Myanmar, Aung San Suu Kyi rischia 100 anni di carcere
Il portavoce della giunta militare, il maggiore generale Zaw Min Tun ha dichiarato al quotidiano Nikkei che “il Governo militare del Myanmar non intende sciogliere la Lega nazionale per la democrazia (Nld), il partito della consigliera di Stato deposta Aung San Suu Kyi, Nonostante nei mesi scorsi numerosi esponenti di spicco di tale forza politica siano stati arrestati e processati. Non abbiamo alcun piano per lo scioglimento della Nld sino alle elezioni di agosto 2023. Sarà lo stesso partito a decidere se prendere parte o meno alle prossime elezioni”.
Aung San Suu Kyi è condannata a sei anni di detenzione. Stando ai media ufficiali è incolpata della provocazione di una perdita finanziaria allo Stato birmano per la violazione delle regole relative al noleggio e acquisto di elicotteri. Anche l’ex presidente della Repubblica, Win Myint, è stato colpito dalle stesse accuse. A queste si aggiungono 5 nuovi capi d’accusa.
Già il secondo lunedì del nuovo anno un tribunale del Myanmar condanna a quattro anni di prigione Aung San Suu Kyi. La leader politica birmana è agli arresti domiciliari dal colpo di Stato compiuto dai militari a febbraio 2021. In questo caso le accuse erano: violazione delle restrizioni alle importazioni (si parla di walkie-talkie); violazione della legge sulle telecomunicazioni (l’utilizzo degli stessi senza licenza); violazione delle restrizioni per il coronavirus. Ma nel mese precedente un altra condanna pesava sulla sua testa: due anni per sedizione e due sempre per aver violato le restrizioni per il coronavirus durante la campagna elettorale.
E non è ancora finita perché Aung San Suu Kyi rischia una condanna a oltre 100 anni di carcere dato che i capi d’accusa sono più di dieci. L’esercito birmano ha instaurato una dittatura militare, limitato moltissime libertà e preso il controllo del sistema giudiziario. Oltretutto, la sentenza riguardava soltanto una parte del processo. I giudici devono ancora esprimersi sui reati di corruzione, violazione del segreto di Stato e della legge sulle telecomunicazioni.
Il colpo di Stato
Il golpe di febbraio era stato organizzato dal capo delle forze armate birmane, il generale Min Aung Hlaing. Il quale in seguito ha assunto il ruolo di capo del Governo. Mentre l’ex generale Myint Swe, che dal 2016 er
a uno dei due vicepresidenti, viene nominato presidente ad interim. Fino a quel momento Aung San Suu Kyi era di fatto capo del Governo. Nel giorno prescelto dall’esercito si sarebbe, per la prima volta, riunire il nuovo Parlamento dopo le elezioni del novembre precedente. A vincere nettamente fu la Lega nazionale per la democrazia (NLD) quindi il partito della ex leader. A perdere fu il Partito per la solidarietà e lo sviluppo dell’Unione (USDP) sostenuto dal militari.
Nei successivi mesi centinaia di migliaia di persone erano scese nelle piazze di varie città del Paese per il ripristino del Governo appena eletto. Ma la giunta militare ha attuato una durissima repressione che avrebbe portato all’arresto di oltre 10.000 persone e alla morte di oltre 1.500.
Le origini Aung San Suu Kyi
L’ex leader è nata nel 1945 a Yangon. Figlia di Aung San, eroe nazionale birmano e uno dei personaggi più famosi della storia moderna del Paese ottenne l’indipendenza del Myanmar dal Regno Unito dopo anni di lotta. Ma fu assassinato nel luglio del 1947, pochi mesi prima dell’indipendenza, che divenne ufficiale nel gennaio del 1948.
Anche la madre, Khin Kyi, era una figura di una certa importanza. Infatti nel 1960 fu nominata ambasciatrice in India. Si trasferì a Nuova Delhi con i suoi due figli, ma due anni dopo l’esercito birmano organizzò un colpo di Stato e venne instaurata la dittatura militare nel Paese. Per questo Aung San Suu Kyi, che al tempo aveva 17 anni, per i successivi 28 non tornò, se non per qualche visita occasionale, in Myanmar.
Frequentò le scuole di Nuova Delhi, poi si trasferì nel Regno Unito e si laureò a Oxford, dove studiò filosofia, politica ed economia. Dopo il trasferimento a New York lavorò per l’Onu, e nel 1972 sposò Michael Aris, uno storico ed esperto di buddhismo tibetano. I due si stabilirono a Oxford ed ebbero due figli.
Sedici anni più tardi la madre ebbe un infarto e Aung San Suu Kyi tornò a Yangon in Myanmar per accudirla. Nel frattempo il Paese, con la dittatura militare, si era impoverito tanto da diventare uno dei più poveri al Mondo. Le proteste portate avanti da studenti e operai venivano represse con la violenza e migliaia di persone, anche in quel caso, furono uccise. In quello stesso anno Suu Kyi si fece coinvolgere nel movimento per la democrazia e le fu chiesto di formare e guidare un nuovo partito, La lega nazionale per la democrazia (NLD) e lei accettò.
Il suo primo discorso pubblico a Yangon lo pronunciò il 26 agosto del 1988. Scelse la pagoda di Shwedagon riconosciuto come il luogo più sacro del buddismo birmano e si stima ci fossero tra le 300.000 e il milione di persone ad ascoltarla. «Come figlia di mio padre, non posso rimanere indifferente davanti a quello che sta accadendo». E poi lanciò la seconda lotta per l’indipendenza nazionale. A ispirarla sono sempre state le teorie nonviolente di Mahatma Gandhi e il movimento per i diritti civili di Martin Luther King.
Il primo arresto
Nel maggio del 1989 il governo militare cedette alle pressioni e annunciò elezioni per l’anno successivo. Ma, poco dopo, Aung San Suu Kyi fu messa agli arresti domiciliari, senza processo, per aver “messo in pericolo lo Stato”. La NLD, nonostante tutto, vinse la maggioranza assoluta, ma i militari ignorarono il risultato del voto. Tra questo accadimento e il 2010 trascorse più di 15 anni in prigione o ai domiciliari. Tutto il Mondo si mobilitò per chiederne la liberazione.
Nel 1991 fu investita del Nobel per la Pace. Dopo di ciò venne liberata e arrestata varie volte. Non fu nemmeno accanto al marito quando un tumore lo portò alla morte. Lui residente nel Regno Unito non poté raggiungere lei in Myanmar e lei non partì per raggiungerlo perché era consapevole che non sarebbe mai più riuscita a tornare nel suo Paese.
Il 13 novembre del 2010 venne liberata dato che il regime militare aveva cominciato una transizione verso una forma di governo più democratica. Infatti, fu l’anno in cui, dopo esserne trascorsi venti, furono proclamate le prime elezioni a cui, però, le fu impedito di partecipare.
Lei fu eletta in Parlamento durante un’elezione suppletiva del 2012, divenne capo dell’opposizione e annunciò che si sarebbe candidata alla presidenza alle elezioni del 2015. La NLD vinse le elezioni, ma a lei fu impedito di accedere alla presidenza a causa di una riforma costituzionale fatta approvare dal regime militare nel 2008, che rendeva inaccessibile la presidenza a chiunque avesse sposato un cittadino straniero.
Aung San Suu Kyi fece nominare presidente un suo fedele alleato, Htin Kyaw, e creò per sé la carica di consigliere di Stato. Ciò le consentì di gestire il Governo in maniera ufficiosa. Divenne anche ministro degl’Esteri.
La Costituzione del 2008 prevede che un quarto di tutti i seggi parlamentari spettino all’esercito. Quindi hanno il veto su qualsiasi emendamento costituzionale, oltre che il controllo esclusivo sui ministeri dell’Interno e della Difesa. Quindi Aung San Suu Kyi dovette condividere il potere con i militari.
Tanta la delusione nei suoi anni di Governo. Sotto la sua guida, il processo di democratizzazione del Myanmar non è praticamente avanzato, anzi: in alcuni casi la situazione è peggiorata. Secondo gli esperti, per esempio, negli ultimi anni la stampa è diventata meno libera, anche a seguito di alcuni casi molto noti di giornalisti arrestati per aver criticato l’esercito o per aver raccontato cosa stava succedendo nelle aree di conflitti etnici. Anche internet è diventato oggetto di una censura crescente.
Suu Kyi e la NLD non hanno fatto praticamente niente per eliminare o modificare le leggi volute dal regime militare che minano la libertà d’espressione. Addirittura il numero dei prigionieri politici arrestati è tornato ad aumentare in maniera consistente.
I rohingya
Nel 2017 Aung San Suu Kyi viene accusata di aver ignorato, sminuito e poi difeso la persecuzione della minoranza rohingya da parte dell’esercito. in un Paese a stragrande maggioranza buddista, questo gruppo professa la fede islamica. Sono considerati una delle minoranze più perseguitate la Mondo. Infatto non godono del diritto di cittadinanza e sono ostracizzati dallo Stato. Ma nell’agosto del 2017 la persecuzione divenne una campagna di violazione sistematica dei diritti umani, uccisioni indiscriminate, saccheggi e stupri di massa. Decine di migliaia di persone furono uccise, decine di migliaia di donne stuprate, e centinaia di migliaia di rohingya furono costretti a fuggire in Bangladesh. Come diverse agenzie dell’Onu lo definirono, un vero e proprio genocidio.
Aung San Suu Kyi ignorò la crisi dei rohingya finché non divenne troppo grande per essere tralasciata. Ma in seguito adottò la posizione ufficiale dell’esercito, dicendo che le violenze erano da entrambe le parti. Inoltre, definì l’operato dei militari come un’operazione anti terrorismo dato che alcuni gruppi rohingya erano infiltrati dal terrorismo islamico.
Giorgia Iacuele