Tre atti in scena di Sebastiano Girlando
“Le storie vere accadono”
A Roma, al Teatro Petrolini il 23 fino al 25 settembre ,viene presentata la commedia in tre parti “Le storie vere accadono”, dai contenuti e dall’argomento di stretta attualità: fino a che punto l’uomo è in grado di dominare gli avvenimenti con il suo libero arbitrio o il suo destino è condizionato da forze a lui superiori che lo costringono a recitare una parte in apparenza già decisa da una divinità o dal destino.
La domanda “La nostra vita ci appartiene?” dovrebbe superare la scena ed interrogarci ogni giorno su quello che possiamo fare o non fare di nostra volontà e su quello che sembra venirci imposto dall’alto, senza che si possa reagire e contrastare le avversità della storia o le prepotenze degli avvenimenti: in effetti, ingoiare e mandare giù tutto senza protestare può suggerire una concezione pessimistica dell’umanità che obbedisce in silenzio anche quando non capisce il senso o il significato di certi ordini o di certe azioni salvo poi, a distanza di tempo, cercare di trovare un senso a quanto accaduto affidandosi a distanza di tempo ai ricordi, che per forza di cose possono essere travisati o inesatti, o alla memoria, che a volte può variare nei singoli a seconda dell’importanza degli avvenimenti vissuti o del grado di partecipazione vissuto e che comunque non può più fare niente per modificarli; il tempo ed il suo scorrere inesorabile condiziona l’azione dell’uomo, lo fa dubitare delle sue decisioni ed insinua nelle nuove generazioni il dubbio che, come nel passato, anche nel presente e nel futuro niente possa essere modificato e tutto o quasi venga deciso sopra di noi senza poter fare niente per modificare il corso degli eventi.
Questa corrente di pensiero viene esplicitata nei tre atti che compongono lo spettacolo, Ciak, su il sipario, Il sognatore pagante e Sotto il cielo sbagliato: nel primo atto, Ciak, su il sipario, sono in scena Francesca Marti (l’attrice) e Tiziana Narciso (la sua morale) e viene presentata quella che appare come la caduta libera di un?attrice che, per vari motivi, è costretta di nuovo a tornare a calcare il palcoscenico dopo un’esistenza serena nel mondo del cinema, quindi a rimettersi in discussione tutte le sere di fronte ad un pubblico esigente senza possibilità di appello: una volta tirato su il sipario, lei non può più sbagliare e non può pensare di ripetere, come in un film, le battute sbagliate o le sequenze giudicate imperfette dal regista, ma è costretta a recitare perfettamente la sua parte: in questo senso le certezze diminuiscono e la protagonista rivive e sviluppa in scena e nel suo camerino questo dilemma, amplificato dal confronto con la sua coscienza, di essere sempre la stessa di fronte al pubblico e di poter contare sulle sue proprie forze per superare le prove che la vita le presenta.
Il secondo atto, Il sognatore pagante, presenta le stesse due attrici nei ruoli, rispettivamente, (Francesca Marti) della governante e (Tiziana Narciso) della rappresentante dei governati: quì si assiste alla decisione, in futuro lontano e dispotico che si spera mai possa realizzarsi, della decisione del potente di turno di tassare i sogni degli uomini e delle donne; è mai possibile che non si possa avere la possibilità di stare al riparo di notte, quando si dorme, dalla mano vorace del fisco o si deve sottostare alla voracità dell’Agenzia delle Entrate anche quando si è sotto le coperte?
Questa domanda sembra abbia una risposta scontata, nel senso che l’Autorità ha paura della libertà di poter sognare e con ciò immaginare o intravedere un futuro possibile, ben lontano da un presente che si sente arido e privo di speranza, e cerca di imbrigliare la fantasia sciolta notturna degli esseri umani costringendoli a pagare un dazio e ad evitare di creare ostacoli per il compimento di un futuro già prestabilito e che non si vuole minacciato dalla libera volontà dell’uomo di anche solo immaginare un altro sfondo per la sua vita presente e futura.
Il terzo ed ultimo atto, Sotto il cielo sbagliato, presenta la figlia (interpretata da Elisa Piano) di un soldato italiano disperso in Russia durante la Seconda Guerra Mondiale: la ragazza, venuta a Roma per motivi di studio (l’azione si svolge nel secondo dopoguerra), trova in un giardino un cagnolino con una medaglietta, che le ricorda suo padre e le sofferenze vissute durante la guerra; il quesito proposto è quanto mai attuale: si combatte per la libertà o, credendosi liberi, si finisce per sottostare ad una condizione di schiavitù, morale e materiale, ancora più grande di quella da cui si pensava essere fuggiti?
La risposta viene lasciata alla riflessione dello spettatore e di tutti noi in un senso che per certi aspetti può sembrare angosciante, perché sembra quasi che l’umanità debba sottostare ogniqualvolta all’odio di un essere umano verso un altro, con ciò limitando fortemente la nostra libertà e rinchiudendoci in una gabbia da cui è quasi impossibile uscire, a meno che si trovi in tempo ed una volta per sempre la ragione dei conflitti bellici e dell’odio dell’essere umano verso i suoi simili.
Lo spettacolo, che sembra trarre una morale un po’ pessimista sulla forza dell’uomo di poter superare e vincere da solo le avversità quotidiane della vita e le sfide che si presentano tutti i giorni, pone comunque degli spunti interessanti che possono far riflettere gli spettatori sulla possibilità concreta di modificare, con la buona volontà e con il proprio ingegno, anche le situazioni che sembrano più avverse, anche se a volte un senso di solitudine percorre l’uomo, facendolo sentire insignificante ed in balia di forze ad esso superiori.
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