Salvati nella speranza. Lettera enciclica Spe Salvi di Benedetto XVI
Questa enciclica è un “grido” rivolto dal Papa ai cristiani: Tornate alla speranza!
Così Andrea Tornielli presenta l’Enciclica nella sua introduzione; essa si può suddividere in due parti: una dottrinale e una pastorale, cui segue una conclusione.
La parte dottrinale comincia con uno studio sul concetto di speranza basata sulla fede e si pone due domande: che cos’è la vita eterna oggetto della speranza cristiana? La speranza cristiana è individualistica?
Ad esse il Papa risponde descrivendo la vera fisionomia della speranza cristiana.
La parte pastorale dell’enciclica si interessa dei luoghi di apprendimento e di esercizio della speranza: la preghiera, l’agire, il soffrire, l’attesa del Giudizio di Dio.
L’enciclica si conclude con una contemplazione della Vergine Maria, Stella della Speranza.
Analizziamola in modo più approfondito.
Nella sua enciclica Benedetto XVI afferma che né l’attuale fede nel progresso scientifico, né la contestazione di Dio basata sulle ingiustizie del mondo, danno una vera risposta alla domanda dell’uomo sul futuro.
Il pontefice propone un passaggio della Lettera di San Paolo ai Romani: nella speranza siamo stati salvati (8,24) e sottolinea come elemento distintivo dei cristiani il fatto che essi hanno il futuro: la loro vita non finisce nel vuoto (n. 2).
Giungere a conoscere Dio – il vero Dio, questo significa ricevere speranza, dichiara nel numero 3.
Spiega poi la speranza cristiana presentando l’esempio della schiava sudanese Santa Giuseppina Bakhita, nata nel 1869 in Darfur, che diceva io sono definitivamente amata e qualunque cosa accada – io sono attesa da questo Amore (n. 3).
Nel testo si afferma inoltre che Gesù non ha portato un messaggio sociale- rivoluzionario come Spartaco, e che non era un combattente per una liberazione politica; ma che ha portato l’incontro con il Dio vivente, l’incontro con una speranza che era più forte delle sofferenze della schiavitù e che per questo trasformava dal di dentro la vita e il mondo (n. 4).
Cristo ci rende veramente liberi: Non siamo schiavi dell’universo e delle leggi della materia e dell’evoluzione.
Non sono gli elementi del cosmo… che in definitiva governano il mondo dell’uomo, ma un Dio personale governa le stelle, cioè l’universo, continua il Papa. Siamo liberi perché il cielo non è vuoto, perché il Signore dell’universo è Dio che in Gesù si è rivelato come Amore (n. 5).
Cristo ci dice chi in realtà è l’uomo. E che cosa egli deve fare per essere veramente uomo. Egli indica anche la vita oltre la morte (n. 6).
Per questo motivo, sottolinea, la vera speranza non è qualcosa ma Qualcuno: non è fondata su cose che passano che possono essere tolte, ma su Dio che si dona per sempre (n. 8).
In questo senso, aggiunge, l’attuale crisi della fede è soprattutto una crisi della speranza cristiana.
Il Papa si sofferma inoltre sulle illusioni che hanno reso schiava l’umanità: il marxismo per esempio, ha dimenticato l’uomo e ha dimenticato la sua libertà. Credeva che una volta messa a posto l’economia tutto sarebbe stato a posto. Il suo vero errore è il materialismo (nn. 20-21).
Il mito del progresso è un’altra delusione analizzata, così come succede a quanti credono che l’uomo possa essere redento mediante la scienza; essa infatti può anche distruggere l’uomo e il mondo. Non è la scienza che redime l’uomo (nn. 24-26).
Benedetto XVI evidenzia come oggi si possa parlare di una fede nel progresso: l’uomo contemporaneo crede infatti che la redenzione del genere umano verrà dal progresso; l’attuale crisi della fede è soprattutto una crisi della speranza cristiana.
Due categorie entrano sempre più al centro dell’idea di progresso: ragione e libertà. Il progresso è soprattutto un progresso del crescente dominio della ragione e questa ragione viene considerata ovviamente un potere del bene e per il bene. Il progresso è il superamento di tutte le dipendenze – è progresso verso la libertà perfetta.
Anche la libertà viene vista solo come promessa, nella quale l’uomo si realizza verso la sua pienezza. In ambedue i concetti -libertà e ragione- è presente un aspetto politico. Il regno della ragione, infatti, atteso come la nuova condizione dell’umanità diventata totalmente libera (n. 18).
Alla mentalità razionalistica e scientifica il Pontefice addita dunque la via dell’apertura alla speranza, spesso considerata un’illusione e confinata nel privato.
Se i primi cristiani erano invitati da Pietro (1 Pt 3,15) a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi, il Papa invita a riscoprire la speranza della ragione: il recupero di una nuova ragione meno positivistica e più aperta all’invisibile.
Il messaggio cristiano non è una semplice informazione sulla realtà ma è vivere la stessa vita di Cristo.
La razionalità ridotta in senso positivistico tipica dell’età moderna ha surrogato la speranza con altri miti: quelli del progresso, della libertà individuale, e della scienza che hanno sì valore significativo ma relativo e mai assoluto.
La speranza non può essere realizzata da strutture meramente materiali.
La ragione moderna si è ridotta a una ragione strumentale, utilitaristica, ancorata al dato sperimentale e all’efficienza di risultati in termini produttivi: ma è questa la ragione tutta intera? Bisogna allargare l’ambito della ragione per renderla umana.
E la ragione diventa veramente umana solo se guarda oltre se stessa (n. 23).
Nella realtà, le concretizzazioni di questo ideale, in particolare la rivoluzione francese e quella marxista, hanno mostrato il limite di questa speranza.
Il marxismo, in particolare, ha lasciato una distruzione desolante.
Marx ha dimenticato che l’uomo rimane sempre uomo. Ha dimenticato l’uomo e ha dimenticato la sua libertà. Ha dimenticato che la libertà rimane sempre libertà, anche per il male. Credeva che una volta messo a posto l’economia, tutto sarebbe stato a posto. Il suo vero errore è il materialismo: l’uomo, infatti, non è solo il prodotto di condizioni economiche e non è possibile risanarlo solamente dall’esterno creando condizioni economiche favorevoli (n. 21).
È evidente che se al progresso tecnico non corrisponde un progresso nella formazione etica dell’uomo, nella crescita dell’uomo interiore, allora esso non è un progresso, ma una minaccia per l’uomo e per il mondo (n. 22).
La verità è che non è la scienza che redime l’uomo, essa può anche distruggere l’uomo e il mondo, l’uomo viene redento dall’amore (n. 26).
Il Papa indica poi quattro luoghi di apprendimento e di esercizio della speranza.
Il primo è la preghiera: Se non mi ascolta più nessuno, Dio mi ascolta ancora.
Il ricordo va qui alla testimonianza del cardinale vietnamita Nguyen van Thuân, che trascorse 13 anni in carcere, di cui 9 in isolamento: In una situazione di disperazione apparentemente totale, l’ascolto di Dio, il poter parlargli, divenne per lui una crescente forza di speranza (nn. 32-34).
Un altro luogo è l’agire. La speranza in senso cristiano è sempre anche speranza per gli altri. Ed è speranza attiva nella quale lottiamo affinché il mondo diventi un po’ più luminoso e umano (n. 35).
La sofferenza e l’altro luogo di apprendimento della speranza: Certamente bisogna fare tutto il possibile per diminuire la sofferenza, tuttavia non è la fuga davanti al dolore che guarisce l’uomo, ma la capacità di accettare la tribolazione e in essa maturare, di trovare senso mediante l’unione con Cristo, che ha sofferto con infinito amore (nn. 36 – 39).
Bisogna cercare di superare la sofferenza, sapendo però che eliminarla completamente dal mondo non sta nelle nostre possibilità semplicemente perché non possiamo scuoterci di dosso la nostra finitezza e perché nessuno di noi è in grado di eliminare il potere del male.
Tra l’altro il Papa definisce crudele e disumana una società che non riesce ad accettare i sofferenti.
L’ultimo luogo di apprendimento della speranza è il Giudizio di Dio.
La fede nel Giudizio finale è innanzitutto e soprattutto speranza: esiste la resurrezione della carne. Esiste una giustizia. Esiste la revoca della sofferenza passata, la riparazione che ristabilisce il diritto (nn. 41-47).
Solo Dio può creare giustizia e la fede non cambia il torto in diritto. I malvagi – assicura Ratzinger – alla fine, nel banchetto eterno, non siederanno indistintamente a tavola accanto alle vittime, come se nulla fosse stato (n. 44).
In questo senso Benedetto XVI riconosce che l’ateismo del XIX e del XX secolo è una protesta contro l’ingiustizia del mondo che diventa protesta contro Dio.
Tuttavia, spiega, se di fronte alla sofferenza di questo mondo la protesta contro Dio è comprensibile, la pretesa che l’umanità possa e debba fare ciò che nessun Dio fa né è in grado di fare, è presuntuosa ed intrinsecamente non vera. Che da tale premessa siano conseguite le più grandi crudeltà e violazioni della giustizia non è un caso ma è fondato nella falsità intrinseca di questa pretesa (n. 42).
La nostra speranza è sempre essenzialmente anche speranza per gli altri; solo così essa è veramente speranza anche per me, indica. Da cristiani non dovremmo mai domandarci solamente: come posso salvare me stesso?, afferma il Papa ma che posso che cosa posso fare perché altri vengano salvati ? (n. 48).
L’enciclica conclude presentando Maria come Stella della speranza: Madre di Dio, Madre nostra, insegnaci a credere, sperare ed amare con te – invoca – Indicaci la via verso il suo regno! Stella del mare, brilla su di noi e guidaci nel nostro cammino! (nn. 49-50).
Possiamo concludere con Fabris: la speranza è Gesù Cristo che rivela il volto di Dio dentro la storia umana, segnata dal peccato-ingiustizia e dalla morte violenta.
Essa è il compimento della speranza biblica che dà un orientamento dinamico all’agire degli esseri umani e apre al futuro di Dio tutta la storia del mondo, dalla creazione all’esodo biblico, dalla Pasqua di risurrezione di Gesù Cristo alla sua venuta alla fine dei tempi.
Vivere e testimoniare la speranza vuol dire prendere posizione a favore di Gesù Cristo, ascoltando le domande e le attese del mondo.
Veronica Tulli
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