La XXIX Giornata Mondiale dell’Alzheimer, per essere più consapevoli dell’epidemia silente del ventesimo secolo
Il 21 settembre in tutto il mondo si è celebrata la Giornata dell’Alzheimer istituita per la prima volta nel 1994 dall’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) e dall’Alzheimer‘s Disease International (ADI). La finalità era ed è tuttora la sensibilizzazione della coscienza pubblica sulla natura di una malattia che colpisce un numero sempre crescente di persone (si parla, a livello mondiale, di una diagnosi ogni 3,2 secondi, 36 milioni di malati nel Mondo e un milione in Italia). Lo sforzo è quello di trovare i modi migliori per curare la malattia. Ritardarne l’insorgenza e impedirne lo sviluppo da un lato e sostenere i malati, i loro familiari e le associazioni a essa dedicate dall’altro.
Vediamo in cosa consiste la malattia. Il morbo di Alzheimer, dal nome del neurologo tedesco Alois Alzheimer che ne descrisse per primo le caratteristiche, è un tipo di demenza, la sua forma più comune, che compromette la memoria, e le altre abilità intellettuali legate al pensiero e al comportamento. Questa compromissione, dopo un iniziale sviluppo lento, peggiora progressivamente in forma talmente grave da interferire con la vita quotidiana.
Anche se è una malattia associata all’invecchiamento non è esclusiva della vecchiaia. Infatti, un’insorgenza precoce del morbo, che solitamente fa la sua comparsa intorno ai 65 anni, è possibile anche tra i 40 e i 50 anni.
Si presenta come una malattia degenerativa progressiva i cui sintomi nelle fasi iniziali sono lievi e difficili da individuare, come una leggera perdita di memoria, e in fase avanzata portano all’incapacità di reagire nel proprio ambiente.
La malattia al momento è incurabile: gli attuali trattamenti possono solo rallentare la progressione della degenerazione cognitiva, migliorando leggermente la qualità della vita della persona malata e anche dei familiari. Infatti è una patologia che impatta molto sulla famiglia su cui gravano quasi esclusivamente gli oneri assistenziali, economici e affettivi, con conseguenze sullo stato di salute di chi si prende cura del malato che possono giungere fino a forme di depressione. Sono anche lunghe e costose le procedure burocratiche per ottenere indennità e sostegni perché la perdita di autonomia che la malattia comporta è soggetta a larghi margini di discrezionalità.
Ne sono stati individuati alcuni sintomi. Il sintomo più precoce è la difficoltà di ricordare informazioni apprese di recente perché generalmente il morbo causa cambiamenti che riguardano la parte del cervello relativa all’apprendimento.
L’avanzare del morbo attraverso il cervello determina sintomi progressivamente più gravi: cambi repentini di umore e comportamento, disorientamento spaziale e temporale, confusione sempre maggiore tra eventi, persone e luoghi. La perdita di memoria peggiora e gradualmente si perde la capacità di parlare, deglutire, deambulare.
Per spiegare brevemente cosa avviene nel cervello si può dire che i neuroni, ossia le cellule nervose nel cervello, sono collegati tra loro in reti di comunicazione. Ciascun gruppo di essi svolge uno specifico lavoro: alcuni neuroni sono dediti al pensare, altri all’apprendere e al ricordare. Altri ancora consentono di vedere, di ascoltare e di distinguere sapori. I neuroni agiscono come piccole fabbriche che ricevono rifornimento, generano energia, costruiscono, eliminano rifiuti. Le cellule immagazzinano informazioni e comunicano tra loro cellule e tra altri complessi di cellule. Tutta questa attività richiede coordinamento e molto ossigeno. La malattia impedisce che parti della fabbrica della cellula funzionino bene e questo malfunzionamento si riverbera sulle altre. Progressivamente i neuroni smettono quindi di funzionare e muoiono provocando mutamenti irreversibili nel cervello.
L’Alzheimer è stata definita una malattia silente perché è difficile individuarne i sintomi se non quando la degenerazione è già avviata. Dall’elenco che segue si evince come il confine tra i normali segni di invecchiamento e i sintomi del morbo sia di difficile demarcazione. Di qui dunque l’importanza di salvaguardare la cosiddetta “riserva cognitiva” con un o stile di vita corretto, l’attività fisica, lo studio la lettura, le relazioni sociali.
- La perdita di memoria, soprattutto le informazioni recenti, cui segue la richiesta ripetuta più volte delle medesime informazioni.
- La difficoltà nel problem solving, la difficoltà nella concentrazione, la necessità di più tempo per fare le cose, la difficoltà nel ricordare procedure con cui si era familiari.
- La difficoltà nel completare azioni quotidiane o nel gestire piccoli budget.
- Il disorientamento spazio – temporale e la confusione sul senso delle date, delle stagioni; l’impossibilità di ricordare dove ci si trova o come ci si è arrivati.
- La difficoltà nella lettura e nella visualizzazione dei colori; la possibilità di non riconoscersi nello specchio.
- La difficoltà a seguire una conversazione, fermandosi senza idea di come continuare o ripetendosi frequentemente.
- Il dimenticare gli oggetti in luoghi insoliti o l’incapacità a ricostruire mentalmente i passi precedenti.
- La ridotta capacità di giudizio, la difficoltà a maneggiare denaro e la difficoltà a prendersi cura di sé.
- La rinuncia ad attività sociale o lavorativa.
- Il cambiamento di umore e di personalità che diventa confusa, sospettosa, depressa, spaventata, ansiosa, suscettibile fino a volersi ritirare in zone di comfort.
Vorrei concludere riportando lo sguardo sull’Alzheimer visto con gli occhi del malato, sguardo offerto da un film del 2020, “The father – Nulla è come sembra”: è un potente dramma che mostra l’insorgenza del morbo di Alzheimer dai profondi recessi della mente deteriorata. Il film consente di entrare nella mente del malato per rimanere intrappolati accanto a lui nella prigione che è per lui diventata.
Un ineguagliabile Anthony Hopkins interpreta questo dramma della demenza senile, riuscendo a trasmettere l’angoscia e il disorientamento del proprio “io” che lentamente si frantuma tra momenti di lucidità e momenti di confusione. Emerge la natura feroce della malattia ove il malato rimane solo in un oblio perenne dal quale ogni tanto affiora un nome, un viso, un momento della propria vita. E attraverso gli occhi della figlia di Anthony, Anne (Olivia Colman), il registra Florian Zeller racconta anche il dramma dei familiari del malato che all’improvviso sono costretti ad assistere impotenti e coscienti al progressivo distacco da se stesso della persona amata.
Veronica Tulli