Ganesha, il Dio dalla testa di elefante
Ganesha non ti arresta ma ti fa progredire
Ganesha è il figlio primogenito di Shiva e Parmati, le divinità più importanti della religione induista, viene raffigurato con una testa di elefante con una sola zanna, e un bel ventre pronunciato, mentre cavalca o viene servito da un topo, suo veicolo.
Spesso è rappresentato seduto, con una gamba sollevata da terra e ripiegata sull’altra, nella posizione della Lalitasana, ovvero con una gamba tra una posizione seduta e poco piegata e l’altra gamba appoggiata sopra. Tipicamente, il suo nome è preceduto dal titolo di rispetto induista, Srī.
Etimologia e altri nomi
Formato dalle parole sanscrite gana (tanti, tutti) e isha (signore), Ganesha significa letteralmente “Signore dei gana“ dove gana significa sia moltitudine che i piccoli umanoidi della corte di Shiva.
Come per l’aspetto personale di Brahman anche la figura di Ganesha è carica di molteplici significati e simbolismi che esprimono uno stato di perfezione, e il modo per raggiungerla; Ganesha è infatti il simbolo di colui che ha scoperto la Divinità in sé stesso.
Egli rappresenta il perfetto equilibrio tra energia maschile (Shiva) e femminile (Shakti), ovvero tra forza e dolcezza, tra potenza e bellezza; simboleggia inoltre la capacità discriminativa che permette di distinguere la verità dall’illusione, il reale dall’irreale.
Ganesha nel Ganapati Upanishad e nel rishi Atharva è identificato con il Brahman stesso (come principio creatore) e con l’Ātman (essenza, soffio vitale).
Ganesha come Signore del buon auspicio
In termini generali, Ganesha è una divinità molto amata e invocata, poiché è il Signore del buon auspicio che dona prosperità e fortuna, il Distruttore degli ostacoli di ordine materiale o spirituale; per questa ragione se ne invoca la grazia prima di iniziare qualsiasi attività. È inoltre associato con il primo chakra, che rappresenta l’istinto di conservazione e sopravvivenza, la procreazione e il benessere materiale.
Attributi corporei
Ogni parte del corpo di Ganesha ha una sua valenza e un suo significato:
- la testa d’elefante indica fedeltà, intelligenza e potere discriminante (nel senso che sa cosa scegliere.
- il fatto che abbia una sola zanna (e l’altra spezzata) indica la capacità di superare ogni dualismo (ovvero sa scegliere il meglio).
- le larghe orecchie denotano saggezza, capacità di ascolto e di riflessione sulle verità spirituali.
- la proboscide ricurva sta a indicare le potenzialità intellettive, che si manifestano nella facoltà di discriminazione tra reale e irreale.
- sulla fronte ha raffigurato il Tridente (simbolo di Shiva), che simboleggia il tempo, Ganesha ne ha la padronanza.
- il ventre obeso è tale poiché contiene infiniti universi, rappresenta inoltre l’equanimità, la capacità di assimilare qualsiasi esperienza con sereno distacco, senza scomporsi minimamente.
- La gamba che poggia a terra e quella sollevata rappresentano il suo atteggiamento nel partecipare alla realtà materiale, ovvero vivere nel mondo senza esserne parte.
Le quattro braccia di Ganesha rappresentano i quattro attributi interiori del corpo sottile, ovvero: mente, intelletto, ego, coscienza condizionata;
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- In una mano brandisce un’accetta, simbolo della recisione di tutti i desideri, apportatori di sofferenza.
- Nella seconda mano stringe un lazo e un fiore di loto (padma) simbolo della forza che lega il devoto all’eterna beatitudine del Sé.
- Nella terza mano, rivolta al devoto, vi è in un atto di benedizione (abhaya).
- Nella quarta mano tiene un piatto di dolci, che simboleggia l’abbondanza.
Ganesha è “Colui che ha una sola zanna”, per ricordare ad ognuno che si deve possedere la determinazione mentale nello scegliere tra due alternative.
Ganesha e il topo
La cavalcatura di Ganesha è un piccolo topo, chiamato Mushika o Akhu, che rappresenta la mente e l’ego con tutti i suoi desideri; Ganesha, cavalcando il topo, diviene padrone (e non schiavo) di queste tendenze, indicando il potere che l’intelletto e la discriminazione hanno sulla mente. Il topo che Ganesha tiene in una delle sue mani seppur abbia dei dolci in mano preferisce guardare verso il suo signore Ganesha, rappresenta la mente che è stata completamente assoggettata alla facoltà superiore dell’intelletto, la mente sottoposta a un ferreo controllo; dall’altro canto l’astuzia del topo accompagnata alla saggezza dell’elefante fa compiere grandi imprese e, inoltre, tanto l’elefante quanto il topo, passano dappertutto, quasi senza incontrare ostacoli: uno per via della sua mole e l’altro, per la sua minutezza. Ganesha, per questo, è colui che aiuta a superare gli ostacoli e viene venerato prima di iniziare qualsiasi impresa.
Sposato o celibe?
Ganesha sia stato generato dalla madre Pārvati senza l’intervento del marito Shiva; infatti Shiva, essendo eterno (Sadashiva), non sentiva alcuna necessità di avere figli. Così Ganesha nacque dall’esclusivo desiderio femminile di Pārvati di creare. Di conseguenza, la relazione di Ganesha con la propria madre è unica e speciale.
Questa devozione è la ragione per la quale la tradizione dell’India del Sud lo rappresenta come celibe. Si dice che Ganesha, ritenendo sua madre Parvati la donna più bella e perfetta dell’universo, abbia esclamato: “Portatemi una donna bella come lei e io la sposerò”.
Nell’India del Nord, invece, Ganesha è spesso raffigurato sposato alle due figlie di Brahmaa: Buddhi (intelletto) e Siddhi (potere spirituale). In altre raffigurazioni le sue consorti sono: Sarasvathi (dea della cultura e dell’arte) e Lakshmi (dea della fortuna e della prosperità), a simboleggiare che queste qualità accompagnano sempre colui che ha scoperto la propria divinità interiore.
Decapitato e rianimato da Shiva (una versione della nascita di Ganesha)
La storia più conosciuta è probabilmente quella tratta dallo Shiva Purāna: una volta madre Pārvati volle fare un bagno nell’olio, ma sentendosi offesa per una precedente visita improvvisa di suo marito mentre si stava lavando, creò un ragazzo dalla farina di grano di cui si era cosparsa il corpo e gli chiese di fare la guardia davanti alla porta di casa, raccomandando di non far entrare nessuno. In quel frangente Shiva tornò a casa e, trovando sulla porta uno sconosciuto che gli impediva di entrare, si arrabbiò e lo decapitò con il suo tridente. Pārvati ne fu molto addolorata e Shiva, per consolarla, inviò le proprie schiere celesti (i gana di cui poi Ganesha divenne capo) a trovare e prendere la testa di qualsiasi creatura avessero trovata addormentata con il capo rivolto a Nord. Essi trovarono un giovane elefante che dormiva in tal modo, e ne presero la testa; Shiva la attaccò al corpo del ragazzo, lo resuscitò e lo chiamò Ganapathi, o capo delle schiere celesti, concedendogli di essere adorato da chiunque fosse in procinto di iniziare qualsiasi attività importante.
Shiva e Gajasura (altra versione della nascita di Ganesha)
Un’altra leggenda riguardante l’origine di Ganesha narra che, una volta, ci fosse un demone asura, dalle sembianze di elefante, chiamato Gajasura , che eseguiva una serie di penitenze (tapas); Shiva, soddisfatto di questa austerità, decise di concedergli in dono qualsiasi cosa desiderasse. Il demone voleva che dal suo corpo si emanasse continuamente del fuoco, in modo che nessuno osasse avvicinarlo; il Signore glielo concesse. Gajasura proseguì la sua penitenza e Shiva, che gli appariva davanti di tanto in tanto, gli chiese nuovamente che cosa desiderasse; il demone rispose: “Io desidero che Tu risieda nel mio stomaco” e allora Shiva gli entrò nella pancia.
Allora Visnù, l’onnisciente regista del gioco cosmico, ben capendo che Shiva come principio creatore non poteva stare nell stomaco di un altro essere, inscenò una piccola commedia: tramutò Nandi (il toro di Shiva) in un toro danzatore e lo condusse al cospetto di Gajasura, assumendo nel contempo le sembianze di un suonatore di flauto. Gajasura capì allora come questi non fosse altri che Visnù stesso, l’unico che potesse conoscere quel segreto, così si gettò ai suoi piedi e, liberato Shiva, gli chiese un ultimo dono: “Io sono stato benedetto da Te con molti doni; la mia ultima richiesta è che tutti mi ricordino adorando la mia testa quando sarò morto”. Shiva condusse allora lì il proprio figlio, la cui testa venne sostituita con quella di Gajasura. Da allora, in India è viva la tradizione per cui qualunque iniziativa, per essere prospera, deve cominciare con l’adorazione di Ganesha; questo è il risultato del dono di Shiva a Gajasura.
Lo sguardo di Shani (testa sì e testa no)
Una storia poco celebre riguardante le origini di Ganesha si trova nel Braha Vaivarta Purana: Pārvati, la quale desiderava avere un figlio, decise di compiere un particolare sacrificio (punyaka vrata) per un anno, in modo da appagare Visnù.
Dopo il completamento del sacrificio, il signore donò a Pārvati un figlio. Così Pārvati ebbe un bellissimo bambino, e con grande gioia volle celebrare la miracolosa nascita. Tutti gli dei e le dee si riunirono per gioire della nascita. Shani. Il figlio di Sùùrya (dio del sole) era presente ma si rifiutò di guardare il neonato; disturbata dal suo comportamento, Pārvati gliene chiese la ragione, e Shani rispose che a causa di una maledizione, se avesse guardato il bambino lo avrebbe ferito. In seguito all’insistenza di Pārvati, Shani volse lo sguardo e, non appena i suoi occhi si posarono sul neonato, la sua testa si dissolve all’istante. Tutte le divinità presenti si disperarono, per cui Visnù si precipitò sulle rive del fiume Pushpabhadra e tornò con la testa di un cucciolo di elefante, e la unì al corpo del bambino infondendogli nuova vita. Visnù benedisse il bambino, promettendogli che egli sarebbe stato adorato prima di qualunque altra divinità, e che sarebbe stato il migliore tra gli yogi: allo stesso modo Shiva lo pose a capo delle sue truppe e lo benedisse, affermando che qualsiasi ostacolo, di qualsiasi entità, sarebbe stato superato pregando Ganesha.
Come si ruppe la zanna di Ganesha?
Ci sono vari aneddoti che spiegano come Ganesha si spezzò una zanna:
- Ganesha scriba del Mahābarāta : il saggio Vyāsa chiese a Ganesha di trascrivere la prima parte di questo imponente poema epico ma per la troppa foga nello scrivere Ganesha ruppe il pennino con cui scriveva, allora spezzò la sua zanna per usarla al posto del pennino e non interrompere la trascrizione.
- Ganesha e Parashurama: un giorno Parashurama, un avatar di Visnù, si recò a far visita a Shiva ma lungo la strada fu bloccato da Ganesha. Ganesha sapendo che l’arma di Parashurama era stata donata da Shiva si fece colpire perdendo così la sua zanna.
- Ganesha e la Luna: un giorno mentre Ganesha andava in groppa al suo topo questi si spaventò facendo cadere Ganesha a terra che si ruppe lo stomaco del dio, che pronto prese il serpente e lo usò per chiudere la ferita da cui traboccavano le cose che lui aveva mangiato. Chandra, deva della luna, scoppiò a ridere e si prese gioco di lui, Ganesha allora si spezzo la zanna per tirarla contro la luna, maledicendo sia il dio che la luna che lo rappresentava con la cattiva sorte, altre che spaccando la luna a metà. Chandra capendo il proprio errore chiese perdono a Ganesha che mitigò la sua maledizione (che non si poteva annullare del tutto) stabilendo le fasi lunari ovvero 15 giorni in cui la luna cala e 15 giorni in cui cresce, ma fu da allora che la luna piena si può vedere solo per un brevissimo periodo.
Come Ganesha divenne Capo delle Schiere Celesti
Una volta fu indetta una grande gara tra i Deva per scegliere tra essi il capo dei Gana (le truppe di semidei al servizio di Shiva). I concorrenti avrebbero dovuto fare velocemente il giro del mondo e ritornare ai Piedi di Shiva. Gli Dei partirono sui propri veicoli, ed anche lo stesso Ganesha partecipò con entusiasmo alla gara; ma aveva una grossa corporatura, e per veicolo un topo. Naturalmente, procedeva con notevole lentezza e ciò gli era di grande svantaggio. Non aveva ancora fatto molta strada, quando gli apparve Narada, nonostante Narada fosse il più grande dei bramini, figlio dello stesso Brahma, ciò era comunque di cattivo auspicio. Inoltre, non era considerato buon segno ricevere la domanda “Dove sei diretto?” quando ci si stava dirigendo da qualche parte; quindi Ganesha si sentì doppiamente sfortunato. Tuttavia, il grande brahmino riuscì a calmare la sua collera. Il figlio di Shiva gli raccontò il motivo della sua tristezza e il suo desiderio di vincere; Narada lo consolò, esortandolo a non disperarsi, e gli diede un consiglio:
“Così come un grande albero nasce da un singolo seme, il nome di Rāma è il seme da cui si è sprigionato quell’immenso albero chiamato Universo. Perciò, scrivi per terra il nome “Rāma”, fai un giro intorno ad esso, e precipitati da Shiva a reclamare il tuo premio.”
Quando Ganesha tornò poi magicamente da suo padre dopo aver fatto ciò che gli aveva detto il saggio, Shiva gli chiese come avesse potuto fare così in fretta. Rispose, raccontandogli la storia ed il suggerimento di Narada: Shiva dichiarò allora vincitore suo figlio il quale da quel momento fu acclamato con il nome di Ganapati (Conduttore delle schiere celesti) e Vinayaka (Maestro di tutti).
L’appetito di Ganesha (distruttore della vanità, dell’egoismo e dell’orgoglio)
Kubera, il tesoriere di Svarga(il paradiso) e dio della ricchezza, si recò un giorno sul monte Kailāshā per ricevere il darshan (la visione) di Shiva. Poiché era molto vanitoso, lo invitò a una cena nella sua sfarzosa città, Alakapuri, in modo da potergli esibire tutte le sue ricchezze. Shiva sorrise e gli disse: “Non posso venire, ma puoi invitare mio figlio Ganesha. Ti avverto che è un vorace mangiatore!”. Per nulla preoccupato, Kubera si sentiva pronto a soddisfare con la sua opulenza anche una fame insaziabile come quella di Ganesha. Prese con sé il piccolo figlio di Shiva e lo portò nella sua città; lì gli offrì un bagno cerimoniale e lo rivestì di abiti sontuosi. Dopo questi riti iniziali, iniziò il grande banchetto. Il piccolo Ganesha si mise a mangiare, mangiare e mangiare: il suo appetito non si arrestò neppure dopo aver divorato i piatti destinati agli altri ospiti; non c’era tempo di portare altro cibo che Ganesha aveva già mangiato tutto. Divorato tutto quanto era stato preparato, Ganesha prese a mangiare decorazioni, suppellettili, mobili, lampadari. Atterrito, Kubera si prostrò davanti al piccolo onnivoro e lo supplicò di risparmiargli il resto del palazzo. “Ho fame. Se non mi dai altro da mangiare, divorerò anche te!”, disse a Kubera (ricordandomi lo Spirito del Senzanome di Mijazaki nella Città incantata). Questi, disperato, tornò velocemente sul monte Kailāshā per chiedere a Shiva un rimedio urgente. Il Signore gli diede allora una manciata di riso abbrustolito, dicendo che quello l’avrebbe saziato; Ganesha aveva già ingurgitato quasi tutta la città, quando Kubera gli donò umilmente il riso. Con quel cibo, finalmente Ganesha si saziò e si calmò.
Devozione alla madre
Una volta il piccolo Ganesha giocando con un gatto per sbaglio lo ferì, tornando da sua madre Parvati vide che anche lei era rimasta ferita: lei gli spiegò allora che in quanto energia immanente in tutte le cose (Shakti) lei era presente in tutte le cose. Fu così che Ganesha capì che sua madre era in tutte le donne, ovvero che le donne erano una sua manifestazione, decidendo di rimanere celibe a vita (Brahmachari); d’altra parte Ganesha era al di sopra dei desideri e non sentiva necessità di avere mogli o figli.
Ganesha ieri e oggi
Le rappresentazioni di Ganesha si basano su simbolismi religiosi antichi migliaia di anni che culminano nella figura di una divinità dalla testa di elefante. In India le statue sono espressioni di significati simbolici e quindi non sono mai state spacciate come repliche esatte di una figura vivente. Ganesha non è visto come un’entità fisica, ma come un più elevato essere spirituale e le murti (rappresentazioni scultoree) hanno la funzione di simboleggiare la divinità come figura ideale. Per la filosofia induista le murti sono punti di focalizzazione simbolica attraverso i quali è possibile raggiungere la Divinità e durante la Ananta Chaturdashi vengono immerse nei fiumi più vicini ad una data città permettendo una comprensione solo temporanea di un Essere Superiore.
Altra cosa che va tenuta presente nell’attualità è che il culto di Ganesha sta riemergendo non solo in India ma in tutto il mondo: pare infatti che le statue della divinità abbiano cominciato a consumare il latte che gli viene offerto mostrando anche il lato giocoso di questa incredibile divinità.
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