi alla guida dell’Unità d’Italia, dichiarando guerra all’Impero Austriaco, sostenuto da soldati e volontari provenienti da tutta la penisola, dopo che aveva concesso lo Statuto e sollevato il Tricolore. Alla notizia dell’insurrezione delle Cinque giornate di Milano tra il 18 e il 22 Marzo 1848, che videro un allontanamento temporaneo degli austriaci, Giuseppe Verdi scriveva una lettera patriottica e concludeva “bandire ogni idea comunale meschina! Noi tutti dobbiamo tendere una mano fraterna, e l’Italia diventerà nuovamente la prima nazione del mondo […] sono ubriaco di gioia! Immagina che non ci sono più gli austriaci qui!”. Il 23 Marzo aveva inizio la Prima Guerra d’Indipendenza, alla quale partecipò l’erede al trono Vittorio Emanuele, distinguendosi per valore e coraggio. Momenti eroici impressi nella mente degli Italiani e nella Storia Militare d’Italia.
La Prima Guerra d’Indipendenza si chiudeva definitivamente il 23 Marzo, a un anno esatto dal suo inizio, con la “Brumal Novara”, con le dure condizioni dell’Armistizio di Vignale, con l’abdicazione del Re Carlo Alberto in favore del figlio Vittorio Emanuele, il volontario esilio ad Oporto in Portogallo, dove morì il 28 Luglio 1849, in seguito alle ferite riportate in guerra.
Il giovane Sovrano Vittorio Emanuele II si distinse da subito in quella difficile situazione per fermezza e decisione. Firmò l’Armistizio e riuscì a mantenere in essere lo Statuto Albertino, per questo atto si dice che gli venne riconosciuto il titolo di Re Galantuomo, da attribuire a una conversazione con il suo Primo Ministro Massimo d’Azeglio. Il Re si distinse soprattutto per il suo forte realismo politico, il Regno di Sardegna dopo l’Armistizio doveva affrontare una situazione finanziaria difficile, riordinare l’esercito e soprattutto mantenere accesa quella speranza di Stato Guida per l’Indipendenza dallo straniero, faro di libertà e di modernità, in quanto rimaneva in vigore lo Statuto.
Fase Costituzionale 1850-1870
Il problema di fondo era molto grave, il mondo stava cambiando, la Rivoluzione Francese, il Periodo Napoleonico, i Moti Rivoluzionari del 1821, 1831 e 1848 in tutta Europa avevano profondamente minato l’Assolutismo Monarchico. Di tutto questo Vittorio Emanuele II ne era perfettamente a conoscenza, il padre Carlo Alberto, aveva fatto esperienza di questi mutamenti e persino nell’Impero Austriaco vigeva una Carta Costituzionale. Il Re sapeva che l’elemento liberale, il movimento democratico e la tendenza repubblicana erano tutti fattori da considerare, (ricordiamo che a Londra nel 1848 Marx ed Engels pubblicavano il Manifesto del Partito Comunista).
La Modernità andava dominata, disciplinata e ordinata, questo l’insegnamento che il Re Carlo Alberto lasciava in eredità al figlio. La Monarchia Costituzionale Parlamentare sembrava essere la soluzione, sintesi tra Tradizione e Modernità. Casa Savoia veniva definita da Benedetto Croce “la più antica stirpe sovrana che rimanesse in Europa”. Il Principio di legittimità, altro fondamentale principio che si imponeva con il Congresso di Vienna, dopo l’epopea napoleonica, auspicava al mantenimento del potere da parte delle importanti dinastie europee, depositarie di valori tradizionali; le quali venivano scosse da questa carica rivoluzionaria in atto, capace nello stesso tempo se ben indirizzata, di sbloccare un sistema cristallizzato e aprire al progresso, all’innovazione scientifica e industriale, in sintesi, si trattava di tener insieme e di trovare un equilibrio tra queste opposte tendenze.
Il Re Vittorio Emanuele II capì che in questa sintesi era riposta la carta vincente. Su questa strada non riuscirono a porsi altri importanti Stati in Italia, come il Regno delle Due Sicilie, il Granducato di Toscana e lo Stato Pontificio, che anzi sedati i moti rivoluzionari del 1848, sostenuti dall’Austria, tentavano quasi un ritorno all’assolutismo prenapoleonico, ritirando le carte costituzionali e dichiarando così di fronte alla Storia la loro inesorabile fine.
A una prima fase rivoluzionaria, che iniziava con i moti del 1821 e del 1831 e si chiudeva con la Prima Guerra d’Indipendenza, seguiva una nuova fase costituzionale, dal 1850 al 1870 che si chiudeva con la Proclamazione del Regno d’Italia e con Roma Capitale. Un ventennio decisivo che vedeva in Vittorio Emanuele II un punto di riferimento saldo e nel Regno di Sardegna, uno Stato Moderno, capace di imporsi sugli altri Stati italiani ed europei, grazie a uomini politici che avevano un forte senso dello Stato e del Dovere. Uomini colti, abili, competenti come Massimo d’Azeglio, Vincenzo Gioberti, Alfonso La Marmora, Urbano Rattazzi e soprattutto il conte Camillo Benso di Cavour con la sua abile azione diplomatica internazionale. Lo stesso Cavour nel 1847 fondava un quotidiano dal titolo significativo “Il Risorgimento”, che darà il nome a tutto il periodo che porterà all’Unità d’Italia.
Il Re Vittorio Emanuele II e il Primo Ministro Cavour fecero uscire l’Italia dall’isolamento e a tal fine fu mandato in Crimea un Corpo di spedizione scelto, formato dai Bersaglieri, che si coprì di gloria nella battaglia vittoriosa della Cernaia. L’Italia poteva così partecipare a guerra finita, nel 1856, al Congresso di Parigi e in quel consesso abilmente Cavour riuscì a sollevare la “Questione Italiana”.
L’attentato di Felice Orsini a Parigi contro Napoleone III a Gennaio 1858, fornì a Cavour un motivo per evidenziare la necessità di una soluzione urgente alla “Questione Italiana”. Si giungeva dopo pochi mesi alla firma del Trattato di Plombières, che sanciva un’alleanza Franco-Piemontese contro l’Austria.
Seconda Guerra d’Indipendenza 1859
Il Re Vittorio Emanuele II con il suo famoso discorso al Parlamento si mostrava sensibile al “grido di dolore”, che proveniva da più direzioni e si mostrava pronto ad andare in soccorso degli Italiani, “Io non ho altra ambizione che quella di essere il primo soldato dell’Indipendenza Italiana”.
Aveva inizio la Seconda Guerra d’Indipendenza. Il Regio Esercito guidato dal Re Vittorio Emanuele II, alleatosi con Napoleone III combatté eroicamente contro l’Esercito Austriaco guidato dall’Imperatore Francesco Giuseppe. Figura chiave di tutto il nostro Risorgimento, dal momento che l’Italia dalla Prima alla Quarta Guerra d’Indipendenza si trovò sempre a combattere contro Francesco Giuseppe, che morirà nel 1916 all’età di ottantasei anni durante la Grande Guerra.
La Seconda Guerra d’Indipendenza si concludeva l’11 Luglio 1859 con l’Armistizio di Villafranca. L’Austria cedeva al Piemonte la Lombardia, ma non il Veneto. Le diverse Legazioni, attraverso dei Comizi popolari, deliberarono a marzo 1860 le varie annessioni, i risultati dei Plebisciti venivano portati al Re Vittorio Emanuele II, che accettava ma sempre nel rispetto per il Pontefice. Il Re Vittorio Emanuele II di fronte a questo nuovo stato di cose inviò una lettera a Roma per rassicurare il Pontefice e offrirgli “un posto glorioso a capo dell’Italiana Nazione”.
La Spedizione dei Mille 1860
Intanto Giuseppe Garibaldi pensava a un’azione nel Sud, che Vittorio Emanuele II e Cavour ancora consideravano prematura e cercavano invece accordi diplomatici con il Re di Napoli, invitandolo a una soluzione pacifica. Tra le possibili ipotesi si prese in considerazione la possibilità di confederare l’Italia mediante le due monarchie, con lo scopo di mettere a tacere le diverse insurrezioni di matrice repubblicana e mazziniana, rassicurando così anche il Pontefice e le Potenze Europee.
Se la proposta fosse stata accettata, si sarebbe evitato tanto spargimento di sangue e inutili sofferenze ai civili, ma soprattutto la vulgata post risorgimentale avrebbe avuto meno argomenti per portare avanti le tesi divisive che, ancora oggi dopo 160 anni, dilaniano e lacerano le coscienze e indeboliscono la nostra Patria. In fondo il giovane Re Francesco II, era figlio di Ferdinando di Borbone e della Venerabile Maria Cristina di Savoia, e la sua sposa era la giovane Maria Sofia di Baviera, sorella dell’Imperatrice d’Austria Elisabetta, la famosa Sissi, moglie dell’Imperatore d’Austria Francesco Giuseppe. Soluzione che avrebbe creato un nesso pacifico e si sarebbe mantenuto fede al Principio di Legittimità, di Equilibrio e di Nazionalità tra i Savoia (Italia), il Pontefice (la Francia) e i Borboni (l’Austria).
Ma questo progetto, ai fatti poco realistico, che confluiva nella corrente federalista, secondo l’autorevole voce del Manzoni era alquanto utopico. Per il grande scrittore era stata una “nostra buona fortuna” che nel 1848 non si era sconfitta l’Austria con un esercito costituito da soldati dei vari Stati preunitari, perché questo avrebbe indebolito l’idea Unitaria, alimentando divergenze e contrasti a favore delle potenze straniere, accorse da sempre a sostegno ora di uno Stato ora di un altro.
Il 5 Maggio 1860, nel giorno dell’anniversario della morte di Napoleone, Garibaldi si imbarcava a Quarto con i suoi Mille volontari, scrivendo al Re una famosa lettera, in cui diceva di aver udito il “grido di dolore” della Sicilia e non poteva esimersi dall’andare in loro soccorso.
L’incontro storico tra il Re e Garibaldi avveniva a Teano al Bivio di Taverna Catena il 26 Ottobre 1860, l’Eroe dei Due Mondi con queste parole “Salute al Re d’Italia” consegnava nelle mani del Sovrano il Regno del Sud, che finalmente dopo secoli di divisione si ricongiungeva con il resto dell’Italia.
CORONAVIRTUS VS CORONAVIRUS
LIBERI NON SAREM SE NON SIAM UNI
L’Italia Risorge. 17 Marzo 1861
Lo spirito unitario ha guidato Casa Savoia in questa straordinaria impresa di Unificazione Nazionale, simbolicamente e realmente perseguita. Il richiamo simbolico delle date è continuo, basti pensare che il 3 Febbraio 1861 il Re nominava presidente del Senato il siciliano Ruggero Settimo, e la Camera dei Deputati eleggeva suo presidente il piemontese Urbano Rattazzi. Non solo il 3 Febbraio 1871, esattamente dieci anni dopo, veniva proclamata Roma Capitale. Inoltre il primo Governo d’Italia nel 1861 era composto da uomini provenienti da tutta Italia. Il Ministro alle Finanze era il toscano Pietro Bastogi, il Ministro alla Pubblica Istruzione l’irpino Francesco De Sanctis, all’Agricoltura, Industria e Commercio il messinese Giuseppe Natoli e ministro senza portafogli il calabrese Vincenzo Niutta.
L’obiettivo del Re Vittorio Emanuele II era stato fin da principio esplicito, “Non si tratta di piemontesizzare l’Italia ma di italianizzare il Piemonte”. A conferma un solo esempio, che riguarda il Regio Esercito, dal 1882 alla fine della Grande Guerra, ci sono solo due nordici tra i capi di Stato Maggiore, Tancredi Saletta e Luigi Cadorna, a fronte di quattro meridionali, Enrico Cosenz, Domenico Primerano, Alberto Pollio, Armando Diaz. Non solo, come se non bastasse, nel 1876 nei cantieri di Castellamare di Stabia fu varata la corazzata “Duilio”, considerata la più potente del mondo, progettata dal fondatore nel 1878 dell’Accademia Navale di Livorno, Benedetto Brin.
Nella seduta del 14 Marzo 1861, nel giorno di nascita del Re (e del figlio Umberto, futuro Re d’Italia) il Parlamento Subalpino con sede a Palazzo Carignano a Torino proclamava Vittorio Emanuele II Re d’Italia per Grazia di Dio (come volevano i conservatori) e per Volontà della Nazione (secondo il volere dei democratici). Una formula con cui si intendeva sottolineare la doppia legittimità del Regno d’Italia, riconosciuto a livello internazionale, in quanto non semplicemente il risultato di un’azione rivoluzionaria, ma voluta da una dinastia millenaria, la più antica d’Europa, legittima, costituzionale fin dal 1848, moderna, garante del nuovo Stato Unitario.
Il 17 Marzo si proclamava ufficialmente il Regno d’Italia, con la Legge 1 del 21 Aprile, giorno del Natale di Roma, nasceva il Regno d’Italia. Ricorrenze simboliche continuamente evocate, a significare che non ci sarebbe stata l’Italia senza Roma.
Cavour si prodigò da subito per risolvere la “Questione Romana”, secondo il motto “Libera Chiesa in libero Stato”. Ma il 6 Giugno improvvisamente moriva. La presa di Roma richiedeva un’attenta azione diplomatica. Il 15 Settembre 1864 fu firmata la Convenzione di Settembre tra Italia e Francia, dove si stabiliva che la Francia avrebbe ritirato le sue truppe dallo Stato Pontificio e l’Italia avrebbe garantito l’integrità di quei territori, inoltre si stabiliva il trasferimento della Capitale da Torino a Firenze, che avveniva effettivamente nel 1865.
Nel 1866 si firmava l’alleanza Italo Franco Prussiana e si affrontava la Terza Guerra d’Indipendenza contro l’Austria, ottenendo l’annessione del Veneto.
Terza Guerra d’Indipendenza 1866
Nel 1866 aveva inizio la Terza Guerra d’Indipendenza, con l’Italia alleata della Prussia contro l’Austria. Purtroppo nonostante il valore dimostrato dai militari l’Italia veniva sconfitta a Custoza e nella battaglia navale di Lissa. Garibaldi invece con i suoi volontari vinceva a Bezzecca e si apriva la strada per il Trentino. Il Re fu costretto a fermare Garibaldi che rispondeva con il famoso telegramma “Obbedisco”. Con la pace di Praga si formava l’Impero Austro Ungarico e con la pace di Vienna l’Italia riusciva ad ottenere il Veneto.
Nel 1870 in seguito alla Guerra Franco Prussiana e alla sconfitta francese a Sedan, l’Italia il 20 Settembre apriva la Breccia di Porta Pia e il 3 Febbraio 1871 Roma veniva proclamata Capitale d’Italia. Il compimento dell’Unità territoriale e identitaria si realizzò con la Grande Guerra il 4 Novembre 1918, di cui quest’anno, il 4 Novembre, ricorre il Centenario della glorificazione del Soldato Ignoto.
L’Italia ha realizzato la sua unificazione con lo “sforzo concorde” di tutti gli Italiani. Significative le parole del Ministro delle Finanze Quintino Sella, in un suo discorso alla Camera dei Deputati nel 1871, dove così si esprimeva:
“Prendete per punto di partenza il 1859 o il 1860, STUDIATE attentamente in che condizione fossimo allorquando tante parti d’Italia prima divise si sono riunite, quando uomini ed istituzioni prima affatto sconosciuti tra loro si sono affratellati, formando una sola famiglia. CONSIDERATE, PONDERATE tutte le difficoltà che dovettero superarsi per compiere così GRANDE OPERA, e se, dopo tale esame, voi non vi sentite inclinati all’indulgenza, se vorrete proferire una condanna solo perché uno STATO, nel PERIODO DELLA FORMAZIONE, non si presenta così regolare come uno Stato costituito da secoli, allora permettetevi di dirvi che il giudizio vostro, più che severo, sarà ingiusto ed immeritato”.
FERT
FOEDERE ET RELIGIONE TENEMUR
SIAMO VINCOLATI DA UN PATTO E DA UNA FEDE
Massimo Fulvio Finucci e Clarissa Emilia Bafaro