Ipazia e Cirillo
Ipazia di Alessandria è stata spesso indicata come esempio di una martire dell’oscurantismo della chiesa. Scienziata, insegnante e personaggio influente sulla classe dirigente della città, venne assassinata con crudele violenza da uomini del vescovo Cirillo nella città di Alessandria, nei primi anni del V secolo d.C. La sua vicenda e la sua immagine furono ampiamente utilizzate dalla storiografia anticristiana per sottolineare la rozza e volgare politica dell’emergente cristianesimo che si proponeva come classe egemone di un Impero Romano in chiara decadenza. L’Impero Romano era, alla fine del IV secolo, in un periodo di forte crisi. Teodosio, l’imperatore di oriente, era succeduto a Valente, ucciso in battaglia (cosa inaudita per un imperatore) ad Adrianopoli del 378: qui le truppe imperiali vennero sconfitte dai Visigoti di Fritigerno, nella Tracia, la parte europea dell’attuale Turchia. La battaglia di Adrianopoli è stata una delle più grandi disfatte militari mai subite dall’Impero Romano in tutta la sua storia. La sconfitta produsse ingenti perdite nei quadri militari romani e portò a numerosi saccheggi da parte dei Goti sia nelle campagne che nelle città romane. La popolazione dell’impero rimase terrorizzata dalla loro presenza e questo favorì patti forzati, sfavorevoli all’impero mentre i Goti dal canto loro spadroneggiavano sempre più. La situazione divenne sempre più critica e l’imperatore Teodosio si ritrovò con enormi problemi interni legati alla ricostituzione e riorganizzazione dell’impero. Tra i problemi cui si doveva far fronte vi erano anche le lotte legate alla diffusione del cristianesimo, in quel periodo particolarmente vive. Lo stesso imperatore Costantino nel 313, pose fine alla persecuzione dei cristiani e decretò il cristianesimo come una delle religioni ufficiali dell’Impero Romano. Teodosio si spinse oltre e decise, nel 380, con l’editto di Tessalonica, che il cristianesimo divenisse la religione unica e obbligatoria nell’impero, pensando in tal modo di porre fine alle lotte interne tra le tre religioni esistenti: cristianesimo, ebraismo e paganesimo. L’editto di Tessalonica rendeva dunque obbligatorio, per tutti i funzionari dell’impero, di diventare cristiani facendosi battezzare, pena la decadenza dalla loro funzione e soprattutto dal potere ad essa associato. Ogni cittadino romano, se avesse voluto avere un ruolo riconosciuto nell’impero, sarebbe stato spinto a cristianizzarsi. Anche i Goti, che popolavano vaste aree dell’impero, erano divenuti prevalentemente cristiani da diversi decenni. Inoltre, nel 392, Teodosio emanò altri due editti, finalizzati a proibire i sacrifici e il culto pagano. Di fatto furono proscritte le religioni pagane e distrutti i templi greci poi in gran parte trasformati in chiese. I seguaci del paganesimo furono attaccati e assassinati in tutto il territorio imperiale; i libri greci vennero bruciati a migliaia e nell’anno in cui Teodosio bandì le religioni pagane, fu distrutto il tempio di Serapide di Alessandria che conservava ancora l’unica grande raccolta esistente di opere greche.
Ma anche il cristianesimo della fine del IV secolo e inizio del V si trovava in un periodo di grandi cambiamenti e confusione. La chiesa delle origini, quella dei primi tre secoli dell’era cristiana, era costituita da gruppi di comunità nate prevalentemente negli aggregati urbani, a seguito della predicazione di apostoli itineranti nell’impero. Queste piccole comunità erano costrette a svilupparsi nella clandestinità ed erano perseguitate dal potere romano. Dovevano affrontare violenze e spesso cruenti martiri che ne certificavano la grande fede e convinzione, vivendo nascoste nelle case (chiese domestiche) o nei sotterranei (catacombe usate anche come cimiteri) dove celebravano i riti dello spezzare il pane e della lettura dei vangeli o delle epistole dei primi apostoli cristiani. Tutti vivevano in povertà sperimentando anche una forma di comunione dei beni, come illustrato dagli Atti degli Apostoli di Luca (At 4, 32-35). Dopo l’Editto di Tessalonica del 380 i cristiani si sono improvvisamente trovati a gestire un importante potere politico e i loro capi, i vescovi, ad amministrare un immenso potere economico: gli vennero consegnate copiose basiliche ex pagane, terreni e ricchezze insieme alla gestione di un incalcolabile numero di cittadini romani (ma anche barbari) che si erano battezzati e quindi erano diventati cristiani ma senza alcuna convinzione o consapevolezza. Le comunità cristiane trovarono quindi al loro interno anche personaggi che di cristiano avevano ben poco, essendo persone provenienti dal paganesimo politeista e spinti “ope legis” a farsi battezzare. I capi delle chiese locali, cioè i vescovi, andavano perdendo sempre più i connotati di capi spirituali e religiosi assumendo invece quelli di amministratori del potere temporale e politico. Questo passaggio ha caratterizzato la chiesa dall’editto di Tessalonica e via via nel corso dei secoli fino ai nostri giorni, al punto da poterlo individuare come il suo vero problema: la chiesa ha in sé la grande sfida di gestire un importante gruppo di opinione e di interessi insieme al “depositum fidei” che, per successione apostolica, le viene trasmesso direttamente dalla chiesa delle origini.
Ipazia è stata uccisa a 60 anni, linciata da una folla di seguaci del vescovo Cirillo. Le venne teso un agguato: un gruppo di parabolani (confraternita di barellieri, praticamente la guardia del corpo episcopale) la sorprese mentre faceva ritorno a casa e, dopo averla tirata giù dal carro, la trascinò all’interno di una chiesa. Lì le furono strappate tutte le vesti e la donna venne letteralmente fatta a pezzi. Le varie parti smembrate del suo corpo furono portate al cosiddetto cinerone, dove si dava fuoco a tutti gli scarti, e vennero bruciate perché di Ipazia non rimanesse nulla.
La motivazione dell’assassinio e il suo legame o meno con l’autorità ecclesiastica è stata oggetto di molte discussioni. Socrate Scolastico, lo storico più vicino ai fatti, afferma che la morte di Ipazia è stata causa di “non poco obbrobrio” per il patriarca Cirillo e la chiesa di Alessandria e fonti successive, sia pagane che cristiane, gli attribuiscono direttamente il crimine; molti storici considerano provato o molto probabile il coinvolgimento di Cirillo, anche se il dibattito al riguardo rimane aperto.
Alla fine di tutto, comunque, nell’evidente declino dell’Impero Romano, la chiesa cristiana divenne nel V secolo sempre più strutturata e capace di affrontare lo scontro con gli avversari dentro e fuori l’impero. Cirillo, successore dello zio Teofilo, patriarca di Alessandria, ben conosceva il suo ruolo e i compiti che gli spettavano. Quello che però può essere giustificabile dal punto di vista politico non sempre lo è dal punto di vista morale. Un cambiamento di questo tipo nella mentalità della chiesa definisce marcatamente una differenza enorme con la chiesa delle origini ove dall’annuncio kerygmatico ai pagani derivava un vero cambiamento di vita negli iniziati verso un’autentica conversione.
Ipazia è una donna martire e il suo martirio è tanto più penoso e straziante perché colpisce una scienziata greca in un periodo in cui la meravigliosa civiltà ellenica era al tramonto. Colpire un personaggio come Ipazia voleva dire colpire la scienza greca e la scienza in generale. La sua morte così efferata poi, suscita orrore e odio. Non ci sono giustificazioni né politiche né religiose a un assassinio vile e barbaro.
Nicola Sparvieri
Foto © National Geographic