____________”La RAZZA degli ACCUSATI”:
Federico Garcia Lorca, Pier Paolo Pasolini, Reinaldo Arenas
“Il Demone dell’Arte e la Violenza del Potere”
____________________di FRANCESCO RICCI *
Una volta Cesare Garboli, parlando del Mondo salvato dai ragazzini di Elsa Morante, ha scritto che “Il contrario del potere non è un potere diverso. Il contrario del potere è l’intelligenza”.
Attendersi iniziative brillanti e decisioni sagge da chi lo detiene è uno sbaglio, e non è il peggiore che si possa commettere. Ancora più grave, come errore, è ritenere che il potere sia innocente e alieno da ogni tipo di azione nociva nei confronti dei cittadini.Infatti, il potere, oltre che anarchico – fa sempre ciò che vuole – e manipolatore – tanto dei corpi quanto delle coscienze –, nella sua stupidità sa essere molto crudele verso chi meriterebbe, per la sua intelligenza, la sua autonomia di giudizio, la sua altezza di ideali, di venire ascoltato. La vicenda umana di Federico García Lorca, Pier Paolo Pasolini, Reinaldo Arenas lo conferma drammaticamente.
Federico García Lorca nasce in un paesino presso Granada, in Andalusia, nel luglio del 1898, Pier Paolo Pasolini a Bologna, nel marzo del 1922, Reinaldo Arenas ad Aguas Claras, nella provincia di Holguín, a Cuba, nel luglio del 1943. Dietro di sé hanno famiglie diverse per condizione sociale e per livello d’istruzione, eppure tanti sono gli elementi che li accomunano già a partire dalle esperienze che fanno nel corso dell’infanzia e dell’adolescenza (l’immersione nel mondo contadino, percepito come universo primigenio, violento, incantato, il forte interesse per il folclore e per la cultura popolare, la precoce scoperta della forza che la carne e la passione erotica possiedono, l’amara e dolorosa consapevolezza che l’omosessualità isola e condanna).
Quattro, in particolare, a me sembrano essere i tratti di somiglianza di maggiore rilievo tra i tre scrittori.
1) La versatilità
In ognuno di loro emerge precocemente l’attitudine a coltivare altri tipi di linguaggio accanto a quello squisitamente letterario. Federico García Lorca fino ai diciotto anni studia pianoforte e per tutta la vita disegna (Joan Miró diceva di apprezzare i suoi lavori per il senso della linea e la grazia del tratto).
Pier Paolo Pasolini dipinge (il paesaggio casarsese e la madre sono i soggetti prediletti), Reinaldo Arenas scopre prestissimo la magia del cinema (“Andavo al cinema da solo perché non mi piaceva condividere con nessuno il piacere di assistere allo spettacolo”). Inoltre, tutti e tre condividono l’amore per il teatro, un amore, almeno nel caso di Federico García Lorca e Pier Paolo Pasolini, che non li abbandonerà mai. Di conseguenza, occorre guardare alle loro prime opere date alle stampe, vale a dire le prose poetiche di Impresiones y paisajes (1918) di Federico García Lorca, Poesie a Casarsa (1942) di Pier Paolo Pasolini, il romanzo Celestino antes del alba (1967) di Reinaldo Arenas, come agli esordi di artisti proteiformi: il posto che lo scrittore italiano, ad esempio, occupa nella storia del cinema lo testimonia eloquentemente.
2) Il rapporto con le avanguardie
Federico García Lorca (nella foto a destra), ha opportunamente ricordato Miguel García-Posada, “nacque alla letteratura nel pieno del periodo delle avanguardie, ma non se ne lasciò travolgere”. Distante dal cubismo e dalla poesia pura, Federico García Lorca conosce il surrealismo, come rivela anche il suo capolavoro, Poeta a New York, ma non accetta di fare del sogno la fonte della sua poesia.
Al pari degli altri esponenti della cosiddetta “Generazione del ‘27”, come Jorge Guillén, Rafael Alberti, José Bergamín, Dámaso Alonso, preferisce piuttosto muoversi tra avanguardia e tradizione, dove la tradizione viene per lui a coincidere con la grande letteratura europea, a partire dalle sue origini classiche.
Pier Paolo Pasolini nel 1955 fonda a Bologna la rivista “Officina” insieme a Francesco Leonetti e Roberto Roversi. Rifiutando sia l’esperienza dell’Ermetismo, che innalzava tutta la lingua al livello della poesia e accordava importanza esclusivamente alla sfera dell’interiorità, sia l’esperienza del neorealismo, che impiegava la lingua borghese per rappresentare il popolo e ne offriva un’immagine poco autentica, Pier Paolo Pasolini nel numero 9-10 di “Officina” (1957) sottolinea la necessità di un atteggiamento razionalmente conoscitivo del mondo e suggerisce la “riadozione di modi stilistici pre-novecenteschi, o tradizionali nel senso corrente del termine”.
Uno sperimentalismo, dunque, quello della rivista bolognese, che esclude la rottura completa con la tradizione. Ed è proprio su questo terreno che nasce il rifiuto pasoliniano della Neoavanguardia italiana, col successivo duro scontro col Gruppo 63: “È stato un movimento in completa malafede. Io credevo che all’interno ci fosse qualcuno che perlomeno giocasse con eleganza. E invece no, erano proprio tutti in malafede nel modo più volgare, banale, e offensivo”.
Reinaldo Arenas, che fu amico di Virgilio Pinera (il suo nome ritorna con affetto in quel dolente e nobilissimo congedo dalla vita, che è l’introduzione a Prima che sia notte, recante in calce la data “agosto 1990”) e di José Lezama Lima, a lungo animatori della rivista cubana “Orígines”, già nel romanzo d’esordio, Celestino antes del alba, infrange la linearità cronologica del racconto, accogliendo la lezione della grande narrativa europea di inizio Novecento, converte sovente la prosa in versi e in dialogo teatrale, dilata lo spazio accordato ai sogni e alle visioni, abbonda di metafore e di allegorie polisemiche, senza, però, rinunciare a restituire al lettore la realtà dell’isola – i suoi odori, colori, suoni –, che la memoria personale trasfigura e il drammatico presente fa scadere a una sorta di paradiso perduto.
In Celestino, protagonista del romanzo, non è difficile ritrovare l’autore in carne e ossa, che in una delle pagine iniziali della sua autobiografia, Prima che sia notte, afferma: “Credo che lo splendore della mia infanzia, passata nella miseria più assoluta, come nella più assoluta libertà, sia stato unico”.
3) L’ostilità nei confronti della moderna società dei consumi
New York può catturare inizialmente Federico García Lorca, che vi si reca nel giugno del 1929, può incantare Pier Paolo Pasolini, che la visita per la prima volta nel 1966 e la definisce, nel corso di un’intervista rilasciata a Oriana Fallaci, “una città magica, travolgente, bellissima”, può sorprendere Reinaldo Arenas, che vi arriva nel 1980 e sin dalla prima notte è catturato dalla piacevolissima sensazione di non sentirsi “straniero” in quella città. Ma ciò non esclude affatto la profonda avversione per ciò che New York incarna, vale a dire un modello di vita alienante, ingiusto, violento, crudele, privo di valori morali. La loro scelta di campo, dalla parte degli emarginati, degli umili, dei dissidenti, delle vittime del potere economico e sociale, li induce a odiare il modello capitalistico occidentale, che riduce il mondo, per usare le parole impiegate dallo scrittore cubano a proposito di Miami, a “un mondo di plastica, privo di mistero e pieno di una solitudine terribile, minacciosa”.
4) Il rapporto col potere
Federico García Lorca, repubblicano e schierato politicamente a sinistra, dopo la vittoria, nelle elezioni del 1936, del Fronte Popolare e dopo il passaggio dei legionari di Franco dal Marocco in Spagna, viene arrestato il 16 agosto su ordine del governatore civile Valdés a Granada, a casa del poeta Luis Rosales, condotto alla sede del Gohierno Civil, fucilato all’alba del 19 agosto nei pressi di Fuente Grande.
Pier Paolo Pasolini, che sul finire del 1947 comincia a frequentare la sezione del PCI di San Giovanni, l’anno successivo si iscrive al partito, nel 1949 è espulso, dopo i noto fatti di Ramuscello, una frazione di Cordovado, in Friuli, con l’accusa di “Indegnità morale”, nel corso della sua esistenza è costretto a sottoporsi a trentatré procedimenti giudiziario, i quali, in realtà, altro non solo che le diverse tappe o udienze o fasi di un unico procedimento durato vent’anni, il quale, ha osservato giustamente Stefano Rodotà, possedeva “lo stesso oggetto e finalità: mettere in dubbio la legittimità dell’esistenza di una personalità come Pasolini nella società e nella cultura italiana”.
Reinaldo Arenas inizialmente sostiene la rivoluzione di Fidel Castro, che pare finalmente indicare a lui e a tanti altri giovani “un piano, un progetto, un futuro”. Presto, però, si rende conto che essere omosessuale ed essere scrittore sono divenute due colpe gravissime a Cuba sotto il nuovo regime.
La terribile detenzione nel carcere del Morro, una fortezza che gli spagnoli avevano costruito in anni remoti per difendersi dagli attacchi di corsari e pirati, inframezzata dalla permanenza a Villa Marista, sede centrale della Sicurezza di stato (“Arrivai alla mia cella”, si legge in Prima che sia notte, “la numero 21, e mi fecero entrare, lasciando chiuso lo spioncino che comunicava col corridoio.
Da quel momento, non seppi più se era giorno o notte. La lampadina rimaneva sempre accesa: il gabinetto era un buco”), lo fiaccano nello spirito e nel corpo: “Devo confessare che non mi ripresi mai dall’esperienza del carcere”. Giunto ormai alle soglie dei quarant’anni, la verità della vita, della sua vita, gli appare in tutta la sua drammatica e incontrovertibile evidenza: “La mia infanzia e la mia adolescenza erano trascorse sotto la dittatura di Batista e il resto della mia vita sotto la dittatura ancora più feroce di Fidel Castro; non ero mai stato un essere umano nel vero senso della parola”.
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Ciò che la vita e l’opera di Federico García Lorca, di Pier Paolo Pasolini, di Reinaldo Arenas ci raccontano è che sotto una dittatura come in una democrazia parlamentare il potere è sempre violento, perché tende sempre a sopraffare. Lo scrittore bolognese, in un articolo apparso sul settimanale “Tempo” in data 7 dicembre 1968, riconduce tale insanabile scontro a una motivazione che chiama in causa direttamente l’intima natura di chi il potere lo possiede e lo esercita e di chi il potere lo subisce e lo critica: “chi detiene il potere non pensa ad altro. Mentre chi dissente, ha tante cose, molto più belle o, meglio, meno abbiette e volgari da fare”.
Ciò che Pier Paolo Pasolini omette di dire è che quando a dissentire (“chi dissente”) è lo scrittore, lo scontro non solo è sempre possibile, ma spesso ha un epilogo tragico. Il demone dell’arte, infatti, non è meno potente e totalizzante di quello del potere (“chi detiene il potere non pensa ad altro”).
Chi lo ascolta, finisce col donarsi interamente ad esso, così come chi ricerca e consegue il comando è costretto a trascurare molti altri aspetti della propria esistenza. Di conseguenza, lo scontro tra il primo e il secondo – tra lo scrittore e il politico – è sempre lo scontro tra due vocazioni potentissime ed esclusive, che richiedono entrambe un alto prezzo da pagare per venire portate a compimento, e che rimandano a due ambiti distinti e che parlano due linguaggi profondamente diversi: quello della verità e quello dell’opportunità.
Federico García Lorca, Pier Paolo Pasolini, Reinaldo Arenas hanno incarnato nella forma più alta, nel cuore del Novecento, la bellezza e il rischio di vivere il rapporto con la verità come un vincolo sacro, indissolubile. Mai tradirlo, mai tradire, né sé negli altri. Mai tacere per convenienza, mai parlare per lusingare e celebrare il potente di turno. Nessuna sorpresa, perciò, solo tristezza, nello scoprire che sono usciti tutti e tre sconfitti dallo scontro col potere.
Era inevitabile, perché quello che Reinaldo Arenas scrive per Cuba, vale sempre e ovunque: “Credo che i nostri governanti e gran parte del nostro popolo e la nostra stessa tradizione non abbiano mai sopportato la grandezza e la dissidenza”. È proprio vero, non un potere diverso, ma l’intelligenza è l’opposto del potere.
*FRANCESCO RICCI, Fiorentino, classe 1965, vive a Siena
ove è docente di letteratura italiana e latina, nonché autore di
numerosi saggi di critica letteraria, dedicati in particolare al
Quattrocento (latino e volgare) e al Novecento.
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N0ta della Redazione – Nell’illustrazione d’apertura, ripresa da un articolo pubblicato sul sito www.cattolicanews.it, Socrate si accinge a bere la cicuta, evidenziando come “a generare un cortocircuito tra intellettuali e politica sia stata una progressiva confusione di ruoli, in un percorso iniziato nell’antica Grecia”…
E su tale rapporto, quasi sempre posizionato sul doppio filo tagliente di una lama di spada – sia se nell’ambito del Potere, sia nel versante dell’Opposizione, od anche trasversalmente – sarà opportuno forse proseguire con ulteriori storie e successivi approfondimenti.