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Cristianesimo e stato laico

È molto utile capire l’ambito nel quale è richiesto che si attuino i dettami evangelici che sono rivolti ai discepoli di Cristo. In definitiva la natura del messaggio, che sicuramente era rivolto alla umanità nel suo insieme, era tuttavia finalizzato a provocare una reazione efficace nell’ambito della singola persona. L’idea stessa di conversione riguarda il progetto personale di vita di ciascun discepolo che viene messo in crisi da una proposta che è “totalmente altro” rispetto alla usuale naturale inclinazione. Essa promette, una volta accettata, non solo in linea di principio ma anche più concretamente, la vera soddisfazione nella vita e anche la vittoria definitiva sulla nostra mortalità.

Questo semplice meccanismo di liberazione si è mostrato incredibilmente efficace consentendo nel giro di poco tempo la diffusione del cristianesimo in tutto il mondo allora conosciuto.  Da ciò è seguita una graduale trasformazione delle coscienze individuali che, a poco a poco, hanno trasformato anche i popoli, fino a che con l’editto di Tessalonica del 380 DC, l’Impero Romano è diventato cristiano. Da qui sono nati numerosi problemi come, ad esempio, quello di essere un cristiano nella sfera personale e contemporaneamente essere il gestore di una complessa struttura sociale ed economica chiamata anch’essa cristiana, ma che evidentemente per dimensioni e finalità non può essere un semplice “scale up” di quello che accade a livello personale. È precisamente in questo snodo appena descritto che avvengono i più incredibili malintesi tra chi semplicisticamente vuole uno stato sociale che si basi su principi evangelici e chi, più correttamente, lascia che il cristianesimo cambi il “cuore” dell’uomo per poi naturalmente veder cambiare i popoli senza voler “ope legis” applicare principi teocratici alla società che per sua natura è e deve rimanere laica.

Nella cronaca attuale ci sono esempi che fanno rimanere davvero di stucco. Il problema dei migranti con le varie sfaccettature sulla clandestinità e apertura o chiusura delle frontiere e i richiami all’accoglienza e alla fratellanza ecc ecc , al di là della grancassa mediatica elettorale, offre lo spunto a seguire il fenomeno dello “scale up” tra il valore evangelico dell’accoglienza del diverso a livello personale e questi stessi valori considerati a livello di Stato. Chi ha iniziato un processo di conversione che lo vede affascinato a provarsi sull’apertura al diverso rinunciando ai suoi beni personali (non a quelli di altri) per verificare che dare è meglio che ricevere, sa che questo è un processo spontaneo, che ha i suoi tempi e i suoi modi di realizzarsi. Una volta sperimentata l’immensa ricchezza di questa scoperta egli sa che deve comunicarla ad altri e sforzarsi di descrivere il vantaggio permanente che ne deriva sia sul piano personale che su quello sociale e di convivenza tra gli uomini. Quindi chi ha fatto questa esperienza fa bene a continuare a farla e a descriverla come vantaggiosa a chi non la fa ancora. Altra cosa è chi, forse non facendo nulla di tutto questo, rivendica la necessità che lo stato sia “accogliente” utilizzando risorse pubbliche. Intendiamoci bene: fa bene a reclamarlo ma abbia ben presente che per cambiare il “cuore” di chi non la pensa come te è più efficace l’esempio e poi, certamente, votiamo e vinca la maggioranza.

Vorrei tornare a descrivere altri argomenti evangelici in cui il meccanismo di “scale up” manifesta la sua inconsistenza. Prendiamo come esempio l’invito evangelico al giovane ricco a vendere tutti i beni e il ricavato darlo ai poveri (Mc 10, 16-30). È ovvio che i beni in questione devono essere personali. Non avrebbe alcun senso che si vendano i beni di un altro di cui non si può liberamente disporre (da qui si vede, come corollario, la opportunità che esista la proprietà privata). È evidente che questo invito va visto in chiave di progressione in un cammino personale di fede (cioè di graduale aumento di fiducia nel rapporto con Dio). Il senso è che si cominci a poter pensare che non tutto quello che conta nella vita sia legato al fatto di avere dei beni e che esiste anche una provvidenza. Non avrebbe alcun senso che questo comportamento fosse scalato a livello di stato (non si pensi al welfare che è una ridistribuzione di ricchezze in seno allo stesso stato e non uno spogliarsi dei beni).

Per finire consideriamo il cuore del messaggio evangelico e cioè il discorso della montagna nel quale viene rivelato in tutta la sua potenza che per essere cristiano è necessario amare i propri nemici e dare la vita per loro. La scoperta di un senso profondo in questo apparente non senso fa iniziare il percorso di rinnovamento personale e cioè di conversione.

Come si può pensare di poter scalare questo concetto a livello di stato nel quale uno dei perni fondanti è il concetto di difesa nazionale e di sicurezza del cittadino e nel quale vige il principio giuridico, da tutti riconosciuto come sacrosanto, dello stato di diritto?

Mi sembra chiaro che se una “contaminazione” ci debba essere tra la conversione del cittadino come persona singola e lo stato laico nel suo complesso, questa debba avvenire solo veicolandola su base personale e applicando il principio per il quale i grandi cambiamenti avvengono come somma di tanti piccoli cambiamenti elementari. Ogni altro veicolo si scelga non è solo inefficace ma anche errato.

Nicola Sparvieri

Foto © wikibooks

Cristianesimo, dottrina sociale della Chiesa, laicità