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La tecnologia non sempre aiuta a diventare ciò che siamo

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha previsto che nel 2030 la depressione sarà la malattia più diffusa nel mondo. I principali sintomi associati alla depressione sono di natura emotiva come pensieri negativi, la solitudine, la tristezza.

Il suo impatto sulla qualità della vita è pesante e non solo per la persona depressa ma per tutta la famiglia perché la malattia incide sul funzionamento anche socio-relazionale della persona.

Il ruolo della tecnologia è ambivalente: da un lato ha connesso le persone come mai nella storia umana ma dall’altro le ha rese paradossalmente molto più sole.

Uno studio americano ha detto che le persone di tutte le fasce di età entro i primi cinque minuti dal risveglio guardano il telefono e lo fanno circa 150 volte al giorno, cercando in esso l’appagamento dei nuovi bisogni digitali ed emozionali.

Un elemento costante della vita degli uomini oggi è l’essere connessi al punto che il loro reale diventa informazione e tutto ciò che è informazione diventa il loro reale.

Non si può dimenticare che l’istinto naturale dell’uomo che gli dà sicurezza e lo fa stare bene è sicuramente la compagnia dei propri simili. Viene da chiedersi se l’iperconnessione abbia rafforzato i legami sociali e se abbia dato la possibilità di stringere nuove conoscenze.

E viene da chiedersi anche se i dispositivi tecnologici di cui oggi sembra non si possa più fare a meno assecondino questo istinto naturale o in ultima analisi conducano alla frustrazione. C’è differenza tra il reale caffè preso con gli amici al bar e il virtuale commento online, o un nuovo follow?

In effetti la tecnologia non consente di allenare i cinque sensi che sono gli strumenti attraverso cui ogni uomo può potenziare se stesso e diventare ciò che è.

Riportando le parole dello psicologo J. Hillman nella sua Teoria della ghianda, ogni individuo fin da bambino, proprio come una piccola ghianda, racchiude già in sé tutte le potenzialità sufficienti per poter crescere diventare un maestoso albero di quercia.

Ogni uomo possiede in nuce diverse potenzialità come l’audacia, l’integrità, la vitalità e poi l’amore, la gentilezza, l’intelligenza sociale…e la trascendenza, con la capacità di apprezzare la bellezza, unitamente alla gratitudine. E ogni potenzialità depotenziata fa soffrire.

In particolare la capacità di apprezzare la bellezza non si può allenare dietro ad un computer: è necessario vivere la realtà attraverso i cinque sensi per emozionarsi.

Dietro la virtualità c’è un io ideale, quello che si vorrebbe essere. Per questo si vive una dicotomia e quando si ritorna nella realtà si soffre e non si vorrebbe stare dove si sta, essere quello che si è.

Di qui l’insorgenza delle emozioni negative.

È quindi necessario vivere la realtà, preoccupandosi della propria intelligenza emotiva, delle proprie emozioni e avendo come obiettivo la felicità che è l’autorealizzazione.

La felicità delle relazioni, dell’autonomia e delle competenze deve essere riattivata chiedendo a se stessi come va il proprio lavoro, come vanno le proprie relazioni, se si è soddisfatti della propria autonomia anche economica, se si cambierebbe qualcosa…Bisogna riattivare la felicità dell’essere del fare e dell’amare riprendendo quelle attività che si facevano quando si era bambini.

Tutto questo non è possibile dietro il cellulare o un computer, non si possono riattivare i cinque sensi. E questo non consente di allenare i due cervelli: quello del corpo che produce e mette in circolo endorfine e quello dell’addome che produce e mette in circolo serotonina e dopamina. Sono questi gli ormoni definiti della felicità in assenza dei quali il corpo produce cortisolo, una sostanza che porta l’uomo ad avere effetti di depressione e ipertensione.

La tecnologia non porta a quello stato di totale benessere, non porta allo stato di felicità dell’essere che si può raggiungere solo attraverso i cinque sensi.

Più dell’80% degli uomini sono visivi vale a dire che il loro cervello è colpito soprattutto dalle immagini: il visivo guarda in faccia la realtà, si emoziona attraverso la vista.

Un piccolo 18% è invece costituito dagli uditivi, da tutti coloro che da bambini sono stati stimolati di più attraverso l’ascolto: quando questi parlano, non guardano  negli occhi ma porgono l’orecchio, possono sembrare distratti e se impegnati magari disegnano o fanno altro perché hanno un tipo di intelligenza che vede la realtà attraverso l’ascolto.

La percentuale rimanente è rappresentata dai cinestetici cioè coloro che hanno allenato da piccolini i primi sensi: il tatto, l’olfatto, il gusto. Sono queste persone profonde che si emozionano guardando un film o hanno bisogno di manifestare il loro essere felici attraverso abbracci o carezze.

La bellezza di emozionarsi guardando il mare o di registrarne il rumore o di sentirne il profumo o di toccare la sabbia, di sentirne i sapori… all’uomo servono tutti e cinque i sensi per vivere la sua felicità. E soprattutto la felicità di donare, di stare con gli altri, di donarsi agli altri… tutto questo la tecnologia non lo consente.

Ecco perché si può ripetere con Nietzsche diventa ciò che sei senza permettere alla depressione e alla solitudine di prendere il sopravvento. La connessione online porta alla disconnessione emotiva, all’affaticamento mentale e all’ansia. Gli uomini oggi sono sempre più connessi ma sempre più estraniati.

Veronica Tulli

Foto © Macrolibrarsi

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emozioni, interconnessione, OMS, realtà virtuale, tecnologia