SULLO STATO DELLA GIUSTIZIA …..forse è anche colpa nostra !
UNA SACRALITA’ (oramai) SCOMPARSA DA TRIBUNALI ED ARE
Una analisi dell’Avv. MASSIMO ROSSI
La Giustizia è un settore in piena e profonda crisi da anni. Non lo scopriamo adesso, ma ora tutto è molto più evidente.
L’evidenza è data dalla profonda disaffezione del comune sentire e da risposte di Giustizia che si attendono per anni ed anni. Si badi bene, è inutile negare: la crisi investe sia il settore civile sia quello penale. L’esigenza che si avverte è sempre la stessa in un mondo che corre: la celerità della giustizia e la sua sostanziale efficienza.
Due esigenze non sempre compatibili tra loro. L’ambito civilistico conosce una pluralità di riti che non aiutano né gli operatori né il cittadino comune. Si ha un grado di litigiosità alto a fronte di risposte di “mediazione e composizione” delle liti del tutto inefficaci. Questo, oltre ad “impantanare” i cittadini in giudizi alienanti – come è noto – allontana gli investimenti esteri in Italia.
L’ambito penale non è da meno, è costellato di norme che, in realtà, non consentono il corso di una giustizia rispondente ad un criterio di reale efficienza. In tutto ciò si innesta la questione morale che ha investito la Magistratura che non è una questione da sottovalutare, anzi, da analizzare per scongiurarla in futuro.
Lo scandalo delle nomine e delle progressioni (ergo dei procedimenti disciplinari) del CSM cd. Caso Palamara ne è un’ evidenza chiarissima. Siccome prima di giudicare gli altri è bene capire e comprendere cosa l’avvocatura, in questi anni, ha fatto per evitare lo “sfascio” del settore giustizia, sarà il caso di fare una profonda ed attenta autocritica.
L’avvocatura, in questi anni, ha solo gestito l’onda, cavalcato il momento, ma non ha mai avuto la forza di contrapporsi alla magistratura, non necessariamente in un atteggiamento di scontro, ma in modo critico.
Temi cardine, come la riforma del CSM, la separazione delle carriere dei magistrati, la responsabilità civile dei magistrati, sono battaglie di programma, ma non sono state seguite da una efficace azione. Lo vediamo con il ruolo praticamente nullo nel caso Palamara.
La nomina, o meglio la scelta, di soggetti per ruoli apicali (soprattutto Procure) è stata fatta non solo per correnti, ma per favorire (pare) magistrati che poi, una volta raggiunto il ruolo cui aspiravano, avrebbero dovuto (probabilmente) restituire il favore (è, ovviamente, una ipotesi). Scelta che prescindeva dal merito e dai curricula (talvolta anche di prestigio) e guardava solo ed esclusivamente alla “corrente” di appartenenza.
Detto ciò, si aprono due ambiti di analisi e di approfondimento.
Il primo è che queste nomine “teleguidate” si sono realizzate in un contesto collettivo (appunto il CSM), nel quale non è pensabile che si possa scegliere Tizio piuttosto che Caio, senza che i Consiglieri non si pongano dei dubbi. Il secondo è direttamente consequenziale al primo.
Se è vero il primo assunto, vuol dire che vi erano (almeno in parte) una logica di spartizione che è a tutti gli effetti illegale ed illecita. Una logica compensativa che andava a premiare ora l’una ora l’altra “fazione” ora l’altra ancora.
In un “gioco” perverso dove a rimetterci era solo la democrazia (il CSM è un organo costituzionale), il cittadino e la giustizia sostanziale. Il silenzio della avvocatura – al di là di proclami di maniera e di occorrenza – la dice lunga sul ruolo che l’avvocatura ha in questo Paese. Un ruolo subalterno e di grande sudditanza rispetto alla Magistratura.
L’avvocatura ha portato avanti grandi battaglie come quella dell’art. 111 Cost. a tutela del contraddittorio e della parità delle parti in giudizio. Sacrosanta battaglia, vinta grazie ad un gigante dell’avvocatura italiana, il Prof. Avv. Giuseppe Frigo, ma poi il buio più totale. Gli avvocati non hanno più avuto ruoli apicali nel settore Giustizia e quando ciò è accaduto non erano all’altezza del compito (ogni riferimento non è casuale). Occorre, inoltre, riflettere su di un altro aspetto che non è secondario.
Le “grandi manovre” in seno al CSM (e collaterale) si hanno sulle poltrone da Procuratore Capo delle grandi sedi nazionali.
La nomina di un Procuratore Capo è una nomina con valenza “politica”? Ha un ruolo politico quel magistrato?
Se ha un ruolo “politico” la questione è preoccupante, poiché vuol dire che “l’elemento patogeno” ha, ormai, aggredito il corpo della democrazia in modo definitivo (e, forse, irrimediabile).
Riteniamo che, a questa domanda, si debba dare una risposta, visto che la Costituzione recita che il magistrato è soggetto solo alla legge. Sulla indipendenza e sulla autonomia della magistratura come presidio assoluto della democrazia l’avvocatura ha svolto un ruolo nullo. Non si è quasi mai intromessa come se non fosse argomento che poteva/voleva toccare.
L’avvocatura – a parere di chi scrive – deve occuparsi di questo tema perché proprio l’indipendenza e l’autonomia della magistratura sono beni essenziali di una democrazia.
Ecco perché fenomeni “patogeni”, come quanto emerso sul “caso Palamara”, non possono essere ritenuti estranei al mondo dell’avvocatura.
Ma vi è di più! Il Procuratore è portatore d’interessi particolari, appunto quelli della accusa pubblica ed ha obblighi precisi sanciti dalla Carta Costituzionale.
In primo luogo, l’esercizio dell’azione penale che è obbligatoria (sino a quando non si verrà meno a questa finzione che tutti gli operatori riconoscono come tale). Il Procuratore è – a norma del Codice Vassalli Pisapia – un portatore di una verità di parte.
Riteniamo, in ogni caso, che non sia questo il punto per il quale vi sono “lotte intestine” alla magistratura per occupare poltrone ambite di Procuratore Capo.
Forse – ma lo diciamo timidamente – la ragione è un’altra e poggia sul fatto che i poteri dei procuratori sono sconfinati e non del tutto controllati (o controllabili).
I Procuratori sono gli unici soggetti che non motivano i propri atti e che, di fatto, sono sciolti da vere e proprie responsabilità in ordine al loro agire.
Lo so che l’affermazione è forte, ma chi fa il mio mestiere lo sa benissimo che questa è la pura verità.
Detto ciò, si comprende benissimo che il ruolo apicale del Procuratore è ambito proprio perché ha un “valore” politico; dirige la politica giudiziaria di una Procura. In tutto questo l’avvocatura è rimasta, praticamente, silente.
Un silenzio assordante, almeno per chi, come il sottoscritto, crede che restare silente, in questo momento, significa non dare appoggio – come sarebbe dovuto – alla stragrande maggioranza di quei magistrati che non partecipano e non hanno partecipato a questo “risiko” delle nomine, ma anzi sono stati penalizzati e gravemente o sono stati fatti oggetto di vere e proprie ingiustizie.
Di cosa ha paura l’avvocatura? Non lo sappiamo, anche perché crediamo in un avvocatura sentinella e non prona al potere né esecutivo né di altro tipo.
Ovvio che l’auspicio è uno solo: quello che il CSM venga riformato e cessino le nomine per “elezione” guidata, si operi la riforma essenziale nel nostro ordinamento che è la separazione delle carriere, ormai indifferibile.
Inoltre, si attui la riforma della obbligatorietà dell’azione penale che è un vero inganno per il cittadino ignaro che la macchina della giustizia, così com’è, non può sopportare il peso di una legislazione penale ciclopica e confusionaria (anche questa sfrondare).
Ma per fare questo occorre un legislatore libero dai ricatti della magistratura (o meglio di certi appartenenti alla stessa) che ne condizionano e ne hanno condizionato l’agire dal 1992 in poi.
Occorre che la politica, quella delle scelte e delle prospettive per il Popolo e per il Paese, torni a muovere i suoi passi.
Si sciolga da quelle catene in cui è stata relegata dopo l’inchiesta “Mani Pulite” e riacquisti il valore autentico della politica: quello di avere visioni complessive e di progetto del domani.
Una cosa non perdono all’inchiesta “Mani Pulite”: di avere coinvolto soggetti del tutto innocenti in un canale mediatico di pubblico ludibrio e di avere fatto credere al Popolo Italiano che la politica è “sporca”. Senza la politica non saremmo qui, senza la sana politica non saremmo qui e non avremmo la democrazia.
È arrivato il momento nel quale l’avvocatura, non solo difenda i diritti soggettivi dei cittadini, ma abbia la lungimiranza di tutelare, in modo “circolare”, tutti i diritti (imputati e persone offese) e sia motore propulsivo di una rinascita reale e concreta di “politica giudiziaria” che compia scelte di riforme nel segno delle garanzie costituzionali e della piena e reale efficienza della giustizia.
*Avvocato Penalista e Patrocinante in Cassazione
Docente e Relatore in Convegni a Livello Nazionale
Studio Legale in Siena, v.le Cavour 136
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