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In ricordo di un caratterista con poche pose e tanta umanità: Mario Brega

MARIO BREGA: L’ATTORE TACCIATO D’INSOLENZA NELL’ACCENTO MA AFFEZIONATO AI SEMITONI

Ho voluto intervistare Giulio Base per due ragioni. In primo luogo perché ha girato Poliziotti. Un film bellissimo. Che avrebbe girato Pier Paolo Pasolini se all’Idroscalo di Ostia la scarica rabbiosa della sorte non si fosse messa di mezzo. 
Il poliziotto ipersensibile che si suicida perché il vagabondo tenuto in custodia lo circuisce, il poliziotto duro nella lotta ma leale nell’animo impersonato da Claudio Amendola (nella foto), la città di Torino, dove è nato il cinema, la strada, il suo codice, la musica da discoteca, la canzone Malafemmena di Totò, la reazione all’ingiustizia, lungi dal fare il verso a Il giustiziere della notte, non pagavano dazio alle banalità scintillanti della retorica di maniera. Era un apologo sui reazionari. Che catturò la fantasia e la sensibilità di un intellettuale progressista come Pasolini. 

Affascinato comunque dall’affiliazione delle borgate romane con il mondo arcaico del tempo che fu. Poliziotti è sicuramente diverso da come sarebbe stato se Pasolini lo avesse potuto dirigere. Ovviamente Giulio non sfiora nemmeno lo stile neorealista con quei cortocircuiti poetici legati alla capacità di razionalizzare l’assurdo attraverso la crudezza oggettiva della ressa delle strade dove «andare duri e svegli guardando un uomo senza tremare» insieme alla nostalgia dell’innocenza perduta. Nondimeno Giulio quel tipo di innocenza che innesca la reazione del poliziotto buono ma tosto di Amendola ha saputo coglierla. Inoltre è stato l’ultimo regista ad aver diretto Mario Brega (nella foto). Un amico che incontravo al Cafe’ De Paris a via Veneto. O dalla parte opposta del marciapiede. Come tutti i caratteristi stava appresso alle pose. Quando non glie le concedevano quante avrebbe voluto gli usciva di tutto dalla bocca. Ma Mario, dietro la sua scorza da duro, nascondeva un cuore buono. Intendiamoci: era un bel paravento, mica San Francesco.

Tuttavia la sua spontaneità di tratto trascendeva ogni tipo di furbizia. Quando mi ci fermavo a chiacchierare non era la forma ad andare per la maggiore. Mi ricordavo le sue battute a memoria. Specie nei ruoli sul grande schermo come papà dei personaggi interpretati da un giovanissimo Claudio Amendola in Vacanze di Natale e Amarsi un po’ di Carlo ed Enrico Vanzina (la più bella commedia all’italiana di sempre, quest’ultima, secondo me: forse solo il collega Francesco Lomuscio è d’accordo; gli altri lo ritengono roba d’ordinaria amministrazione ma non mi interessa). Lo chiamavo papà o “bello de casa paciocco”. E Mario, che aveva visto un paio di volte mio Padre, rispose che lui non era né un signore, come papà mio, né bello. Gli replicavo che paciocco lo era. Anzi un pacioccone “de na piotta e passa”. Lui faceva finta di prendersela. Una volta andai a mangiare al ristorante cinese Mandarin, a due passi dal suo luogo del cuore, insieme al mio carissimo amico d’infanzia Luigi Ranieri. E Mario gli disse che aveva le mani stirate. A Roma le mani stirate le hanno i Lupin di turno. Gli risposi: «l’amico mio mica fa mani stirate». Che significa: è onesto. Parlavamo in romanesco. E ci volevamo bene. Mario tifava per la Lazio. E sapeva che io sono ed ero romanista “fracico”. Eppure, anche se considerato burbero, non mi ha mai detto nulla sulla mia fede calcistica. Quantunque allergico ai colori giallorossi. Lui che in Amarsi un po’ (nella foto) impersonava il tifoso della Roma tutto core. Che vendeva i giornali a Piazza Testaccio.

Con quel magnifico sottotesto del suo personaggio che portava il figlioletto ai giardinetti «con la maglia numero nove come Manfredini». E io, alieno ai colori biancocelesti, non la menzionava proprio la Lazio. Scherzavamo su altre cose (la sua partecipazione invisibile in C’era una volta in America di Sergio Leone, il mio acne giovanile e i modi meno signorili a suo dire di mio Padre). L’Amicizia, pure se le volte che passammo del tempo assieme non furono tante, trascende i colori della squadra di calcio del cuore.

MASSIMILIANO SERRIELLO

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