A colloquio con Jack Sintini: il valore dello sport e la fragranza della sincerità
UN CAMPIONE DI UMANITÀ VOTATO ALLA SCHIETTEZZA:
IL REQUISITO DECISIVO DELLA LEADERSCHIP
Una conversazione con Massimiliano Serriello
La voglia di buttare il cuore oltre l’ostacolo va spesso di pari passo con quella di vivere e, talvolta anche, di sbalordire. Gli atleti temprati sanno trarre più insegnamento dalle sconfitte ché dalle vittorie. Per anteporre all’infecondo delirio d’onnipotenza il valore della normalità. Jack Sintini (nella foto), durante le spossanti ma indispensabili cure affrontate per sconfiggere l’atroce sarcoma al sistema linfatico, ha sentito la mancanza proprio del tran tran giornaliero, in seno alla famiglia, con la moglie e la figlia, lontano dalle palpitazioni, pur stimolanti, dei campi di gioco.
Pallavolista dal fulgido talento, in grado di orchestrare la manovra con ragguardevole sapienza e servire assist al bacio per gli schiacciatori complici del suo decisivo tempismo, Giacomo, soprannominato Jack, è riuscito a uscire dall’anticamera della morte prematura grazie all’indomabile tenacia frammista all’indispensabile saggezza. L’umiliazione è un’inappellabile condanna, che si perde nel silenzio della vergogna, mentre l’umiltà costituisce una preziosa virtù. Per trarre linfa pure dalle slogature dei sentimenti, dai lunghi momenti d’impasse, dall’altalena degli stati d’animo, quando non si ha percezione, come specificato da Gianluca Vialli in merito all’ardua lotta condotta contro il cancro al pancreas, di come finirà la partita.
Al termine del match-monstre, disputato con lo slancio umano ed esistenziale del combattente di razza, la commozione del redivivo Jack ha caricato lo sport d’imprevedibili significati etici. Con buona pace di chi ritiene che la pallavolo non contempli il fattore sorpresa capace di capovolgere verdetti dati per scontati in partenza. La sua stella, nonostante l’assenso garantitogli per tornare in pista, sembrava ormai tramontata. La sopravvivenza era la cosa più importante. Rientrare nel giro, come riserva della Trentino Volley, significava correre il rischio di esibire prove poco esaltanti rispetto agli anni mirabilis 2005, 2006 e 2010.
L’accordo sfumato con lo Jastrzębski Węgiel guidato dal caparbio coach Lorenzo Bernardi (nella foto), ritenuto dalla FIVB “Miglior giocatore di pallavolo del XX secolo”, la doccia fredda rappresentata dall’orrida diagnosi, la perdita dei capelli e della fascia muscolare da fusto lusinghiero, la spossatezza, l’inesorabile nausea, anziché spingerlo a gettare la spugna, ne hanno cementato la forza di volontà. «Volli, sempre volli, fortissimamente volli».
L’adagio dell’inobliabile Vittorio Alfieri, il maggior scrittore italiano di tragedia, è stato tradotto in pratica per smussare la punta di spina dello sgomento con un tributo di profonda tenerezza. In aggiunta al senso compiuto della massima latina “mens sana in corpore sana”. Al pari del pugile italo-americano impersonato da Sylvester Stallone, alieno alle accattivanti pubblicità fini a se stesse,
Jack Sintini ha sostenuto l’egemonia dello spirito sulla materia. Avvezzo a non demordere, sin dalla fase di allenamento, il palleggiatore romagnolo contraddistinto dalle buone maniere, preferite ai toni roboanti ed elegiaci di certi cronisti avvezzi all’enfasi di circostanza, ha capito che il training del cuore, dei nervi, della tenacia passava anche attraverso gli immancabili alti e bassi. La terapia di supporto in ospedale, quando lo scotto fatalistico della spietata fitta del dolore prendeva il sopravvento sul desiderio di riscatto, alla fine è servita per individuare l’ubicazione su cui fare leva. Trovandola nell’orgoglio, alimentato dall’attaccamento protettivo ai consorzi domestici, per poter procedere poi in linea con le tabelle di marcia, nelle atmosfere vibranti, nelle variazioni di ritmo, nell’impasse, finanche, di scontare qualche pausa. Nei suoi genuini discorsi motivazionali, oggi, l’ex fuoriclasse, per rendere onore al capitale umano, affinché le aziende non perdano mai di vista l’individuo, con lo slancio indirizzato alla massima utilità nelle vesti del principio cardine, batte sullo stesso chiodo. Punta sull’emozione. Vuole che il messaggio venga accolto similmente nelle scuole. Dagli studenti e dalle studentesse che si affacciano al mondo del lavoro, irto di parecchie spine, con la piena cognizione di doversi imporre dinanzi al vaglio critico dell’esistenza.
Ai fini professionali, in cui impera spesso il malcostume delle inique raccomandazioni, conformi al pamphlet grottesco Mi manda Picone di Nanni Loy, col titolo pieno d’acuminato sarcasmo entrato nel linguaggio comune, Jack sostiene fermamente la fragranza della sincerità. La puzza dell’ipocrisia, benché utile agli arrampicatori sociali per dissimulare il termometro dell’istinto a favore degli avanzamenti di carriera, resta una spina nel fianco. Da aggredire a colpi d’ariete.
Impiegati altresì per mutare segno, di fronte ad alcune ripercussioni ingenerose, correre in soccorso dei compagni di squadra ed esporre, al posto del bastone del comando, il frutto dell’esperienza psichica. Certo, ai limiti della sostenibilità. Però in grado di fungere da esempio per tutti coloro che hanno paura della propria ombra, che accampano scuse per giustificare l’onta dell’abbandono volontario, che si lambiccano il cervello, sulla scorta di superflue, se non deleterie, elucubrazioni mentali, invece di metterci l’anima per invertire le tendenze avverse. Non si tratta, ben inteso, di cercare ideali alternativi, giocando l’ultima carta nella flebile speranza di salvarsi per il rotto della cuffia, bensì di acquisire la consapevolezza che ogni medaglia ha il suo rovescio.
E occorre quindi ridurre al minimo gli effetti nefasti, esacerbati dallo scoraggiamento, attingendo all’esperienza. Ognuno ha la propria. Quella di Jack, formatasi nell’alacre studio degli avversari, delle bad e delle best practices, spogliando la capacità di vincere da ogni timbro ipertrofico, conforme ai mitomani che vestono la pelle del leone, per poi divenire pecore nel momento delle difficoltà, attinge il temperamento coriaceo, duro nello scontro ma franco ed equo nell’incontro, al senso profondo connesso a ogni attività agonistica. Per farsi trovare pronto, soprattutto fuori dal contesto ludico. E sostituire tutto quello che c’è d’inautentico nelle pose, nell’esteriorità, nei fuochi fatui del mero consumismo con la vigoria interiore. Necessaria per non piangere calde lacrime, pensando di avere la maledizione addosso, e sentirsi mancare il fiato per i tiri mancini del destino. Il carattere giocondo e orgoglioso aiuta a passare per la cruna dell’ago ed entrare nel regno dei cieli. Ognuno deve metterci del suo. A Dio piacendo.
***** ***** *****
1). D / La tua straordinaria vicenda ha ispirato Gianluca Vialli nella stesura del libro “98 storie + 1 per vincere le sfide più difficili”. Sei contento di godere della stima di un uomo così carismatico e cosa pensi dell’aforisma che ha scelto per introdurre il capitolo dedicato alla tua odissea a lieto fine (When Life Hits, Loser Says: Why Me? Winner Says: Try Me!) ?
R / Intanto ci tengo a ringraziarlo. Perché l’ho sempre apprezzato. Proprio per il suo carattere, come sottolinei tu, educatissimo fuori dal campo e da combattente di razza sia nel gioco del calcio ché, soprattutto, nella vita. Non abbiamo mai avuto modo d’incontrarci di persona, ma spero di averne presto l’opportunità per manifestargli la mia stima con un confronto all’insegna della sincerità. Per come abbiamo affrontato la lotta contro il tumore. In merito alla premessa, per essere appunto del tutto sincero, la condivido con tutta l’umiltà ivi connessa. Non con l’arroganza che qualcuno superficialmente può scorgervi.
Essere vincenti non significa trionfare sempre, bensì affrontare ogni circostanza – anche quella più proibitiva – a testa alta. Stando dentro il problema. Invece di scappare o prendersela con qualcuno a cui addossare le colpe. Prendere coscienza che occorre portarsi in spalla il fardello piovutoci addosso come un meteorite vuol dire essere un vincente a tutte le età e a tutti i livelli. È l’essenza del campione vero. La sua caratteristica principale. Qualcosa che non ha niente a ché vedere con le medaglie da sfoggiare. Ma attiene all’atteggiamento con cui si affrontano i vari momenti della vita. Tanto quelli belli quanto quelli brutti.
2). D / Vialli (nella foto) ha scritto qualcosa di molto simile. Sostenendo che la vita è fatta al 90 % dal modo in cui affrontiamo quello che ci capita, nel bene e nel male, ed al 10 % dalle cose che ci succedono.
R / È un onore condividere il suo pensiero e il modo di affrontare le difficoltà.
3). D / È certamente una persona che dice quello pensa e fa quello che dice. Ritieni che la pallavolo come sport portatore di valori fondamentali, per fronteggiare situazioni oltremodo ostiche pure fuori dal contesto ludico, abbia bisogno di giornalisti in grado di allargare la cerchia degli appassionati?
R / Penso, come sostieni tu, che, al posto delle disquisizioni sulla tecnica, la capacità di anteporvi l’umanizzazione sia molto importante. Specie per quanto riguarda i cosiddetti sport minori. È la vicenda umana ad appassionare in questi casi. Mi riferisco, in particolare, nel mondo del ciclismo, a Pantani e ad Armstrong. Nonostante la sua caduta rovinosa, relativa all’uso di sostanze dopanti, ritengo Lance Armstrong (nella foto) un uomo ricco di umanità. Nei suoi pregi, nei suoi difetti, nella forza d’animo dimostrata lottando contro il cancro. Anche adesso è lì, che cerca di rimettersi in piedi. Senza pagare dazio allo sconforto. La forza trascinatrice delle Olimpiadi pure non risiede nell’esecuzione della tecnica, ma nell’empatia trasmessa da personaggi come Alberto Tomba, in passato, o, in tempi più recenti, da Federica Pellegrini.
Non ci siamo affezionati tanto agli slalom sugli sci o allo stile libero, bensì alla loro carica di umanità. Condividendone le delusioni, le attese spossanti, le gioie. Che arrivavano, quest’ultime, come una liberazione.
4). D / Occupandoci per un attimo della tecnica, in merito al ruolo del palleggiatore, conta più avere la mente lucida, nelle fasi topiche del match, in virtù delle idonee capacità tattiche, o creare tensione quando sopravviene nella squadra un’inopportuna, se non deleteria, rilassatezza?
R / Parliamo del cuore e del cervello. Sono fondamentali entrambi. Se manca il cuore, a certi livelli non ci si arriva nemmeno. Per restarci, poi, occorre lucidità. Perché quando un palleggiatore orchestra il gioco, il resto della squadra ripone fiducia nella sua capacità di servire i compagni al momento giusto. Al di là delle virtù tecniche, in quei frangenti a fare la differenza sono le scelte compiute con tempismo e assennatezza. Un conto è vedere con chiarezza la linea di passaggio; un altro è la corretta esecuzione – dopo averla vista – determinata dalla prontezza della scelta fatta a tal fine.
Le persone, per quanto concerne il discorso sulla leadership, seguono un compagno particolarmente carismatico quando questi è coerente con sé stesso. Prima hai posto l’accento sul fatto che Vialli dice quello che pensa e fa quello che dice. Quelli che ci hanno giocato assieme, nella stessa squadra, lo sapevano ed erano quindi disposti ad accettare le sue sfuriate per non perdere la concentrazione e dare quel qualcosa in più per vincere le partite.
5). D / Quindi le strigliate divengono un prezioso valore aggiunto quando chi “cazzia” ha davvero il cuore del capociurma, altrimenti suona falso e l’incantesimo si rompe?
R / Nella maniera più assoluta, Massimiliano. Tutti noi abbiamo un gran fiuto per riconoscere le falsità di chi si vende per quello che non è. Vialli invece era il tipo che si prendeva realmente le responsabilità, che non arretrava, che spingeva gli altri compagni a dare il massimo. Faceva parte della sua indole.
6). D / Non ci piove, Jack. In certe partite Vialli rifiutò persino di festeggiare un gol perché non voleva che subentrasse l’appagamento nel gruppo.
R / Ed è proprio quello che intendo rimarcare. Faceva parte del suo modo di essere, quello di non accontentarsi, di non adagiarsi sugli allori. Che ha voluto e saputo trasmettere alla squadra. In virtù della sua affidabilità. I suoi compagni sapevano che ci potevano contare. Stessa cosa per Pirlo (nella foto). A cui magari, visto che non è mai stato molto loquace, bastava un’occhiataccia per farsi capire.
7). D / Pirlo ai silenzi eloquenti riusciva ad appaiare grandi gesti tecnici, come il cucchiaio nella lotteria dei rigori contro la nazionale inglese, con i britannici in vantaggio, per far abbassare la cresta agli avversari e caricare il gruppo. Sono momenti unici. Un altro, credo fondamentale, che riguarda la tua vita è stato quando ti hanno dato la certificazione di idoneità alla pratica sportiva agonistica al termine del ciclo di cure. Visto dal di fuori ricorda quando Rocky, seppur attempato, ottiene dalla commissione medica pugilistica americana l’idoneità fisica per combattere appellandosi al diritto alla felicità contemplato dalla costituzione. Credi che un messaggio filmato connesso alle imprese sportive possa rendere più onore agli atleti e alle palpitazioni del pubblico?
R / No. Almeno non più delle interviste dei bravi giornalisti come te o dei libri scritti su questi argomenti con competenza ed entusiasmo. Dipende molto dalla percezione e dalla sensibilità dei fruitori. Rocky (nella foto) è un personaggio assolutamente empatico. Un mito del grande schermo. Che indubbiamente tocca le corde del pubblico e diventa subito estremamente familiare. Ma anche un libro, come quello scritto da Vialli, arriva al cuore delle persone ponendo l’accento su dei momenti, dello sport e della vita, particolarmente significativi.
A fare la differenza, torno a ripetere, è il senso profondo di verità legato a determinate vicende degne di essere raccontate con trasporto. Lì è compito dello scrittore, che redige un’autobiografia, come nel mio caso con il libro “Forza e coraggio”, oppure del giornalista, entrare in empatia con i destinatari. In quel caso scatta il processo d’identificazione di chi legge perché si sente la forza assoluta e trascinante della verità.
8). D / La verità ha una sua originale fragranza. La stessa che era percepibile nell’aria il 12 maggio 2013 quando, dopo l’infortunio del palleggiatore titolare Raphael de Oliveira, trascinasti la Trentino Volley alla conquista del terzo scudetto nella finale playoff che t’incoronò MVP del match. È l’eccezione che conferma la regola o l’imprevedibilità può invertire meste tendenze in un campo di pallavolo e nella vita?
R /Mi piacerebbe risponderti che è la regola. Ma è un’eccezione. Parliamo di una di quelle occasioni che capitano, se si è fortunati, una sola volta nella vita. Sinceramente, prima della partita, quasi non mi sembrava vero poter avere un’occasione del genere. Ero già contento, in virtù della lotta sostenuta combattendo per la vita, di aver ottenuto la certificazione d’idoneità ed essere una riserva.
Per respirare quell’atmosfera particolare, magica, quando un atleta è caricato come una molla, perché si trova a un passo dal traguardo agognato. Per chi ha sofferto, sudato, buttato il cuore oltre l’ostacolo.
Mi ero allenato con impegno costante ed estremo per tutto l’anno, i miei compagni pure possedevano delle doti tecnico-tattiche di notevole spessore e l’approccio alla partita della verità fu ineccepibile. Con le motivazioni a mille, creò una concatenazione di fattori decisivi fuori del comune.
9). D / Ribaltare spaventosi pronostici, quando si lotta contro il male, non crea solo un appeal unico, ma dà l’acqua della vita alla speranza. Cosa bisogna fare, in termini pratici, per continuare ad alimentarla?
R /Bisogna raccontare. Condividere. È finito il tempo in cui si tiene tutto dentro rimuovendo la paura agghiacciante provata in frangenti così particolari. Persone come te, giornalisti sensibili sull’argomento, decisi a divulgare con coscienza e professionalità i momenti topici degli atleti colpiti dal tumore, che sono riusciti a sconfiggere questo male atroce, possono dare una mano importante in proposito.
La raccolta fondi pure conta. Ma è la capacità di condivisione che sensibilizza la gente. Ci sono persone che devono guardare negli occhi questo terribile nemico, rappresentato dalla malattia, senza essere mai balzati agli onori della cronaca sportiva. Gli scrittori e i giornalisti che aiutano persone come Vialli e il sottoscritto nei gesti di solidarietà concreti ed effettivi nei confronti di chi conduce la battaglia per la sopravvivenza, contro il tumore, sono quelli che, anziché innalzarci al rango anche imbarazzante di eroi, mettono in luce determinate qualità umane. Affinché gli altri possano identificarsi. Così il messaggio di speranza arriva a destinazione. Raccontare gli sforzi, le fatiche, le ansie aiuta ad avvicinare chi soffre. Invece di creare inutili distanze. Il nostro dovere è dare voce alle persone che soffrono, che hanno passato quello che abbiamo passato noi, o anche peggio, pure nel momento del ritorno alla vita. Che nel loro caso non avviene sotto le luci dei riflettori e con l’interesse dei media.
10). D / Ho scritto un articolo sul diritto all’amore dei pazienti oncologici sulla base dell’esperienza vissuta in prima persona da una psicologa certo non affermata. Almeno per adesso. C’è anche una persona, Riccardo, il marito di una mia cara amica, Tiziana, che sta combattendo questa battaglia, cui ho regalato il libro di Vialli.
R / Salutameli tanto. Dagli un grande abbraccio da parte mia. E regalagli anche il mio libro.
11). D / Non mancherò di farlo. Quando hai deciso di tornare a giocare, dopo aver seguito i vari passi della terapia, la forza di volontà è servita a sopperire a un calo, comunque inevitabile, dal punto di vista fisico?
R / La forza di volontà è fondamentale. Ci sono tante componenti che servono ad affrontare i momenti difficili. Bisogna affidarsi alla competenza dello staff sanitario, ai medici e alle medicine. Insieme agli affetti più intimi, rappresentati dalla famiglia e dagli amici veri, formano una squadra intenta ad aiutarti a uscire fuori dall’incubo di soccombere agli eventi negativi. Ci sono dei giorni che sei tu a spingere ed essere d’esempio, dei giorni in cui sono gli altri a sostenerti, per non cedere di un passo, dei giorni che non tira nessuno in avanti e semplicemente si tiene il punto. Anche soffrendo, certo. La condivisione dell’obiettivo, al pari del bisogno di restare partecipi, costituisce la chiave per proseguire con convinzione in un percorso tutt’altro ché semplice. Nello sport bisogna conoscere vita, morte e miracoli del proprio avversario. Per non dargli mai vantaggi. Di cui, per altro, non ha bisogno. Perché è già abbastanza forte per conto suo. Partendo da questo presupposto, mi sono informato sulla malattia confrontandomi con gli esperti in materia. Non affermo, ovviamente, che l’esperienza degli atleti, abituati a studiare l’avversario, e quindi, in un certo senso, a conoscere il nemico, sia l’unico modo per trovare il bandolo della matassa in contesti così difficili ed estremi.
La volontà implica la capacità di accettare i momenti di difficoltà, anche quando appaiono insopportabili, senza avvertirne affatto la vergogna. Occorre stare sul pezzo, accettare i limiti, relativamente alle cose che non si possono controllare, ed essere, viceversa, bravi in quelle di cui si ha il controllo. Se la malattia non risponde nel modo sperato alla medicina e alle cure, la volontà da sola può ben poco. Ci vuole, quindi, pure un po’ di fortuna. Che non guasta mai. Anzi. La si può chiamare destino, fato, Dea bendata. Comunque è necessaria.
12). D / Lo spirito, anche di abnegazione, può prevalere sulla materia ed ergo indicare la strada da seguire?
R / Noi non ci rendiamo conto fino in fondo della forza di volontà che si va a cementare nei momenti d’estrema emergenza. Diveniamo delle rocce. A livello di testa e perciò pure nello spirito. Chi più, chi meno. L’amore rappresenta una spinta decisiva a non mollare mai. Quando, nella fase più difficile della malattia, avevo perso tanti chili, vomitavo con frequenza, ero diventato inappetente, le giornate sembravano infinite. Non vedevo quanto avrei voluto mia moglie e mia figlia. Sembrava che la vita fuori andasse avanti inesorabilmente lasciandomi indietro. Lo scoraggiamento in quei casi prendeva il sopravvento spingendomi a buttare tutto per aria. Per me stesso quello rappresentava il limite massimo oltre il quale non potevo fare più nemmeno un passo. Se non ci fosse stato l’amore, per mia moglie, per mia figlia, non sarei riuscito realmente ad andare avanti. Sono loro che mi hanno spinto a tenere duro. Ho capito che non potevo farlo solo per me stesso. Mi sono detto: vada come vada, ma devo continuare a lottare. Senza concedere vantaggi al nemico che mi stava assalendo.
Quando si lotta per qualcuno che si ama, si è molto più forti di quando si lotta per sé stessi. Siamo, alla fin fine, animali razionali. E perciò vogliamo stare con le persone che ci circondano. L’amore può essere riposto anche in una professione. Pure quella può diventare, a pieno titolo, una ragione di vita. Se ci pensiamo bene, sono sempre le emozioni che ci spingono a lottare. Non si è certo attaccati alla vita per il conto in banca o per la casa al mare. E quindi hai ragione: lo spirito conta più della materia.
MASSIMILIANO SERRIELLO