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I rischi di una corsa al riarmo nucleare

Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, Stati Uniti e Unione Sovietica si misero a costruire testate nucleari. La prima bomba sovietica esplose nel 1949, molto prima di quanto pensassero gli americani. Gli anni Cinquanta videro l’introduzione dei missili balistici intercontinentali (o ICBM), in grado di trasportare le testate migliaia di chilometri più lontano rispetto ai bombardieri strategici.

Negli anni Sessanta le due superpotenze effettuarono i primi lanci dimostrativi di razzi spaziali, dando avvio alla corsa per inviare satelliti e uomini in orbita a scopo esplorativo, ma anche per provare che ora potevano sganciare ordigni ovunque volessero.

Nel 1982 gli Stati Uniti avevano undicimila testate nucleari, l’Unione Sovietica ottomila. Erano entrambi in grado di lanciarle mediante i missili balistici intercontinentali e i sottomarini, che avevano una funzione di riserva nel caso in cui i centri di comando fossero stati distrutti da un attacco iniziale. Possedevano sistemi radar in grado di individuare qualsiasi oggetto anomalo in avvicinamento ed erano ben consapevoli che, se avessero attaccato, l’avversario avrebbe avuto il tempo di reagire con altrettanta forza.

Come accaduto a Hiroshima e a Nagasaki, le bombe nucleari distruggerebbero tutto e tutti nel raggio di parecchi chilometri dal punto dell’esplosione. L’impatto sul resto del mondo si verificherebbe in seguito, nell’ambito del cosiddetto inverno nucleare. Alla fine degli anni Ottanta gli scienziati hanno dimostrato che il fumo degli incendi scatenati da un conflitto tra Stati Uniti e Unione Sovietica avrebbe avvolto l’intero pianeta e assorbito tanta luce solare da rendere la superficie terrestre fredda, scura e arida. Le piante sarebbero morte e in breve tempo le risorse alimentari si sarebbero esaurite. L’estate sarebbe stata fredda come l’inverno.

Proiezioni più avanzate, basate su modelli climatici moderni per mezzo di supercomputer, hanno confermato il quadro abbozzato negli anni Ottanta, fornendo ulteriori particolari. Gli effetti durerebbero dieci anni o più, molto più a lungo di quanto si ritenesse un tempo, e il fumo generato anche da una guerra nucleare relativamente circoscritta verrebbe riscaldato e spinto in alto, negli strati superiori dell’atmosfera, per anni.

Studi specialistici affermano che, se scoppiassero 50-100 bombe, ovvero solo lo 0,03% dell’arsenale mondiale attuale, nell’atmosfera ci sarebbe tanta fuliggine da generare anomalie climatiche senza precedenti nella storia umana. Dieci milioni di persone morirebbero, la temperatura globale crollerebbe e in gran parte del pianeta non sarebbe possibile coltivare nulla per più di cinque anni. Inoltre, lo strato di ozono che protegge la superficie terrestre dalle radiazioni ultraviolette dannose si ridurrebbe del 40% su molte zone abitate e fino al 70% ai poli.

Nello scenario delle cento testate, le tempeste di fuoco produrrebbero più di cinque milioni di tonnellate di fumo nero, ricco di fuliggine, che salirebbero negli strati superiori dell’atmosfera, verrebbero riscaldati dal Sole e finirebbero per essere trasportati in tutto il mondo. Le particelle assorbirebbero la luce, impedendole di raggiungere la superficie terrestre, con un conseguente brusco raffreddamento del pianeta, in media di 1,25 °C. “Farebbe più freddo che nella Piccola era glaciale: sarebbe il più grande cambiamento climatico della storia umana”, osserva Alan Robock, climatologo della Rutgers University. Si verificherebbe inoltre una diminuzione di circa un decimo delle precipitazioni piovose in tutto il mondo. Senza la luce solare si ridurrebbe l’evaporazione e si comprometterebbe il ciclo idrogeologico. Nelle regioni asiatiche interessate dai monsoni, le piogge calerebbero del 40%. Il modello ha inoltre rilevato che il fumo resterebbe negli strati superiori dell’atmosfera ben più a lungo di quanto ipotizzato. I vecchi modelli avevano supposto che vi rimanesse per un anno, come nel caso documentato delle polveri vulcaniche. Grazie a dati atmosferici più accurati, il nuovo studio ha invece riscontrato che il clima subirebbe le conseguenze del conflitto per un decennio.

Durante la Guerra fredda Stati Uniti e Unione Sovietica erano ossessionati dall’idea di essere considerati potenti, ma nessuno dei due voleva la fine del mondo. I rispettivi leader avevano una linea telefonica specifica per le emergenze e mantenevano relazioni diplomatiche. Quando c’erano solo due parti, era tuttavia più facile controllare l’avversario. Oggi il quadro nucleare è più complesso. Nove paesi (Russia, Stati Uniti, Francia, Cina, Regno Unito, Israele, Pakistan, India e Corea del Nord) possiedono in tutto venticinquemila testate nucleari e molti altri potrebbero essere pronti a costruirle. Primi ministri e Presidenti dichiarano di aspirare a un mondo utopico in cui il loro numero venga ridotto o magari azzerato.

Nel luglio del 2009 Barack Obama e Dimitri Medvedev hanno concordato di ridurre i rispettivi arsenali nucleari a 1500-1675 testate entro il 2016. Ben poco si può fare per evitare che un paese deciso a produrre armi nucleari persegua il suo scopo. Né tali paesi vogliono, a quanto pare, sentirsi dire cosa fare dalle superpotenze che già possiedono migliaia di testate nucleari. Comunque, un inverno nucleare potrebbe essere causato dagli arsenali atomici russi e americani rimasti dal 2012.

Il 21 febbraio scorso, la Russia ha annunciato la decisione di sospendere la sua partecipazione al trattato New START, mettendo così a rischio l’ultimo accordo di controllo degli armamenti nucleari ancora in vigore tra Russia e Stati Uniti. Già prima di quest’annuncio, negli ultimi mesi gli Stati Uniti avevano ripetutamente accusato la Russia di violare le disposizioni del trattato, in particolare il regime di ispezioni. La Commissione consultiva bilaterale, l’organo di verifica del trattato, avrebbe dovuto riunirsi lo scorso novembre per discutere la questione, ma la Russia si è rifiutata di parteciparvi. Tuttavia, la Russia ha annunciato che manterrà il suo arsenale nucleare entro i limiti numerici previsti dal trattato e che continuerà lo scambio di informazioni con gli Stati Uniti, in particolare il meccanismo di notifica con gli Stati Uniti dei lanci di missili intercontinentali basati a terra (ICBM) e in mare (SLBM).

Inoltre, il numero crescente di stati con armi nucleari aumenta il rischio che una guerra venga scatenata di proposito o per sbaglio”. In particolare, sono di difficile gestione tutti quei conflitti locali che coinvolgono potenze nucleari minori. Ad esempio, nel conflitto tra Pakistan e India esiste un non trascurabile rischio dato che l’India potrebbe facilmente sopraffare il Pakistan con forze convenzionali, e quest’ultimo potrebbe colpire l’India con bombe atomiche. Oppure l’Iran ha minacciato di distruggere Israele, che è già una potenza nucleare e che ha dichiarato a sua volta che non avrebbe mai permesso all’Iran di dotarsi di armi nucleari. Tutti questi casi riguardano paesi che si considerano gravemente e costantemente minacciati. E i punti di attrito potrebbero degenerare all’improvviso.

Nicola Sparvieri

Foto © Diritti Globali

Conflitto nucleare, Riarmo, Utilizzo del nucleare in guerre locali