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A colloquio con Pia Lanciotti sull’armonia recitativa ed esistenziale

FORMA ED ELEGANZA D’UNA ATTRICE RICCA DI CONTENUTI

Una conversazione con Massimiliano Serriello

La mia miglior amica Mariapia una volta ha detto: i fatti della pentola li sa il coperchio. Viviamo un momento storico a dir poco drammatico per la comunicazione. Specie quella che va dritta al punto. I problemi del benessere, già deprecabili in tempo di pace, sono divenuti un lusso. Ed ergo il peggior dispendio di energia catartica possibile e immaginabile. Ingenerare aspettative salvifiche in un simile scenario, in cui sotto i furgoni della morte ci vanno le creature ucraine e a fargli coniugare la vita all’imperfetto sono degli imberbi leoncini per agnelli tonici, che per uno scopo a parer loro superiore si qualificano in modo definitivamente inferiore, non merita né parole né parolacce. Pure il famoso «Quanno ce vo, ce vo» bisogna meritarselo. Al pari delle sane tirate d’orecchie. L’eleganza resta però una benedizione. Ben inteso l’eleganza che non paga dazio alla ricerca delle lusinghe incastrate in pose vanitose. Pia Lanciotti è un’attrice elegante. Aliena alle tristemente note pose adulatorie. Va per le spicce per un verso e dedica sempre un istante in più – rispetto al tabellino di marcia stabilito sulla scorta del diktat dei tempi stretti – ad accogliere, come un cadeau, il frutto fragrante della saggezza di stampo popolaresco. Sulle tavole palcoscenico non c’è spazio per l’egemonia di stampo materialista: la forma resta pur sempre la forma; il contenuto, piegato a mera scusante piuttosto nauseante, non può e non deve regnare sovrano. 

Lo spirito che anima l’elegante ed erudita Pia è di sopportazione quando magari incrocia gli alfieri della materia? Lungi dal soffermarmi sull’abc del bon ton e sulla necessità di fare pace col cervello da parte di chi senza volerlo (ahilui) conferma il pensiero dell’amico e maestro Alessandro Benini sul redivivo Maramaldo che spara sulla croce rossa, per via dell’inqualificabile esempio dei leoni da tastiera (l’autentica antitesi dei leoni per agnelli portati sul grande schermo dall’intramontabile ed eclettico Robert Redford), ho sentito la Signora Pia poco prima delle 08 00. Ci siamo dati appuntamento poco dopo. La Signora ha la capacità di tirar fuori dal sottoscritto i celebri migliori angeli dell’indole umana cari ad Abramo Lincoln; innesca quando recita quella che Rostand – un uomo di lettere elegante ed estraneo quindi a qualsivoglia persona timorosa a ben guardare della propria anima e a chi è preda di guasconi, armigeri di cappa, poesia e spada – definisce la sovrumana bellezza delle lacrime. Amare il teatro, il suo odore, sciorinato dal Principe Antonio de Curtis in arte Totò, il mix d’inconscio ed ermetica ma carezzevole folgorazione insita nell’arte della recitazione manda a carte quarantotto qualunque vaneggiamento sofistico sull’arte della guerra. Per farla breve: l’aforisma latino Carmina non dant panem tralignato in La cultura nun se magna dai seguaci dell’enfasi vernacolare, provvisti forse di licenza elementare, è una questione di lana caprina. Una vera Signora fa un uso discreto della verità nuda e cruda. Anche se non soprattutto quando recita. Siamo sempre là: i fatti della pentola li sa il coperchio. Il minimo che può fare un giornalista allergico alle ipocrite attestazioni di stima ma realmente ammirato dalla coraggiosa sincerità congiunta alla recitazione – senza pagare dazio all’accezione di finzione, con buona pace della rima casuale – è limitarsi ad approfondire con un minimo di garbo che merita ogni persona umile lontana anni luce dall’umiliare il prossimo e dall’immolarsi per accrescere l’autostima di chi ne ha poca: non si tendono calappi alla sincerità.  

Pia non pratica la sincerità: è sincera. Ed è pure misteriosa. Finanche curiosa. Delle cose che non sa e vuole sapere. Delle cose che non ha visto e vuole vedere. Perché conosce il senso del limite, ha orrore della guerra, non condanna nessuno. Adora la fiducia. Ed è per questo che vuole conoscere e capire chi dice cose prive di senso compiuto. Ben inteso si tiene distante dalle parole vuote. Tuttavia non cerca nelle parole piene il consenso. L’approvazione incondizionata è quanto di più distante dal suo modus vivendi. Il modus operandi contempla l’educazione. Qualcosa di profondo. Ma non di ermetico. Non serve il genio della lampada per gestire il lavoro degli interpreti, che non hanno età (la battuta princìpe del film tv Mi permette Alberto Sordi?), per non pagare dazio a circoli viziosi chiari come l’acqua, per comprendere come le esplosioni di bolle collegate all’inutile ed empio tornado d’immane fuoco e fraterno sangue è roba autentica. Tutt’altro che genuina: è un insulto alla Vita. Ma non è Beautiful. È una cosa bruttissima. Non è una soap ed ergo non evapora alla stregua d’una bolla di sapone. I seminatori di morte che non reagiscono, bensì aggrediscono, non meritano nulla. Nemmeno la reazione. Sono destinati ad annullarsi a vicenda. La cosa bella d’un’attrice evoluta è che guarda senza filtri a quello che alla fin fine è la realtà nuda e cruda. Senza temerla nemmeno per un nano secondo. Ci siamo detti tante cose con la signora Pia. Ho rischiato spesso l’accumulo. Facendo davvero fatica a contenere il fiume in piena di associazione d’idee ed emozioni innescata da un cervello dinamico ed estremamente garbato. Il galateo non è un freno inibitore per lei. Se lo fosse vorrebbe dire che sta recitando. La signora Pia recita a teatro, in televisione. Se recitasse maggiormente al cinema avremmo un’attrice in più, e ce ne sono assai poche (le dite di una mano risultano troppe), in grado di arrossire. Ovviamente Pia non è Meryl Streep. Né pretende di esserlo. Ciò detto Pia ammira profondamente, sinceramente e, mi permetto d’aggiungere, liberamente Meryl Streep. Nessuno la costringe ad ammirarne la psicotecnica. L’ammirazione incondizionata richiede troppo tempo. E chi dorme non prende pesci. Pia non è Sampei. Non è Meryl Streep ed Eleonora Duse. È se stessa. Ed è su se stessa che ha lavorato, sulla scorta della naturalezza e dell’esperienza, che non sempre procedono appaiate, per impersonare Andreina Pagnani (nella foto). La voce di Bette Davis nei film consegnati alla storia del cinema. La moglie dell’inimitabile, spassoso e unico Totò nel film Il comandante. L’unica donna che Alberto Sordi abbia mai amato.  

Tanta roba dunque. Ovviamente lo scritto è frutto del lavoro di sottrazione. L’importante è non essersi curati del superfluo. Lo spirito di Pia è realisticamente evoluto. Basta parlarne per percepirne l’anima. E con essa l’ordine naturale delle cose. Il Polo di Verità rispetto a quello opposto di finzione. Forse i seminatori di Verità non calpestano a ogni piè sospinto le tavole del palcoscenico. Non patiscono – come auspicava l’infinito Principe Antonio de Curtis in arte Totò – di piacere. Nondimeno neutralizzano comunque, nella durata di attimi preziosi quando non infiniti, l’orrore. Pia a teatro ha dato il meglio di sé come attrice e come donna tosta ma profondamente serena e comprensiva. Con l’Arlecchino schiavo di due padroni di un certo Strehler è arrivata in Sudamerica. Mica dietro l’angolo. Nel piccolo schermo si è cimentata recitando dapprincipio in Virginia la monaca di Monza con il regista della serie di Montalbano dietro la macchina da presa. Ed è arrivata nelle case degli italiani. Come intendeva fare il Dentone impersonato da Alberto Sordi nella commedia all’italiana a episodi I complessi. Dimostrando che, sotto sotto, l’umana imperfezione, una volta accettata, è una resilienza. E se i complessi rimarranno per sempre ad appannaggio di quelli che sbarrano la strada al talento sul pezzo delle anime pure ed esperte provviste pure di santa pazienza, beh amen. Nel buio della sala gli spettatori cinematografici che non temono i dispendi di sforzo ne hanno notato la versatilità nel ruolo di  Lulù nell’opera prima dal titolo dicotomico ed emblematico: L’estate d’inverno.  Sono molti gli argomenti che abbiamo toccato, certe volte sfiorato, altre affrontato, in una chiacchierata certo diversa dalle conversazioni fredde. Dritte allo scopo. Sostanzialmente menzognere. In cui un giornalista vuole una cosa dall’interprete e l’interprete idem al contrario dal giornalista. Chiacchierare sull’onda dell’onestà che di norma anima la sfera affettiva della condivisione allergica al do ut des con una sconosciuta conosciuta meglio sul piccolo schermo, tramite l’esordio stampa sul grande, equivale a giocare. E Vittorio Gassman, non uno qualsiasi, aveva un’idea precisa al riguardo. Condivisa oltre che citata sulle ali dell’accattivante cultura postmoderna, che esula dalle ciance sostanzialmente vuote: «L’inglese “to play”, il tedesco “spielen” e il russo “igrat” hanno il duplice valore di recitare e giocare. In questo senso non c’è attrice più pura della bambina che gioca con la bambola. La veste, la pettina, ricrea intorno a sua figlia finta una favola perenne».

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1). D / Cara Pia i problemi del benessere imperano pure con la guerra e il prezzo della benzina spinge pure gli sprovveduti a prendere provvedimenti. Conosci e pratichi l’arte della recitazione. Sei quindi saggia. Il mondo è in crisi pure per chi ha sia l’arte che la parte. Ed è un inferno per chi ha l’arte ma non la parte. Quanto è difficile la condivisione del pathos altrui che innesca il teatro?
R / Nella vita di tutti i giorni difficilmente si entra nei panni dell’altro, gentile Massimiliano. Sembra una risposta banale. Me ne rendo conto. Quando una persona mi fa male e non era sua intenzione, assolutamente, però provoca un dolore, penso sempre a cosa ha risvegliato. E a cosa io ho proiettato fuori perché arrivasse quel dolore dentro. Io vivo così. Anche se, perdona l’espressione, prendo una tranvata in testa mi pongo delle domande. Cerco di capire. La condivisione del pathos innescata sul palco a teatro mentre noi interpreti recitiamo cercando di coinvolgere il pubblico mette in moto nella vita meccanismi profondi come sai. Ogni persona che fa teatro innesca il proprio meccanismo nella vita lontano dal palcoscenico. Ed è profondamente vero ciò che sostieni in merito all’arte e alla parte. 

2). D / È il cavallo di battaglia di mio Padre. Un galantuomo. Lungi da me trasformarlo in un cavallo di Troia. Mai con te: sei una Signora. Non si può piacere tutti. È un fatto di armonia e disarmonia?
R / Hai colto nel segno: esistono attori e attrici che ci piacciono più o meno di altri e altre; gli interpreti sono artisti che comunicano alle persone. Le quali reagiscono secondo la loro emotività e la cultura che hanno immagazzinato strada facendo. Anche nei momenti della vita ci sono degli artisti che ci risuonano più o meno.  La Verità è che ognuno porta qualcosa. Ognuno risuona e risponde a qualcosa di noi. Hai visto molte più cose di me e le sai analizzare benissimo: è il tuo lavoro. Io da spettatrice e da attrice la vedo così.

3). D / Uno dei pochi film che per me rimane indecifrabile è uno bello ma semplice: Balla coi lupi. Per certi versi mi entusiasma, sotto altri aspetti lo trovo ovvio; mi piacciono più i lupi delle aquile. Ovviamente il film tv Permette? Alberto Sordi è poca cosa rispetto a Balla coi lupi. Ma gli interpreti recitano tutti bene. Tu e Alberto Paradossi nel ruolo di Federico Fellini raggiungete l’acme di Kevin Costner e Mary McDonnell in Balla coi lupi. È tutto percettivo o impressionismo soggettivo?
R / La realtà è percettiva, Massimiliano. Lo stesso evento viene vissuto in maniera diversa da due persone. Ci sono persone che durante il primo lockdown hanno vissuto una luna di miele. Persone che hanno vissuto un incubo. E oggi vivono con la guerra il peggior incubo che esiste sulla faccia della terra. La gratificazione per aver fatto bene il proprio lavoro, in maniera scevra dall’ingannevole adulazione doppiogiochista, è come un sogno. L’antidoto all’incubo. Ti ringrazio quindi per il complimento. Che sento molto vero. Indi per cui, meritato o no, lo accetto con piacere e, come si dice, lo porto a casa.  

3). D / L’accettazione di questi tempi secondo il tuo parere è una iattura per molta gente evoluta o meno evoluta?
R / Mi piace molto questa domanda. Guarda io penso che ognuno ha scritto la sua storia con il proprio sangue. So che è una cosa forte da dire. Ma la penso in questo modo. È chiaro che ci sono persone evolute e altre meno. Per quanto riguarda invece chi ha vissuto l’inferno a cui facciamo riferimento è impossibile stabilire torti e ragioni. Ognuno ha vissuto la propria esperienza. Certamente accettarsi è fondamentale. Significa mostrarsi nudi. Senza armi. Senza dire sciocchezze per impressionare il prossimo o per piacere. 

4). D / Il più delle volte chi non si accetta ed è aggressivo con gli altri ha paura di se stesso. Trilussa non aveva paura di se stesso. I veri poeti sono dei leader: levano la paura. Un attore regista che dietro la macchina da presa fa poesia è Robert Redford. In Leoni per agnelli recita pure. È una classe di ferro la sua? R / Quella generazione è straordinaria. I suoi spiriti guida portano i due secchi collocandosi nel mezzo. Dialogare con il nostro passato è fondamentale per sviluppare il senso critico: la verità fatta passare attraverso il prisma te la mostra in maniera diversa. Illuminante. Gli esponenti di quella classe che hai giustamente definito di ferro sono straordinari: mettono tanta forza nei film che fanno e nelle storie in grado d’insegnare molte cose. Quelle che ci fanno crescere. 

5). D / Crescere significa anche trarre partito sia dall’università canonica sia quella della strada, che insegna molto. Un mio amico in possesso della saggezza popolare che fa difetto a chi si crede al di sopra del volgo sostiene che in mezzo a un gregge di pecore si può nascondere un cane pastore. È segno di maturità accettare le ritorsioni intellettuali pur di dire, o ribadire, la propria senza unirsi al coro del gregge?
R / Il coraggio di non allinearsi merita rispetto. La serenità d’animo è fondamentale. Gli addetti al lavori con compiti diversi tra loro devono comunicare in modo sereno e utile. Senza stare sulla difensiva. Credo che il timore di subire ritorsioni intellettuali sia l’eco di un timore antico. Laddove siamo allenati a comunicare ed esprimerci quindi con limpidezza e onestà, senza un giudizio nascosto, tutto dovrebbe maturare riconoscendo il merito della trasparenza all’interlocutore. Nella migliore delle ipotesi può persino scattare la molla della gratitudine per aver messo in luce qualche spazio buio. Non è facile ma allenarsi a un “non giudizio” anche solo pensato che conduce a separazioni inutili. A me piace rispondere alle domande sul mio lavoro… Intercettare un giudizio malevolo o un compiacimento sbrodolato di citazioni nell’interlocutore può irritare. Però la curiosità esiste veramente nelle domande e nelle risposte. Anche un bradipo che abita su Marte può con una domanda o con una risposta incuriosire o soddisfare l’interlocutore. Impartendo in tal modo anche lezioni preziose.

6). D / A volte gli interpreti sentono il peso della responsabilità. Altre prevale la levità. Tu ed Edoardo Pesce nel ruolo di Albertone avete lavorato sui vostri personaggi rievocando luoghi storici che danno l’acqua della vita alla geografia emozionale. È stato emozionante?
R / Ho capito bene cosa intendi. Spero di non deluderti se rispondo che il più delle volte ha prevalso la leggerezza. Ed è stato un bene. Perché per quanto mi riguarda ritengo Andreina Pagnani un personaggio unico e una persona fantastica. Tutta da scoprire. Se sono riuscita a creare un po’ di curiosità sulla signora Pagnani e al suo rapporto con Alberto Sordi chiaramente ne sono felicissima. Ci mancherebbe altro! Il lavoro umano che porta alla leggerezza nella fase ex ante è invece duro e complicato. Svegliarsi e sorridere al mondo è un’arte. Specie nel mondo in cui viviamo oggigiorno. La levità è un punto d’arrivo. E quando si arriva alla meta l’emozione sana ed empatica agisce in maniera naturale. Spontanea. 

7). D / La spontaneità in tal caso è attivata da un legittimo appagamento che però non spinge gli interpreti ad attenuare la concentrazione. Anzi, avviene il contrario. Prima dell’attenzione nella recitazione conta il rispetto. Va rispettata prima d’interpretarla l’unicità del personaggio e della persona in cui identificarsi?
R / Credo che rispettare l’unicità del prossimo sia fondamentale nella Vita. Ogni individuo nasce con una Dignità che non va calpestata. Se ciò avviene l’individuo signorile fa capire a chi non ne rispetta la Dignità che ciò non deve più ripetersi. Che il rispetto reciproco rientra nell’ordine delle cose. Che questo ordine non dovrebbe essere spiegato. Avviene tutto in modo istintivo. Solo partendo dal rispetto dell’unicità nella Vita gli interpreti possono cogliere le sfaccettature delle persone e dei personaggi legati al concetto d’incomparabilità. Non è una faccenda semplice. All’inizio può risultare pesante. Ma alla fine, stiamo sempre là, può e deve divenire leggera.

8). D / Levità fa rima con unicità?
R / La rima ci sta. E anche l’affinità. 

9). D / Tra gli spettacoli teatrali più riusciti in cui hai partecipato nelle vesti di attrice poliedrica c’è uno al quale sei più affezionata?
R / Massimiliano, senz’alcun dubbio Demoni diretto da Peter Stein.

10). D / Lo spirito di Fëdor Dostoevskij (nella foto) aleggiava sul palco?
R / Naturalmente. Dietro Demoni c’è il genio d’un Autore russo con la “A” maiuscola. 

11). D / Che non c’entra niente con i giudici delle riunioni condominiali di fantozziana memoria che fanno di tutta l’erba un fascio. La durata dello spettacolo rievoca tuttavia il tempo infinito dei film d’autore cari al Professor Guidobaldo Maria Riccardelli. L’antidoto alla noia di piombo che può sopraggiungere è l’entusiasmo?
R / Certamente. Chiaramente nell’accezione in cui l’entusiasmo è sinonimo di sacro fuoco della regìa e della recitazione. Che spinge gli interpreti ad andare oltre i propri limiti aiutando il regista a sostenere le undici ora di durata con la professionalità. Con Demoni abbiamo girato il mondo; siamo andati anche a New York. Dimostrando di essere dei professionisti consapevoli di dover dare il meglio di noi stessi per conferire all’allestimento scenico e allo spettacolo che ne consegue la forza significante del testo originario. Al quale Stein ha garantito una sua visione personale ed estremamente colta. Fatta di contrasti chiaroscurali predisposti ad hoc sulla scorta d’un lavoro di squadra alieno ai calcoli professionali autoreferenziali. L’entusiasmo sano nasce dalla consapevolezza del compito che viene assegnato nell’ambito del lavoro di squadra. Il personaggio che ho interpretato, la Matta di Dio, mi ha coinvolto profondamente. È stata una bella sfida interpretare quel ruolo.

12). D / Nel rispetto dei ruoli quella parte, rafforzata dal lavoro di squadra, ha permesso all’arte della recitazione di raggiungere un’intensità diversa da solito fungendo da pungolo ai successivi progressi con Riccardo III ed Elettra?
R / Non spetta a me dirlo chiaro e tendo. Però penso che sia una parte che mi ha fatto crescere come attrice. Le creazioni artistiche come Demoni rappresentano una sfida importante. Che la squadra, formata dal regista, gli interpreti, gli scenografi, i costumisti e tutte le maestranze, raccoglie con concentrazione e la giusta dose di entusiasmo. 

13). D / L’Ubi Maior Minor Cessat qual è quando interpreti un personaggio che impegna la memoria emotiva e il talento di calarsi nei panni di una persona così ermetica ed emblematica?
R / È la verticalità. Una persona matta non è decelebrata. È una persona, invece, che ha una connessione profonda con Dio. 

14). D / Per  te affrontare un personaggio di Dostoevskij o anche di Anton Čechov (nella foto) vuol dire eludere il giudizio superficiale sulla persona che interpreti e andare in profondità?
R / L’interprete non compie mai scorciatoie per connettersi alla verità interiore del personaggio che gli viene assegnato. Come attrice traggo partito dalle ombre e dalle luci. Sia create ad arte dal registe. Sia connesse alla persona come la sorella zoppa e picchiatella dell’alcolizzato Ignat. 

15). D / Quando reciti trai linfa dagli insegnamenti ricevuti dall’infanzia dai genitori, i primi maestri, e dai guru dell’età verde?
R / Senz’alcun dubbio. I genitori sono davvero i primi maestri. Nell’età verde ho imparato che quando si giudica con superficialità una persona e si punta il dito, un altro dito è puntato contro chi scaglia la prima pietra. La fratellanza rimane secondo i precetti ricevuti quand’ero piccolina il punto di partenza per andare in profondità. Quando si recita è fondamentale.

16). D / Anche perché così facendo si scongiurano le leziosaggini. Le lezioni insegnano a evitare le scorciatoie superficiali. La sostanza è la chiave di volta quando le esperienze specifiche si vanno ad amalgamare con il lascito delle prime esperienze? R / La sostanza è l’unica cosa che conta realmente nel momento in cui la verità intima ed esteriore diviene l’obiettivo. Scongiurando il pericolo di fare specchio riflesso nel giudicare i difetti altrui. Con il rischio di mostrare il fianco ed esibire in tal modo la paura di avere i difetti stigmatizzati nella persona poco gradita. Le belle esperienze insegnano tantissimo. Le brutte anche di più. L’importante è essere belle persone. Non solo sotto le feste. Ciò che conta nella vita è la fratellanza. Che aiuta a metterci nei panni degli altri. Nell’arte della recitazione occorrono, come hai sottolineato, umiltà ed entusiasmo. 

17). D / L’arte della recitazione ha bisogno come il pane, celeberrimo sudore della fronte estraneo alle banalità della superficialità, d’interpreti sensibili. In Permette? Alberto Sordi la scena in cui Andreina Pagnani insegna ad Alberto Sordi impersonato da Edoardo Pesce il baciamano resta in testa. La sensibilità è la prima priorità? R / La sensibilità è l’unica traiettoria possibile per imparare a migliorarci giorno per giorno. Ed è la priorità assoluta. La prima e l’ultima. Mi è piaciuta tantissimo questa chiacchierata. Mi hai fatto venire voglia di rileggere i versi di Trilussa sulla guerra. Mi piace come li declami. Con sensibilità ed entusiasmo. L’importante è trasmettersi qualcosa l’un l’altro. 

 

 

D / Non ci piove. Tu mi hai fatto venire voglia di (ri)leggere tante cose.
R / Sei davvero caro.

D / Ognuno ha una sua opinione sull’ordine naturale delle cose. Ma il significato di Risorgimento legato alla Pasqua emoziona tutti. Auguri.
R / Felice Rinascita a te, Massimiliano. E a tutti i tuoi cari. Auguri.

MASSIMILIANO SERRIELLO

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