Mahsa Amini, Jhina, ” un esempio di vita, la scintilla della rivolta”
Continua l’ondata di proteste contro il regime imposto dal governo iraniano. Dalla morte della ventiduenne curda Mahsa Amini, deceduta il 16 settembre dopo essere stata arrestata a Teheran dalla polizia morale perché non indossava il velo in modo corretto, proseguono ininterrotte le manifestazioni.
Sulla sua morte sono ancora in corso indagini e il presidente Raisi ha chiesto l’apertura di un’inchiesta, come ha dichiarato in sede Onu, dove ha comunque negato un’intervista alla Cnn perché la giornalista Christiane Amanpour non indossava il velo. Raisi ha d’altro canto ordinato alle forze dell’ordine di trattare i manifestanti “con durezza”. Il ministero dell’Interno Ahmad Vahidi continua a negare le responsabilità della polizia mentre attende “il rapporto finale del team medico” che sta eseguendo l’autopsia.
La protesta si è estesa anche oltre i confini del Paese: a Erbil , capoluogo del Kurdistan, ulteriori manifestazioni hanno denunciato la repressione del regime iraniano e diverse donne hanno bruciato il velo islamico sotto gli uffici delle Nazioni Unite. Manifestazioni di giovani iraniani anche a Milano, Bologna, Torino, Berlino e Toronto.
Le manifestazioni vedono da un lato gli oppositori del Governo conservatore che stanno lottando per i diritti civili e dall’altro chi condanna come cospiratori e sacrileghi i sostenitori della fine del velo perché filoamericani. Il Governo accusa i manifestanti di seguire gli Stati Uniti , i Paesi europei e i controrivoluzionari per creare disordine e distruzione.
Le dichiarazioni della televisione di Stato IRIB e della organizzazione non-profit Iran Human Rights (IHR) non concordano sulla portata delle manifestazioni : fonti della polizia parlano di 35 morti in tutto il Paese mentre dall’opposizione di 50 morti e centinaia di feriti e arresti di giornalisti, studenti e attivisti politici. Fanno notizia le restrizioni imposte dal Governo che ha limitato la fruizione di internet rendendo difficile seguire attraverso i social media ciò che accade. Le immagini pubblicate raccontano però di studenti che si radunano per condannare la morte di Mahsa mentre la polizia mira e spara direttamente sui manifestanti; di donne caricate su furgoni, di attivisti arrestati. Tra loro anche la giornalista Nilufar Hamedi che tra le prime aveva dato pubblica notizia dell’arresto di Mahsa e delle violenze subite. L’hastag #OpIranvede più di 4 milioni di tweet postati.
Elon Musk aveva attivato il servizio satellitare Starlink per consentire l’accesso degli iraniani a Internet superando il divieto del Governo, ma è stato messo al bando anche quello.
Dichiarazioni di sostegno alle manifestazioni di protesta espresse sia dalla Casa Bianca attraverso la portavoce Karine Jean–Pierre, che ha sottolineato il diritto alla libertà che le donne hanno di indossare quello che vogliono e sia dal Consiglio europeo, con il presidente Charles Michel, con il suo plauso alla lotta coraggiosa delle donne contro l’oscurantismo. Voci di condanna anche dall’Onu che ha denunciato la “violenta repressione”: Nada Al-Nashif, alto commissario delle Nazioni Unite, ha espresso preoccupazione per la reazione violenta delle forze di sicurezza alle manifestazioni seguite alla morte di Mahsa Amini. Anche il ministero degli Esteri francese ha definito “profondamente scioccante” l’arresto e la morte della ragazza e lo ha condannato insieme alle violenze che ne sono seguite.
Veronica Tulli