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Terenzio Tocci e la sua visione pan-mediterranea del ruolo italo-albanese

TERENZIO TOCCI, L’ALBANIA, IL FASCISMO

Un nome ricorrente nella storia del primo novecento albanese è quello di Terenzio Tocci, uno di quei calabresi di lontana origine albanese oggi detti arbereshe. Contrariamente ad altri suoi conterranei, eruditi ma poco propensi al concreto ritorno nel territorio dell’atavica patria irredenta, Terenzio Tocci combatté a capo dei montanari della Mirdizia, regione settentrionale dell’Albania, contro i turchi dopo un viaggio solitario ed avventuroso dal Montenegro (1911).
Dunque il suo nome ricorre nella storia albanese, un po’ meno per gli anni a seguire (dal 1920 alla fine della guerra) quando fu ministro con il presidente (e poi re) Zog, un periodo in cui ricoprì alti incarichi istituzionali e giuridici. Era un mazziniano e dunque un fervente repubblicano.

Come già per altri personaggi per i quali alcune connotazioni ideologiche sono state contrabbandate, anche per Terenzio Tocci la sinistra pseudoculturale ha tentato di influire. Se si pensa che tentativi di questo tipo sono avvenuti nel recente passato su personaggi stabilmente caratterizzati (vedi  Nietzshe, Bottai, e tanti altri) non ci si meravigli se un giorno si cercherà di annullare definitivamente le basi della culturali della destra sociale con una mano di vernice rossa. E’ questo un  pericolo che va scongiurato, perché se è vero che le ideologie e la cultura in generale sono sprofondate nel gradimento dei nostri connazionali, è altrettanto vero che da parte nostra l’erodersi di certi tabù antimarxisti  ha coinciso con l’abbassare la guardia nei confronti dell’ormai conosciuto “pensiero debole”.
Raccontare la storia di un Tocci patriota anti-ottomano fino a ché divenne fautore collaborazionista del regime fascista in Albania ha il significato di un tentativo di ucciderlo due volte, dopo la partigiana farsa del processo senza difesa e dell’esecuzione forzata (1945).

Ecco che al momento attuale Terenzio Tocci rimane vittima di uno sciacallaggio ideologico da parte soprattutto dell’intellighentia cosentina sinistrorsa, ossequiosa della pluridecennale vulgata rossa, quella che lo ha già bollato irrecuperabilmente.
Egli fu sempre favorevole dell’intervento/occupazione ma più che altro alla pre-occupazione dell’Italia in terra albanese. Ricordo che il Tocci, politico di rango a Tirana, aveva da sempre stimolato la collaborazione (leggi: aiuto unidirezionale) fra le due sponde dell’Adriatico e che già dal 1919, anno della famosa conferenza degli Ambasciatori (un singolare e spesso discusso esperimento che gettò la basi per la Società delle Nazioni), il nostro Paese avviò una campagna di sostegno per la produzione ittica, agricola, pastorale, mini-industriale ed energetica del paese delle Aquile.
Il Tocci, nel discorso da radio Bari del 1937, in qualità di ministro dell’economia, rivendicò i progressi dell’Albania sotto l’impulso italiano per la tecnologia e gli aiuti umanitari in occasione dell’esondazione di un paio di fiumi locali. Erano stati fino ad allora realizzati  traghetti, porti, strade, ponti, porti come Durazzo, palazzi pubblici e ministeriali (Tirana), scuole, ospedali, caserme e tanto altro. Invero si apportò aiuto tecnico bancario (Banco di Napoli), credito agrario, realizzazione del monopolio sui tabacchi, oltre a fabbriche di pesce, vivai, un osservatorio ittiologico, allevamento zootecnico, radiocomunicazioni, oleifici, apiculture, produzione cerealicola.

Ma ciò che realmente pensava e si sforzava di applicare era quanto aveva descritto nel suo pamphlet “L’Albania del 1939” (dell’unione delle Corone). Devotissimo al professor Camillo Mandalari, suo conterraneo, il Tocci fu oggetto di alcune sue esternazioni: “Se per avventura l’equilibrio europeo, sempre pericolante, richiedesse una Albania non indipendente, osiamo altamente affermare che solo l’Italia, nostra disinteressata e prodiga seconda patria, può vantare quei diritti e i cuori dei nostri fratelli al di là dell’Adriatico anche in questo battono all’unisono con i nostri cuori”.
Il Tocci stesso, in occasione del grandioso evento del 7 aprile 1939 (sbarco della flotta tricolore al porto di Durazzo), poté giustamente affermare : “Mediante l’aiuto dell’Italia fascista l’Albania viene restituita agli albanesi”.
Dal punto di vista mazziniano, afferma ne “La questione albanese” che la idea nazionale e la consapevolezza di comune origine per sangue e lingua è nobilissima, ma s’inquadra ancor più forte ed intangibile nell’antica concezione imperiale romana (ROMA COMMUNIS PATRIA), per questo insisteva nell’inserimento dell’Albania nella LATINITA’ del Mar Adriatico. Scolpite nella pietra erano poi le premesse: “Laddove, su tutto quanto dico e scrivo sull’Italia, sostituite la parola Italia con Albania, sarà ben fatto!”.
Anche Giuseppe Garibaldi si era esposto per la fierezza, la lealtà ed il coraggio del popolo schipetaro: “Eroi che si distinsero in tutte le lotte contro la tirannide… La loro causa è la mia”. 

Tocci era avversario irriducibile di alcuni parlamentari italiani, che bollava come “austriacanti”; in realtà fasce di di pensiero politico prendevano piede in Francia e Germania in senso antiitaliano, e polemicamente difendeva il diritto alla sopravvivenza dell’Albania, che “deve essere  degli albanesi, mentre il mare adriatico deve essere mare italo-albanese, ed allora sì che combattiamo per la grandezza e l’avvenire dell’Italia”. Naturalmente qui il discorso è propedeutico ad una visione panmediterranea del ruolo italo-albanese, come una solida realtà geopolitica di “primae inter pares” rispetto ad i Paesi, anche musulmani, rivieraschi. Infine esprimeva concetti del tutto inequivocabili ed ispirati ad alta considerazione reciproca: “Ringraziamo l’Italia fascista perché attraverso il fascismo abbiamo riscoperto i valori dell’Albania; l’Italia è riconosciuta come una sorella maggiore, l’Albania non è una colonia né un protettorato, ma possiede uno statuto con un grande sovrano, che ha il dovere ed il diritto di rappresentare il nostro Re Imperatore e il partito fascista schipetaro; nell’ambito delle inesauribili risorse dateci dalle nostre tradizioni; siamo passati comunque dalle tenebre alla luce, perché oggi possiamo combattere chi si allontana dai nostri costumi”.

Terenzio Tocci era comunque fondamentalmente un mazziniano (CLICCA QUI !) e giudicava il fascismo anche come una realizzazione di principi tanto cari al Mazzini; attivismo, partecipazione, solidarietà nazionale, collaborazione fra popoli. In effetti fin dai primi effetti negativi della industrializzazione, tra i quali si inserì la dottrina marxista della lotta di classe, il Mazzini scrisse agli operai sui “Doveri dell’uomo”: “L’associazionismo è la trasformazione che, emancipando dalla schiavitù del salario, migliorerebbe lo stato economico del paese; l’imprenditore capitalista tende a guadagnare quanto più possibile, spesso con scarsa avvedutezza, mentre i delegati riuniti dei lavoratori (democrazia diretta!), vigilati da vicino e scelti con precisa oculatezza, sarebbero l’incentivo a mediare per uno stabile e reciproco miglioramento dell’azienda, quindi dei prodotti e della retribuzione, in un regime di franca solidarietà e comunanza d’interessi con chi ha materialmente fornito di suo lo stabilimento o l’impresa; perciò equità, indivisibilità del capitale collettivo, riparto degli utili secondo il merito e lo zelo, queste sono le basi generali che voi dovete dare alle vostre associazioni”……..Clicca qui

Dunque  qual forma migliore di sindacalismo potrebbe esistere (anche oggi, definendola “nazionale”) ai tempi del Tocci “corporativo”? Questo ed altro fanno di Terenzio Tocci un nobile esempio in terra straniera, come Francisco Franco in Spagna, Salazar in Portogallo, Mircea Codreanu in Romania, Miklòs Horty in Ungheria e alcuni altri, con le dovute modifiche e contestualizzazioni. Per ultimo Terenzio Tocci fece sue alcune intuizioni del Mazzini , come un’ Europa unita, anche se fotografare oggi le nazioni solo da un punto di vista etnico, come fece il Mazzini due secoli fa,  rischia di essere un’operazione molto poco credibile.
Ciononostante l’intuizione di “ius oeropeus” di mussoliniana memoria, affiancata da vincoli contro globalizzazione e consumismo, pone il fascismo davanti ad una incontestabile dote di partenza rappresentata dalla carica mazziniana. In particolare il Tocci avanzava un’ipotesi che oggi pochi dei tanti politologi riescono ad immaginare: un’Italia ed un’Albania amministratrici del Mediterraneo di credi religiosi, tradizioni, scambi e commerci. Pertanto Italia ed Albania sono nelle condizioni di creare uno spazio nuovo, questa volta sì, anche economico grazie al rispetto e la fiducia che, nonostante tutto, i popoli rivieraschi ripongono in noi italiani. Viceversa il Tocci scriveva che Inghilterra e Francia “non ci hanno mai aiutato durante la guerra balcanica, bensì hanno mandato qui potenziali sfruttatori ed anzi dato forza ai nostri nemici”. D’altra parte disse di sè: “se sono obbligato ad esprimere compiutamente il mio pensiero, devo dire che il fascismo non risponderebbe in alcun modo alla ampiezza ed alla profondità del suo programma se non appoggiasse l’opera grandiosa di una federazione balcanica basata sulla eguaglianza dei diversi elementi e sulla giustizia”.

Per suggellare la propria adesione al fascismo e la condivisione della sua etica, nel 1928 il Tocci pubblicò un volume di circa 400 pagine dal titolo “Il fascismo – discorsi e scritti di Benito Mussolini”, mentre come Presidente del Consiglio Superiore Corporativo d’Albania pronunciò un vibrante discorso sull’entrata in guerra d’Italia e Albania. Infine di lui post-mortem scrisse il professor Mandalari: “Egli, vibrante di fede fascista, si trova sulla breccia, in piena battaglia, sventolando quel vessillo, immacolato ed imbattibile, che porta scritto: CREDERE, OBBEDIRE, COMBATTERE”.

Terenzio d’Alena

In onore e a ricordo di Terenzio Tocci è stata costituita un’Accademia, nell’ambito dell’Associazione ARGOS-Forze di Polizia ….per ulteriori informazioni  Clicca qui 

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