Il Senso della Vita nei secoli
In ogni epoca l’uomo si è chiesto quale senso avesse la vita. Sicuramente se lo sono chiesto gli intellettuali e gli uomini di potere poiché di loro si possiede quel che hanno scritto; per esempio attraverso i libri di Seneca o di Cicerone gli uomini hanno conosciuto la risposta che loro stessi si sono dati a questa domanda esistenziale. Probabilmente anche l’uomo comune o lo schiavo si sono interrogati sul significato della propria esistenza però non hanno potuto lasciare traccia del loro pensiero. Come del resto anche oggi chi viene interrogato su questo è il grande intellettuale, o il filosofo, o chi ne scrive sui libri, non la gente del popolo. Certo è che l’essere umano ha un bisogno innato di trovare un significato alla propria esistenza per poter dare una direzione alla propria vita: per decidere come volerla impiegare bisogna capirne il senso profondo.
Viene dunque da sé pensare che sia una prerogativa di tutti gli esseri umani. È una domanda esistenziale che caratterizza sicuramente l’adolescenza e che si riprende a considerare durante la vecchiaia, poiché la fase della maturità tiene l’uomo impegnato nel realizzare e realizzarsi; i bambini invece non se la pongono perché vivono in un mondo che danno per ovvio.
Ogni epoca ha provato a dare una risposta: per primi i greci, presso i quali la filosofia nasce proprio come discorso sul senso del vivere e secondo la quale una vita senza ricerche non è degna per l’uomo di essere vissuta. Gli antichi chiamavano in causa le potenze soprannaturali: pensavano ci fosse una giustizia fondamentale dell’universo garantita dagli dei. La riflessione si incentrava sulla felicità che a seconda degli autori poteva essere di tipo più edonistico (quindi dei sensi) o più eudemonistico (di tipo intellettuale, per crescere e ampliare la propria personalità, come attività dell’anima in accordo con l’eccellenza).
Nel Medioevo si credeva molto di più all’esistenza di una giustizia fondamentale ed effettivamente è questo il periodo storico in cui si sono date risposte di straordinaria efficacia al problema del senso della vita: un Dio buono che ha creato questo immenso universo razionale, comprensibile, ed in esso vi ha messo l’uomo dandogli la ragione proprio per capire come è fatto il mondo. L’uomo per sua colpa ha rovinato la meraviglia creata, ma Dio gli ha dato comunque il mezzo di recuperare qualora si adegui alla Sua volontà: nel Medioevo la riflessione esistenziale è incentrata sul peccato.
E in ogni caso la vita dell’uomo su questa terra è soltanto un momento: come suggerisce l’immagine del passero di Beda il Venerabile, il monaco storico e studioso anglosassone dell’VIII secolo il quale paragona la vita umana ad un passero che vola nella notte, entra dalla finestra della cattedrale tutta illuminata, fa un giro per poi uscire nuovamente nel buio dall’altra finestra. La vita come percepita dall’uomo è quell’istante in cui il passero attraversa la cattedrale; lì c’è la luce mentre il prima e il dopo sono oscurità. Nello sforzo di capire cosa ci sia nel buio del prima e del dopo, trova un Dio che gli rivela appunto il Suo progetto.
La rivelazione è straordinariamente rassicurante. Infatti quando l’uomo ha cominciato a porsi dei dubbi e ha smesso di credere in Dio, si è smarrito sentendosi catapultato in un universo che fondamentalmente si estrinseca in una gigantesca esplosione. L’uomo medievale si considerava ben saldo al centro dell’universo, che gli girava intorno, sotto un complicatissimo cielo stellato attraverso il quale il Dio Creatore intelligente gli parlava, perché tutto ha il suo significato. E la meraviglia della creazione era per lui. Il senso della vita consisteva nel conoscere e amare Dio, abbandonandosi fiduciosamente alla sua volontà, ben saldo nel rispetto di quanto rivelato ed espresso dai rappresentanti di Dio in terra, in attesa di un premio o di una condanna dopo la morte.
L’epoca moderna, a partire dal XVIII secolo è stata caratterizzata dal nichilismo, da un atteggiamento rinunciatario e negativo nei confronti del mondo e dei suoi valori cui si aggiunge un sentimento di disperazione nella convinzione che l’esistenza non abbia scopo: di qui l’inutilità delle regole e delle leggi. Il XIX secolo ha invece visto affermarsi l’estetismo per il quale il senso della vita era quello di farne un’opera d’arte, poiché ciò che è bello, è un possesso per tutta l’eternità. Considerando che la verità non è conoscibile, che l’assoluto non lo si può possedere ed è impossibile una vita virtuosa, l’uomo non può andare oltre il momento estetico. Per la sua impronta di rifiuto del teismo, è stato spesso apparentato all’ateismo. Attualmente l’impianto esistenziale delle odierne società è di tipo razionalistico, nella convinzione che le credenze dell’uomo debbano basarsi sulla ragione, sospendendo il giudizio sull’esistenza di Dio.
Oggi le culture stanno andando nella direzione dell’auto-perfezionamento: il senso della vita starebbe nella conoscenza di sé in vista dell’ingresso nei mondi superiori. L’essere umano ha intorno a sé, nel macrocosmo, entità e fatti spirituali. La vita consiste allora in una autoeducazione che precede l’accesso nel mondo spirituale, poiché egli, così com’è ora, è imperfetto ma possiede la possibilità di acquisire facoltà per abituarsi al mondo spirituale. L’uomo può conoscere tanto quanto corrisponde al suo livello attuale di maturità e alle sue capacità e quando si sarà sviluppato a un punto di vista superiore, potrà conoscere di più. Egli è un essere capace di evoluzione e può parlare solo di quanto può conoscere a seconda dell’attuale sviluppo delle proprie capacità. Educandosi alla forza di superamento delle difficoltà della vita ed evolvendo sempre più la sua coscienza, solo con l’impulso allo sforzo per diventare sempre più perfetto, è possibile entrare nel macrocosmo. Il senso della vita è oggi nel continuo perfezionamento di sé.
Veronica Tulli
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