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La seduzione del complotto

Per cercare di comprendere perché tanta gente finisce per pensare che dietro a fatti eclatanti della storia ci siano sempre trame occulte, il filosofo Karl Popper ha cercato di analizzare quella che chiama la “teoria sociale della cospirazione”. Tale teoria, scrive Popper, “è simile a quella rilevabile in Omero. Questi concepiva il potere degli dèi in modo per cui tutto ciò che accadeva, per esempio nella pianura davanti a Troia, costituiva soltanto un riflesso delle molteplici cospirazioni tramate dall’Olimpo. La teoria sociale della cospirazione è in effetti una versione di questo teismo, della credenza, cioè, in divinità i cui capricci o voleri reggono ogni cosa”. Poiché la società si è secolarizzata, il posto degli dèi è stato preso da diversi uomini o gruppi potenti di pressione cui si può imputare di avere organizzato questo o quel disastro sociale.

Quest’idea, aggiungeva Popper, “è molto diffusa, e contiene molto poco di vero. Soltanto quando i teorizzatori della cospirazione giungono al potere, essa assume il carattere di una teoria descrivente eventi reali”.

La teoria del complotto offre una visione inquietante del mondo e della storia, dove niente è come sembra, nulla è lasciato al caso e ogni cosa diventa parte di progetti e trame occulte che agiscono a livello planetario. In tal modo gli attacchi terroristici dell’11 settembre diventano una cospirazione ordita dai poteri forti americani per avere il pretesto di scatenare la guerra in Iraq. L’AIDS può essere interpretata come un’arma di distruzione di massa messa a punto da USA e URSS per ridurre l’aumento della popolazione e annientare neri e omosessuali. Kennedy è stato ucciso da una cospirazione voluta da CIA, mafia, cubani e sovietici. E così via.

Abbiamo dato solo alcuni esempi contemporanei di teorie della cospirazione, ma l’idea che il mondo sia governato da una “cupola” di pochi uomini potentissimi che agiscono in segreto per scopi illeciti non è una novità del nostro tempo.

Per lo storico Richard Hofstadter, della Columbia University, l’idea che molti eventi storici importanti siano il prodotto di grandi cospirazioni è centrale nell’immaginario collettivo del popolo americano, sin dalla nascita della Repubblica. Se ne trovano tracce già nel 1760, quando prese corpo la convinzione dell’esistenza di un piano segreto messo in atto dal governo inglese per togliere ai coloni americani i diritti che si erano conquistati. L’esplosione di tali idee arriva però dopo il 1963, quando, per spiegare l’assassinio del presidente Kennedy, ebbero una diffusione straordinaria varie teorie secondo cui l’assassino, Lee Harvey Oswald, non aveva agito da solo ma era soltanto l’esecutore di una cospirazione che coinvolgeva gruppi potenti e misteriosi.

Pier Paolo Pasolini diceva che il complotto ci fa delirare perché ci libera dal peso di doverci confrontare da soli con la verità. E il semiologo Umberto Eco è d’accordo. “La psicologia del complotto” dice “nasce dal fatto che le spiegazioni più evidenti di molti fatti preoccupanti non ci soddisfano, e spesso non ci soddisfano perché ci fa male accettarle. Si pensi alla teoria del grande vecchio dopo il rapimento di Aldo Moro: com’è possibile, ci si chiedeva, che dei trentenni abbiano potuto concepire un’azione così perfetta? Ci dev’essere dietro un cervello più avveduto. Senza pensare che in quel momento altri trentenni dirigevano aziende, guidavano jumbo jet o inventavano nuovi dispositivi elettronici, e dunque il problema non era come mai dei trentenni fossero stati capaci di rapire Moro in via Fani, ma che quei trentenni erano figli di chi favoleggiava il grande vecchio”.

È una situazione che in psicologia sociale ha un nome: si chiama “dissonanza cognitiva” e consiste nella sensazione di disagio che l’individuo sperimenta di fronte alla consapevolezza di raccogliere in sé due idee contrastanti, il che spinge verso il cambiamento dell’elemento più debole. Allo stesso modo la dissonanza cognitiva entra in gioco di fronte alla morte prematura di una celebrità amata dal pubblico come Marilyn Monroe, Jim Morrison, Elvis Presley, Michael Jackson o la principessa Diana. Non sembra accettabile che una star possa morire per un’overdose di medicinali o per un banale incidente automobilistico, come accade a tantissima gente normale. Più adeguato immaginare complotti elaborati per togliere di mezzo personaggi scomodi o, addirittura, piani di fuga messi in atto dalle stesse star per allontanarsi dalle pressioni intollerabili del mondo dello spettacolo e rifarsi una vita altrove, con una nuova identità.

Nicola Sparvieri

Foto © Fondazione Lorenzo Valla

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Complotto, Cospirazione, Dissonanza cognitiva